2018-04-13
Le bombe chimiche irrompono sulle prove per fare il governo
Nella storia della Repubblica italiana ci sono governi che sono nati sotto i colpi delle mitragliette dei terroristi: è il caso del cosiddetto Andreotti quarto, la cui fiducia fu votata in Parlamento poche ore dopo il sequestro di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse. Altri esecutivi invece hanno visto la luce dopo una strage: accadde nel 1992, dopo l'attentato mafioso in cui morì Giovanni Falcone, mentre appena due giorni dopo l'agguato al magistrato fu eletto al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro. Dunque non saremo stupiti se quello cui vuol fare da levatrice Sergio Mattarella aprirà gli occhi sotto i missili lanciati da Donald Trump o Emmanuel Macron contro Bashar Al Assad. La politica è condizionata anche da questi eventi. Lasciare un Paese senza governo in momenti tragici come l'intervento militare di Paesi alleati, in una zona estremamente sensibile che si affaccia sul Mediterraneo, non è raccomandabile. Tanto più se a guidare la politica estera è un peso piuma come Angelino Alfano, uno a cui è scomparso il partito e che a giorni scomparirà a sua volta.Nessuna sorpresa perciò che la guerra di Siria acceleri le consultazioni e anche che sia presa a pretesto per indurre a più miti consigli le forze politiche, convincendole a rinunciare ad alcune pretese e invitarle ad accordarsi al più presto. Il capo dello Stato ha obbligo costituzionale di cercare di mettere d'accordo le parti per far nascere un governo, e dunque fa il suo mestiere. Un po' meno comprensibile e ancor meno condivisibile è però il fatto che con il conflitto alle porte si cerchi di far evolvere la situazione politica in senso diametralmente opposto a come si sono espressi gli italiani. Vi state domandando a che cosa alludiamo? Semplicemente al fatto che in queste ore la guerra di Siria potrebbe essere usata non per accelerare la nascita di un governo, ma per impedire che una o più forze politiche facciano un governo. E guarda caso queste forze sarebbero proprio quelle che hanno vinto, vale a dire il Movimento 5 stelle e la Lega. Nel complicato gioco a incastro per far nascere una maggioranza, pentastellati e leghisti sono pedine importanti, perché hanno i voti e forse anche unità d'intenti, soprattutto su alcuni argomenti, come ad esempio la legge Fornero, l'Europa e così via. Ma c'è un argomento su cui sia Salvini che Di Maio potrebbero avere uno spunto ulteriore per l'intesa e l'argomento sono le sanzioni alla Russia, una misura voluta inizialmente da Barack Obama e che all'Italia è già costata parecchio in termini di esportazione.È noto che il capo del Carroccio ritiene le sanzioni sbagliate e fosse a Palazzo Chigi si darebbe da fare per rimuoverle. Il candidato premier di Beppe Grillo non si è mai realmente pronunciato, ma la sensazione è che non sposi per intero le posizioni filo americane. Risultato, in entrambi i casi è passato il concetto che sia Salvini che Di Maio siano filo Putin e dunque sarebbero guardati con sospetto dagli Stati Uniti, i quali in questo delicato momento di muro contro muro tra superpotenze non vedrebbero di buon occhio l'arrivo dei due a Palazzo Chigi. Perciò all'America e ai suoi alleati europei (in particolare la Francia, che anche con Macron non cambia la sua indole bombarola, come già accadde in Libia) non piacerebbe dover trattare con Lega e 5 stelle di questioni militari e di piani d'attacco o altro. Quindi, per dirla senza troppi giri di parole, gli Usa sarebbero ben felici che nascesse un governo più malleabile, senza Salvini né Di Maio. E qui entrerebbe in scena il solito Giorgio Napolitano, che in queste settimane non ha mai smesso di coltivare i ribelli del Pd, a cominciare da Andrea Orlando. Scartata la possibilità di un governo Pd-5 stelle, resta in campo la riedizione dell'unità nazionale, con una figura autorevole a nobilitare l'ammucchiata delle diverse forze politiche, tra le quali non potranno mancare né il Partito democratico né Forza Italia. Fino a ieri Matteo Renzi era contrario a tutto ciò e giurava che il suo partito sarebbe rimasto «là dove lo hanno messo gli elettori», ossia all'opposizione. Tuttavia non è detto che non cambi idea. La scusa potrebbe essere la scelta di Macron di bombardare la Siria. Dopo l'uscita di Obama, l'inquilino dell'Eliseo è il nuovo mito cui si ispira l'ex premier, che come il presidente francese vorrebbe farsi un partito su misura, magari per poi lanciare un'Opa su Forza Italia. Già, perché le scoppole prese non hanno fiaccato la caparbietà del «senatore semplice di Scandicci». Il quale non si rassegna al ritiro. Il suo disegno resta sempre quello del Partito della nazione, da collocare in mezzo allo scenario politico. Dunque occhio, perché le bombe potrebbero aiutare il Bomba.