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2019-06-27
Bilancio, l’ordine è «carte coperte con l’Ue»
Ansa
Consiglio dei ministri svuotato e semitecnico, quello di ieri: via dal tavolo l'assestamento di bilancio (se ne riparla il 1° luglio, «forse», ha significativamente aggiunto il sottosegretario Giancarlo Giorgetti: e capiremo tra poco perché), sono rimasti in agenda solo alcuni adempimenti che erano in scadenza il 30 giugno prossimo, e che andavano dunque affrontati questa settimana.
Quanto invece alle autostrade, la sortita «alla venezuelana» dei Cinquestelle su un'eventuale revoca delle concessioni sembra più parte del dibattito interno al M5S (anche i governativi filo Luigi Di Maio vogliono far vedere a Alessandro Di Battista che pure loro sono duri e puri) che un reale e praticabile obiettivo politico. Per ciò che riguarda l'autonomia, se ne rioccuperà un vertice politico riconvocato mercoledì prossimo: ai leghisti non sono piaciuti affatto né i sorrisini del sottosegretario grillino Stefano Buffagni, né le obiezioni tecniche (di valenza politica scarsa) contenute nel documento consegnato a Giuseppe Conte dal Dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi (volendo, obiezioni tecniche si potevano fare su tutto nei mesi passati, anche sul reddito di cittadinanza caro ai grillini, si fa notare dalle parti del Carroccio).
Ma attenzione. La giornata ha comunque riservato una decisione politica non banale e di notevole valenza tattica nel negoziato con l'Ue. Il rinvio dell'assestamento di bilancio non deriva dal fatto che il governo ha bisogno di più tempo: le carte ci sono già, e tutte le componenti della maggioranza (su questo punto) appaiono concordi e convinte, dalla Lega ai grillini, passando per il «terzo partito» tecnico. E il punto decisivo del ragionamento italiano a Bruxelles appare obiettivamente incontestabile: il rapporto deficit/Pil si fermerà al 2,1%, lontanissimo non solo dalla soglia altamente simbolica del 3% (valicata allegramente da tanti, Francia in testa), ma pure da quel 2,5% che era stato pronosticato dalla Commissione. Morale: se in un anno in cui il Pil è debole, nonostante tutto, un Paese riesce a tenere sotto controllo il suo deficit, cos'altro vogliono Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis? Non solo: sempre carte alla mano, l'Italia è in grado di dimostrare che le entrate fiscali stanno andando bene, specie l'Iva, trainata dalla fatturazione elettronica. Se è così (ed è così), si tratta di una maggiore entrata strutturale, destinata a durare.
Forti di questi numeri a posto, gli uomini del governo hanno deciso (come in ogni partita di poker che si rispetti) di non calare subito le carte sul tavolo. C'è un negoziato? Si proceda con il negoziato, senza che tutto sia «bruciato» dalle dichiarazioni di partenza. A questo proposito, Tria a Osaka, in occasione del G20 di domani e dopo, porterà la ricetta anti procedura, in tempo per cercare di chiudere la trattativa prima della riunione della Commissione del 2 luglio.
Non solo: l'obiettivo politico di Roma è quello di spostare su Bruxelles l'onere psicologico e politico delle decisioni. Detto molto chiaramente: se alla Commissione non andasse bene nemmeno il 2,1%, si tratterebbe di un atto di ostilità politica, di una provocazione nei confronti di un governo sgradito. Insomma, a farsi male sarebbe più la Commissione uscente che l'Italia. Nella maggioranza (ed è un altro punto di solidità della posizione italiana) si sottolinea l'ottimo andamento delle aste dei titoli pubblici di una decina di giorni fa: domanda molto superiore all'offerta, e rendimenti in discesa. In altre parole: non solo i mercati non strangolano l'Italia, ma sembrano aver più fiducia in un'eventuale manovra espansiva da parte di Roma che non nelle urla dei commissari francese e lettone.
Di più. Lo sforzo di Roma, anche sfruttando l'impasse che si è determinata nell'ultimo Consiglio Ue sul nuovo organigramma europeo (vertice della Commissione, guida del Consiglio, poltronissime Bce), sarebbe quello di creare un unico pacchetto negoziale. Mentre a Bruxelles vorrebbero sfogliare la margherita petalo dopo petalo, e cioè discutere prima della procedura di infrazione (mettendo l'Italia in un angolo in vista della trattativa su commissari e cariche), il nostro governo vorrebbe mettere tutto simultaneamente sul tavolo, facilitando un politicissimo «do ut des». Volete il sì del governo italiano al nuovo assetto di cariche e incarichi? E allora serviranno due cose: per un verso, lo stop alla procedura, e per altro verso un portafoglio di peso per il commissario italiano.
