2023-07-23
Bonaccini battezza la sua corrente. Malumori e bordate contro il segretario
Veleni e frecciate dirette a Elly Schlein nell’evento coi fedelissimi del governatore dem. Che rilancia il campo largo al Terzo Polo.Stefano Patuanelli rompe l’ultimo tabù dei 5s: «Torni il finanziamento pubblico alla politica». Giuseppe Conte lo smentisce e l’ex ministro fa peggio: «Questa classe dirigente non è pronta».Lo speciale contiene due articoli.Il Grande Vecchio Romano Prodi acclamato come un papa. La nuova corrente che si spaccia per semplice ritrovo di «amici». Ex ministri, deputati, sindaci, consiglieri regionali e comunali pronti a sudare due giorni in un centro congressi pur di stringersi intorno al loro leader. Sullo sfondo, neppure tanto nascosto, l’obiettivo di logorare il segretario Schlein. Cesena ospita l’assemblea «Energia popolare», organizzata da Stefano Bonaccini e dalla sua area riformista, ed è subito parodia della vecchia Democrazia cristiana. Tutti avanti insieme per la riscossa contro «le destre», ma in una palude di distinguo e vecchie ruggini. Con Bonaccini che rilancia il campo largo, anzi larghissimo, con M5s, Terzo Polo e Verdi-Sinistra, ma fa sapere ai futuri alleati: «Senza di noi non andreste da nessuna parte».In una marea di buonismi e promesse di reciproca collaborazione, la verità scappa detta all’avvocato Matteo Biffoni, ex deputato e oggi sindaco di Prato: «Cara segretaria è vero, forse non ti abbiamo vista arrivare… adesso però aspettiamo di vedere gli elettori». La corrente Bonaccini, pardon, area Bonaccini, si aspettava che l’effetto donna «più o meno chic più o meno nuova» portasse almeno una bella risalita nei sondaggi, invece si fatica sempre a tenere quota 20%. Il presidente dell’Emilia Romagna, però, indossa i guanti di velluto. Ci tiene a dire che «Energia popolare» non è una corrente, ma intanto in una platea di amministratori locali schiera Piero Fassino, Piero De Luca, Gianni Cuperlo, Pina Picierno, Stefania Pezzopane, Virginio Merola, Lorenzo Guerini, Graziano Delrio, Simona Malpezzi, Emanuele Fiano e Simone Uggetti, l’ex sindaco di Lodi uscito pulito da una brutta inchiesta per corruzione. Ma soprattutto, ieri a mezzogiorno, alla Fiera di Cesena arriva Prodi, che aveva appoggiato Schlein e ora forse chissà.L’ex premier lamenta che nel Pd si sia smesso di «riflettere sull’idea che vogliamo costruire» e punta il dito sulla navigazione a giorno. «Riconosciamo prima di tutto gli errori compiuti», chiede Prodi, «quando, spinto dalle circostanze, il Pd ha inseguito gli obiettivi di breve periodo: le legge elettorale, la riforma della Rai, il finanziamento pubblico ai partiti, alcune riforme istituzionali». Prodi spiega che prima di «allargare» bisogna avere delle idee nuove e proprie. E sembra quasi una critica alla Schlein, che da quando ha vinto le primarie è sembrata schiava dei suoi clichè. Allargamento è la parola magica anche per il padrone di casa, che ringrazia Prodi come un nuovo nume e lancia l’esca a destra, al centro e a sinistra, pur di vincere: «Noi da soli non bastiamo. Agli amici di Stelle e Terzo Polo, per non dire di Verdi e Sinistra, dico che sappiamo benissimo che non possiamo imporre strategie solo perché siamo più grandi, ma sappiano anche loro che se vogliamo battere la destra, senza di noi non andreste (sic) da nessuna parte». Una considerazione non proprio amichevole, nei confronti dei futuri compagni di strada. Bonaccini sta bene attento a non dissotterrare l’ascia di guerra contro il segretario che lo ha battuto solo grazie alle discusse primarie allargate ai non iscritti. Ripete più volte concetti come «guai a dividerci tra noi». Afferma esplicitamente che «noi non vogliamo indebolire la segretaria» e «questa non è una corrente». Anche Graziano Delrio, ex prodiano ed ex renziano, assicura che «siamo tutti attaccati alla stessa corda e non si taglia la corda al capo cordata, ma spesso da sotto vedi se il capo cordata sta prendendo la via sbagliata». Chissà se Elly Schlein ha gradito la metafora, esposta con garbo ma abbastanza cruda nella sostanza. L’ex ministro Guerini è più diretto. Dopo essersi lamentato degli attacchi della segreteria a Matteo Renzi e ai renziani, fa notare che si rischia di «far cadere tutto l’albero tagliando le radici». Quello che non piace a chi sale sul palco di «Energia popolare» è un partito che parli solo di diritti Lgbt, di salario minimo ed emergenza climatica. L’ex sindaco di Bologna Merola contesta la linea politica: «Ora bisogna aprire una discussione vera e convocare un’assemblea programmatica. Lì porteremo le nostre proposte e poi quel programma va approvato dagli iscritti, gli iscritti devono votare. Non vorrei che proprio il popolo degli iscritti diventasse una sorta di bad