
Il candidato governatore dem dell'Emilia contraddice i messaggi di Nicola Zingaretti e rilancia su dissesto idrogeologico e plastic tax. E, rischiando il corto circuito a sinistra, snobba i suoi e flirta con i grillini.Come il semplice conoscente che ai matrimoni racconta barzellette davanti alle quali non ride nessuno, Nicola Zingaretti si trascina sui palchi piddini, inconsapevole mina vagante soprattutto per i suoi. È successo anche a Bologna, al comitato centrale del partito, dove tra fogli svolazzanti e concitazioni sudate da comizio anni Settanta, il segretario ha tuonato: «Qui ci vuole lo ius soli, o almeno lo ius culturae». Pensava di ottenere il boato partecipe del popolo rosso, invece si è guadagnato un assoluto silenzio a sinistra (tranne il plauso di Leu, già di per sé indizio gramo) e l'ennesimo schiaffone grillino.«Con il maltempo che flagella l'Italia e il futuro di 11.000 lavoratori in discussione a Taranto, qui si parla di ius soli: sono sconcertato». Come se non avesse altro a cui pensare, Luigi Di Maio passa il tempo a smentire proprio Zingaretti. Lo fece una prima volta quando si rifiutò di rimettere in discussione i decreti Sicurezza firmati anche dal Movimento 5 stelle durante il governo Conte 1. Lo rifece dopo le elezioni in Umbria quando bocciò la famosa alleanza strutturale fra le due forze di maggioranza («Era un esperimento, non ha funzionato, strada impraticabile»). Lo ha replicato ieri per tamponare ulteriori smottamenti di popolarità. E ha aggiunto quasi con scherno: «Lo ius soli non è nel programma condiviso, non ha senso parlarne. Siamo al governo per governare e non per lanciare slogan o fare campagna elettorale».Una stupefacente lezione di saggezza politica da colui che solo quattro mesi fa a sinistra veniva definito «Giggino il bibitaro», il segretario dem non se la sarebbe mai aspettata. Ma sul tema non è neppure la bocciatura più sanguinosa da metabolizzare per il fratello pasticcione del commissario Montalbano. Quella arriva dalla strada di casa, direttamente dal governatore emiliano Stefano Bonaccini, colui che sta preparando la difesa di Fort Apache in vista delle regionali di gennaio, e che non ha bisogno di messaggi destabilizzanti. «Ius soli? Le due priorità in questo momento sono un grande piano di prevenzione contro il dissesto idrogeologico e cambiare la plastic tax», ha sibilato a Radio24. «Secondo me servivano toni diversi per mettere al centro altre questioni oltre allo ius soli. Quando si affermano diritti non c'è mai un momento giusto o non giusto. Ma proprio perché eravamo a Bologna, forse non si è calibrato bene il tono sugli argomenti».La traduzione politica è elementare, Bonaccini non può permettersi le divagazioni del segretario in un momento così delicato; la sfida con Lucia Borgonzoni (e soprattutto con Matteo Salvini che la personalizzerà in tutti i 328 Comuni in cui il governatore in carica si vanta di essere stato nel corso del suo mandato) è apertissima. Le scivolate demagogiche non sono gradite. Anche perché dalle parti del Nazareno la concretezza latita da anni: mentre il centrodestra parlava di sicurezza, immigrazione da regolamentare e valori non negoziabili da recuperare, ecco che il Pd si faceva paladino della globalizzazione più allegra e impersonale in tutte le sue derivazioni postideologiche. Bonaccini ritiene di essere alla vigilia di una battaglia epocale ed è convinto - come accade dai tempi di Peppone - che a Bologna il partito sia più organizzato, più coeso, più brillante che a Roma. In questo momento, paradossalmente, gli serve più il consenso del grillino incerto che del suo segretario. Se potesse farebbe come Giorgio Guazzaloca, che durante la campagna elettorale teneva nascosti nel retrobottega i manifesti con il volto di Silvio Berlusconi. Così, pur correndo il rischio di un corto circuito a sinistra, Bonaccini snobba i suoi e flirta con i grillini. «Il Movimento 5 stelle non governa in nessuna regione d'Italia, qui potrebbe prendersi per la prima volta una responsabilità di governo in una delle regioni più grandi, più strategiche. In questi ultimi mesi molti provvedimenti regionali sono stati presi insieme ai 5 stelle: sono più le cose che ci uniscono rispetto a quelle che ci dividono».Alla fine rispedisce silenziosamente al mittente anche l'ulteriore affondo di Andrea Orlando («Pensiamo a più cose insieme») e rilancia temi tangibili come il dissesto idrogeologico e la plastic tax. Lo fa anche per superare l'ennesimo autogol della compagine governativa, che nello stilare i capisaldi della legge di Bilancio è andato a imporre un balzello sulla plastica, forse senza sapere che il distretto dei contenitori in quel materiale più all'avanguardia d'Italia (con la Brianza) è quello emiliano. Il biomedicale di Mirandola, la Tetrapak di Rubiera, il comparto ortofrutticolo che lavora in serra e necessità di confezionare il prodotto. Qualche giorno fa il governatore sulle spine aveva scritto una lettera allarmata ai suoi parlamentari: «Se non mettete qualche correttivo e incentivo alla tassa sulla plastica, finiremo per pagarla soprattutto qui. Non altrove». E in termini di consenso. Ecco perché ha il mal di pancia quando parla Zingaretti. Ecco perché, alle sue gaffes, ultimamente preferisce quelle di Di Maio.
Emanuele Orsini (Ansa)
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