Non è un caso se, da qualche giorno, anche i piromani di Bruxelles hanno scelto il silenzio e un profilo più cauto. Si rendono conto che un attacco all'Italia sarebbe tecnicamente poco fondato, sarebbe letto da molti osservatori come una scelta arbitraria (il Wall Street Journal l'ha già fatto pesantemente la scorsa settimana, bacchettando i «mandarini» di Bruxelles), e soprattutto fornirebbe un ulteriore assist a Matteo Salvini per mostrare agli elettori italiani il vero volto di questa Ue. Insomma, benzina per un nuovo successo elettorale leghista. Ecco perché, mentre Roma tiene le carte coperte, a Bruxelles si percepisce un insolito mix di silenzio e prudenza.
Corte dei conti dura sulla flat tax: «Gli choc fiscali sono pericolosi»
La flat tax rimane un pensiero fisso. Secondo Matteo Salvini la tassa piatta peserà sul bilancio dello Stato per 15 miliardi di euro, ma non è ancora chiaro da dove verranno recupereranno questi soldi. Il viceministro all'economia Massimo Garavaglia ha però più volte dichiarato come «le coperture ci sono, le abbiamo individuate», senza specificare quali esse siano. Il mistero di come si finanzierà la tassa piatta resta dunque vivo, visto che fino a due settimane fa si parlava di realizzare il progetto facendo ulteriore deficit.
E proprio sul fare più deficit che ieri è intervenuta la Corte dei conti, durante la cerimonia di parificazione del rendiconto generale dello Stato, sostenendo che una revisione fiscale sia necessaria ma non facendo deficit.
«Mettere mano al riassetto delle tasse e dei tributi può considerarsi una priorità. Tuttavia, resta il problema delle coperture sul breve termine, in mancanza delle quali il corrispondente aumento del debito potrebbe avere ripercussioni gravi, tali da annullare o ridurre molto i benefici della rimodulazione delle aliquote», dichiara Albero Avoli, procuratore generale della Corte dei conti. Secondo la Corte ci sarebbe inoltre un altro rischio legato alla flat tax. E cioè che i vantaggi legati alla riduzione del carico fiscale statale vengano azzerati dal parallelo incremento dell'imposizione locale. «Molti comuni», sottolinea Avoli, «stanno aumentando le aliquote dell'Irpef loro spettanti, altri hanno già aggiornato le imposte per i servizi. Per i cittadini, per le famiglie e le imprese sarebbe una vera e propria beffa il mero spostamento del carico fiscale dallo Stato agli enti locali».
Altro aspetto negativo che graverebbe sulla flat tax, per quanto riguarda i fondi da recuperare per poterla realizzare, è l'andamento dell'evasione fiscale e delle misure intraprese da questo governo per cercare di ridurla. Secondo Ermanno Granelli, presidente di coordinamento delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti, il gettito recuperato dalla lotta all'evasione «ammonta a 17 miliardi euro in flessione del 7,2% rispetto al 2018». Un andamento che appare «sintomatico del permanere dell'anomalo livello di evasione fiscale, soprattutto dell'Iva e dell'imposizione sul reddito». Esaminando da vicino l'attività di accertamento dell'Agenzia delle entrate si nota infatti come ci sia qualcosa che non va. La rottamazione, per esempio, a fronte di crediti originari per oltre 45 miliardi di euro e domande presentate pari a 37 miliardi, con un incasso aspettato pari a circa 21,8 miliardi di euro, ha ottenuto solo 10,4 miliardi. C'è anche da dire che per la rottamazione ter, così come il saldo e stralcio, le finestre di adesione alla procedura sono state riaperte. In questo modo si spera di poter attrarre molti altri contribuenti che hanno ancora debiti irrisolti con l'Amministrazione fiscale e non hanno presentato le domande nei tempi richiesti.
A tutto questo si aggiunge il quadro negativo dipinto dalla Corte dei conti sulla situazione del debito italiano. «Dai dati contabili emerge con chiarezza la grave situazione di indebitamento che grava sul nostro Paese, indebitamento che ha origini lontane e che, nella sostanza, continua a crescere. L'indebitamento ha un costo finanziario gigantesco, in senso di corresponsione di interessi, di perdita di credibilità del sistema Paese, di ostacolo alle politiche di sviluppo».