company». E già, il popolo degli scritti. Anche a Cesena si capisce che la ferita dell’elezione del segretario non è sanata e che c’è tutto un partito dei circoli e dei notabili locali che sospetta di esser stato «scippato» dalle primarie aperte. Schlein a Cesena si accontenta del fatto che Bonaccini non le abbia dichiarato guerra, ma chissà se la presenza di Prodi, l’uomo-Pantheon, l’ha fatta riflettere sui rischi che corre. Nel Pd, sono in tanti a pensarla come il sindaco di Prato e a dire che i risultati non stanno arrivando. Ieri, il segretario del Pd si è comunque buttato a pesce sulla mezza apertura di Giorgia Meloni, che sul salario minimo si è detta «laica», e si è dichiarata disponibile «anche a un incontro domattina con lei e il governo». Ma intanto la riunione del correntone di Bonaccini è una campana che suona e le chiede risultati. Almeno uno. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/bonaccini-battezza-la-sua-corrente-2662326065.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="soldi-ai-partiti-capriola-di-patuanelli" data-post-id="2662326065" data-published-at="1690056943" data-use-pagination="False"> Soldi ai partiti, capriola di Patuanelli Dimenticati anni di battaglie di Beppe Grillo e dei suoi elettori, anni di Vaffaday e di proclami per una politica francescana, una politica sublime perché senza soldi. Finita la lotta del M5s alla casta, il tonno, dentro la scatoletta-Parlamento, è stato mangiato e quindi si cambia idea e cade l’ultimo tabù: finita l’era della restituzione in piazza dei soldi del finanziamento pubblico ai cittadini da parte dei pentastellati. Infatti, secondo il senatore Stefano Patuanelli, ex ministro dello Sviluppo economico del Conte II e delle Politiche Agricole con Draghi, oggi capogruppo del M5s in Senato, «è necessario reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti». Lo ha detto in un colloquio con un giornalista del Corriere della sera, in attesa di entrare in uno studio televisivo, ben consapevole delle polemiche che le sue parole avrebbero innescato, visto che il Movimento si è sempre considerato padre morale dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti (arrivata nel 2013 con il governo Letta). Una giravolta che Patuanelli dice dettata «dall’esperienza». Ma il primo a dirsi assolutamente contrario a dare soldi pubblici alle forze politiche è stato il suo leader Giuseppe Conte, che ha specificato: «Il nostro Stefano Patuanelli ha espresso una sua opinione, del tutto personale». Tanto che lo stesso senatore ha dovuto mettere una toppa alla sua «riflessione meditata a lungo»: «Oggi non sarei disponibile a firmare una legge per la reintroduzione del finanziamento pubblico ai partiti in questo Paese, perché anche la reazione al mio ragionamento dimostra che questa classe dirigente politica non è pronta. Conte ha fatto bene a confermare la linea storica del Movimento, la mia uscita è stata del tutto accidentale, casuale, ma convinta, anche se all’apparenza contraddice la nostra linea storica». Patuanelli sosteneva infatti: «È vero che in passato la mole di risorse pubbliche fu tale da tutelare anche chi non ne aveva diritto. Ed è altrettanto vero che i soldi dei contribuenti vennero gestiti spesso in modo improprio e a volte in modo illegale, consentendo anche casi di arricchimento personale». Aggiungendo: «Su questo il Movimento ha avuto un ruolo fondamentale, perché ha contribuito a scardinare il sistema legato ai costi della politica. Ma sull’onda dell’indignazione e cavalcando la (giusta) protesta popolare, insieme all’acqua sporca venne gettato anche il bambino. Si confusero i costi della politica con i costi della democrazia». Un salto mortale per il politico triestino, che sottolinea come i partiti siano costantemente a caccia di soldi per sopravvivere: «Tutti gli eletti compartecipano alle spese delle forze di appartenenza con le trattenute sui loro stipendi da parlamentari. Persino i seggi hanno un costo: so che il Pd chiede 50.000 euro a chi lo conquista» rivela il capogruppo 5 Stelle. «Il rischio è che faccia politica solo chi se lo può permettere». E allora Patuanelli suggerisce di fare come nel Parlamento europeo, «che finanzia i gruppi e controlla l’uso dei fondi attraverso funzionari della struttura estranei ai partiti». Niente da fare per Conte: «Il M5S è la dimostrazione vivente che si può fare politica senza imporre costi ai cittadini. E che si può fare politica senza svendere le proprie battaglie, mettendosi in alcuni casi al libro paga di grandi lobby o addirittura di Stati esteri, come fa qualche noto parlamentare. Il M5s continua a mantenere un’altra idea di politica, testimoniata dai fatti: tra rimborsi elettorali ed indennità degli eletti abbiamo rinunciato ad oltre 100 milioni».