
Per il sindaco dem di Bologna, Matteo Lepore, è il segno di una città che rinasce: cemento che lascia spazio al verde, quartieri che si riconnettono, una memoria industriale da riscattare. Ma dietro la patina di rigenerazione urbana, nelle fondamenta del nuovo comparto che sorgerà dove un tempo battevano i cuori meccanici delle Officine Casaralta, ci sono dei nomi e una società che portano verso un’inchiesta sulle infiltrazioni della ’ndrangheta a Torino e verso un gruppo imprenditoriale che si è visto colpire una delle sue aziende da un’interdittiva antimafia.
Il 29 maggio sono cominciate le demolizioni. Nove edifici, fatiscenti e abbandonati dal 2001, verranno abbattuti entro la fine dell’anno. Si tratta di un’area di circa 50.000 metri quadrati incastonata tra via Stalingrado, via Ferrarese e la ex Caserma Sani. Oltre due ettari diventeranno parco urbano. Ci saranno case, anche popolari, e piste ciclabili. Una grande operazione. Anche mediatica. Tanto che sui social, postando una foto con alle spalle lo scheletro del casermone da buttare giù, il sindaco scrive: «L’intervento privato restituirà usi pubblici aprendo finalmente la Casaralta al quartiere. Tra il 1919 e il 2001 qui lavorarono centinaia di operai. Almeno 50 morirono per l’amianto. A loro e ai cittadini che si sono battuti per la riqualificazione dedichiamo questa giornata importante». Parole nobili. Ma chi ha in mano le chiavi di questo nuovo inizio? Due società: Casaralta Srl, proprietaria storica dell’area, e Taurus Srl, riconducibile alla Cogefa partecipazioni, la holding immobiliare della famiglia Fantini. Qui la narrazione civica si inceppa. Roberto Fantini, 55 anni, torinese, ex amministratore di Sitalfa (società di manutenzione autostradale), è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa nell’inchiesta «Echidna», coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino. I magistrati gli contestano rapporti diretti e indiretti con la ’ndrangheta di Brandizzo, in particolare con la famiglia Pasqua. Ma non è solo questione giudiziaria. C’è anche la politica. Nel 2019 una delle società della famiglia Fantini avrebbe finanziato la campagna elettorale del presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, ma anche di Raffaele Gallo, capogruppo del Pd in Consiglio regionale fino all’aprile 2024, figlio di Salvatore Gallo, altro nome di peso del centrosinistra piemontese. Nel 2022 proprio il Pd avrebbe poi sostenuto la candidatura di Roberto Fantini all’Orecol, l’Organismo regionale di controllo collaborativo, incaricato di vigilare su contratti e appalti pubblici in Piemonte. Fin qui il cortocircuito piemontese. Del quale a Bologna nessuno sembra essersi accorto. Nonostante pochi giorni prima dell’inizio delle demolizioni proprio il sindaco Lepore denunciava sui giornali la presenza di società «opache» nella gestione di alcuni dehor del centro storico, dimostrando, così, una certa sensibilità antimafia. Poi, però, ha autorizzato senza esitazioni l’intervento della Taurus nel cuore del Navile. Eppure bastava fare qualche ricerca sul Web per riconnettere subito la Taurus alla Cogefa e ai Fantini. In alcuni articoli, anche sulla stampa di settore (l’edilizia), la Taurus viene presentata come «il veicolo operativo costituito da Cogefa Partecipazioni (società immobiliare della famiglia Fantini)». Poi, per la verità, arrivare ai Fantini tramite visure camerali non è proprio agevole. La Taurus risulta di proprietà di due Srl, la Stella holding (di proprietà della famiglia Odetto) e la Lmf holding, di un fondo straniero, l’Scp Altair con sede a Monaco. Per connettere la Taurus alla famiglia Fantini bisogna esaminare il profilo di Filippo, che alla Camera di commercio risulta amministratore della società fino al 18 luglio 2023 e poi consigliere d’amministrazione dal 10 luglio di quello stesso anno, con scadenza a dicembre 2025. Ma nella Taurus hanno cariche anche i Mattioda. Manuela, per esempio, è stata amministratore delegato prima di Filippo Fantini ed è, come lui, nel cda. È la compagna di Massimo Fantini che, stando all’inchiesta torinese, avrebbe «accettato sovrafatturazioni» da un’azienda di autotrasporto indicata come in odore di ’ndrangheta e «intrattenuto», proprio «per il tramite di Manuela Mattioda, rapporti con Giancarlo Bellavia, a sua volta in stretti rapporti con Gianfranco Violi (condannato in primo grado per associazione di stampo mafioso, ndr)». Nel 2024 la Prefettura torinese ha firmato un’interdittiva antimafia a carico della Cogefa, azienda alla prese con maxi appalti autostradali e con la Tav, giudicandola a rischio infiltrazione nonostante siano stati nominati nuovi vertici. Il Tar aveva confermato l’interdittiva, poi il Consiglio di Stato l’ha sospesa. Ma la parola fine è tutt’altro che scritta: la discussione definitiva è fissata per il 12 giugno prossimo. Al di là del groviglio di decisioni e sentenze, però, a Bologna la questione centrale è sulle valutazioni di contesto e di opportunità. Che sembrano avere un certo peso specifico solo per i dehor. «Può essere che l’amministrazione Lepore non ne fosse a conoscenza?», denuncia l’eurodeputata della Lega Anna Maria Cisint: «Se lo sapeva, perché il fatto non è stato reso noto e non si è agito di conseguenza? Se non lo sapeva, perché non sono state fatte le opportune verifiche? In entrambi i casi, è grave». Poi aggiunge: «La lotta alla mafia, in generale, infatti, richiede attenzione, dedizione e capacità di guardare oltre la semplice forma. Ce lo ha insegnato il processo Aemilia, che ha disvelato la profonda infiltrazione in Emilia-Romagna».






