2023-02-22
Lo studio finanziato da Gates: «Immunità naturale più efficace di due dosi»
La ricerca, su «Lancet», mostra che lo «scudo» dato dall’infezione è uguale o più forte di quello post vaccinazioni. E chi guarisce è protetto dalla malattia grave per 10 mesi.Immagina di essere il re Mida dei vaccini. Immagina di possedere una fondazione milionaria intestata a te (Bill Gates) e alla tua ex moglie (Melinda). Immagina di concedere un finanziamento per uno studio sui vaccini, dal quale si scopre che qualcosa, come immunizzante, funziona meglio delle punture: l’infezione stessa. È la storia del paper pubblicato, qualche giorno fa, da Lancet. Una metanalisi, realizzata incrociando i dati di 65 ricerche realizzate in 19 Paesi diversi, per valutare l’efficacia dell’immunità naturale contro la reinfezione da coronavirus, la malattia sintomatica e quella grave. I risultati parlano chiaro. Citiamo letteralmente dal testo: «Benché la protezione dalla reinfezione da tutte le varianti», cioè il ceppo originario di Wuhan, Alpha, Delta e Omicron, «declini nel tempo, la nostra analisi dei dati disponibili suggerisce che il livello di protezione assicurato dall’infezione pregressa è almeno altrettanto elevato, se non maggiore, di quello fornito dalla vaccinazione con due dosi tramite vaccini a mRna di alta qualità». Se non è ancora cristallino, riportiamo un altro passaggio eloquente: «Il livello di protezione da reinfezione, malattia sintomatica e malattia severa sembra essere almeno altrettanto duraturo, se non più duraturo, di quello conferito dalla vaccinazione con due dosi di vaccini a mRna per le varianti originaria, Alpha, Delta e Omicron Ba.1». Ed è proprio da quest’ultimo brano che emerge il fattore più significativo della ricerca. Sappiamo - e la metanalisi lo conferma - che il virus sudafricano è caratterizzato da un’elevatissima capacità di immunoevasione. È molto abile a bucare il friabile muro innalzato tramite le inoculazioni e aggira, in poco tempo, anche gli anticorpi specifici stimolati da un contagio precedente. Ma sappiamo pure che la banale positività a un tampone (asintomatica), o la presenza di disturbi influenzali, non rappresentano certo un’emergenza medica. Ciò che conta è che chi si busca il Covid non finisca in ospedale, o, peggio, muoia. Per questo motivo è importantissima l’evidenza raccolta dal team sull’impatto della guarigione: chi ha sconfitto il coronavirus una volta, almeno per 40 settimane, ovvero dieci mesi, può considerarsi totalmente al riparo dalle conseguenze gravi della malattia. Lo si evince dalle tabelle a corredo del paper, che in parte riproduciamo qui in pagina. Nello scenario Omicron, chi ha avuto il Covid appare più protetto dalle forme sintomatiche anche di chi si è sottoposto a un booster con lo stesso preparato del ciclo primario, o di chi è reduce dal famoso mix and match (Astrazeneca più un farmaco a mRna). Ma è soprattutto dalle forme serie della patologia, che risultano schermati i guariti. E il discorso vale tanto per le vecchie varianti, quanto per Omicron. La protezione garantita dai vaccini svanisce piuttosto velocemente - e ciò, in assenza di un contagio, giustifica la policy dei richiami. La curva relativa allo stato dei guariti, invece, rimane pressoché costante per 40 settimane, dopo le quali inizia a inclinarsi, ma molto meno marcatamente rispetto alle linee che si riferiscono ai vaccinati. Ovviamente, è meglio farsi trovare già un po’ tutelati all’eventuale incontro con il Sars-Cov-2: chi è privo di profilassi, specie se ha un’età avanzata e altre patologie, è a rischio. Altro discorso riguarda il senso della martellante campagna per le quarte e, adesso, quinte dosi, in una situazione in cui la gran parte della popolazione, in un modo o nell’altro, è venuta in contatto con il virus. Che motivo c’era di proporre una puntura ogni quattro mesi? Se si rimane al sicuro per dieci, non è sufficiente il booster annuale, verso il quale, finalmente, si sta orientando l’Ema? Per ammissione degli scienziati che hanno vergato l’articolo di Lancet, la scoperta che «il livello di protezione da parte di un’infezione pregressa […] è equivalente a quello garantito da due dosi di vaccini a mRna ha importanti implicazioni per le linee guida riguardanti la tempistica delle dosi di vaccino, booster inclusi». E, udite udite, anche per «le politiche che restringono l’accesso ai viaggi o a certi luoghi, o a quelle che impongono la vaccinazione ai lavoratori». Essa, semmai, supporta l’idea che «coloro che possiedono un’infezione documentata siano trattati allo stesso modo di quelli che sono stati vaccinati». In Italia, purtroppo, non s’è ragionato così. Personale sanitario e over 50 sono stati costretti alla terza dose a soli sei mesi dalla guarigione. A cavallo tra 2021 e 2022, le assurde regole del governo Draghi prescrivevano persino agli alunni delle scuole un obbligo surrettizio di inoculazione, anche se guariti, per evitare la condanna alla Dad, in caso di focolaio in classe. Ora si appura che quell’accanimento era tutto fuorché scientifico. Dopodiché, la sorta ha una certa ironia: sullo studio che lo certifica, c’è finito il timbro di Bill Gates.