Parole che potrebbero non fare bene all'Italia, soprattutto in questo preciso momento politico, in cui si sta cercando di mediare con la Commissione europea per evitare la procedura di infrazione. Queste potrebbero infatti essere «usate» dai commissari europei contro l'Italia, per non ritenere sufficiente il documento, che sarà portato la prossima settimana a Strasburgo per evitare la procedura di infrazione, che spiegherà la riduzione del deficit 2019.
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Nel Cdm svuotato di oggi mancherà anche l'assestamento dei conti. Una scelta precisa della maggioranza che non vuole subire per giorni il cannoneggiamento dell'Europa. Giovanni Tria, forte del deficit al 2,1%, svelerà la ricetta anti procedura solo al G20 di domani.Dai giudici contabili un assist per i falchi di Bruxelles: «Così si aumenta il debito».Lo speciale contiene due articoli.Consiglio dei ministri svuotato e semitecnico, quello di ieri: via dal tavolo l'assestamento di bilancio (se ne riparla il 1° luglio, «forse», ha significativamente aggiunto il sottosegretario Giancarlo Giorgetti: e capiremo tra poco perché), sono rimasti in agenda solo alcuni adempimenti che erano in scadenza il 30 giugno prossimo, e che andavano dunque affrontati questa settimana. Quanto invece alle autostrade, la sortita «alla venezuelana» dei Cinquestelle su un'eventuale revoca delle concessioni sembra più parte del dibattito interno al M5S (anche i governativi filo Luigi Di Maio vogliono far vedere a Alessandro Di Battista che pure loro sono duri e puri) che un reale e praticabile obiettivo politico. Per ciò che riguarda l'autonomia, se ne rioccuperà un vertice politico riconvocato mercoledì prossimo: ai leghisti non sono piaciuti affatto né i sorrisini del sottosegretario grillino Stefano Buffagni, né le obiezioni tecniche (di valenza politica scarsa) contenute nel documento consegnato a Giuseppe Conte dal Dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi (volendo, obiezioni tecniche si potevano fare su tutto nei mesi passati, anche sul reddito di cittadinanza caro ai grillini, si fa notare dalle parti del Carroccio). Ma attenzione. La giornata ha comunque riservato una decisione politica non banale e di notevole valenza tattica nel negoziato con l'Ue. Il rinvio dell'assestamento di bilancio non deriva dal fatto che il governo ha bisogno di più tempo: le carte ci sono già, e tutte le componenti della maggioranza (su questo punto) appaiono concordi e convinte, dalla Lega ai grillini, passando per il «terzo partito» tecnico. E il punto decisivo del ragionamento italiano a Bruxelles appare obiettivamente incontestabile: il rapporto deficit/Pil si fermerà al 2,1%, lontanissimo non solo dalla soglia altamente simbolica del 3% (valicata allegramente da tanti, Francia in testa), ma pure da quel 2,5% che era stato pronosticato dalla Commissione. Morale: se in un anno in cui il Pil è debole, nonostante tutto, un Paese riesce a tenere sotto controllo il suo deficit, cos'altro vogliono Jean-Claude Juncker, Pierre Moscovici e Valdis Dombrovskis? Non solo: sempre carte alla mano, l'Italia è in grado di dimostrare che le entrate fiscali stanno andando bene, specie l'Iva, trainata dalla fatturazione elettronica. Se è così (ed è così), si tratta di una maggiore entrata strutturale, destinata a durare. Forti di questi numeri a posto, gli uomini del governo hanno deciso (come in ogni partita di poker che si rispetti) di non calare subito le carte sul tavolo. C'è un negoziato? Si proceda con il negoziato, senza che tutto sia «bruciato» dalle dichiarazioni di partenza. A questo proposito, Tria a Osaka, in occasione del G20 di domani e dopo, porterà la ricetta anti procedura, in tempo per cercare di chiudere la trattativa prima della riunione della Commissione del 2 luglio. Non solo: l'obiettivo politico di Roma è quello di spostare su Bruxelles l'onere psicologico e politico delle decisioni. Detto molto chiaramente: se alla Commissione non andasse bene nemmeno il 2,1%, si tratterebbe di un atto di ostilità politica, di una provocazione nei confronti di un governo sgradito. Insomma, a farsi male sarebbe più la Commissione uscente che l'Italia. Nella maggioranza (ed è un altro punto di solidità della posizione italiana) si sottolinea l'ottimo andamento delle aste dei titoli pubblici di una decina di giorni fa: domanda molto superiore all'offerta, e rendimenti in discesa. In altre parole: non solo i mercati non strangolano l'Italia, ma sembrano aver più fiducia in un'eventuale manovra espansiva da parte di Roma che non nelle urla dei commissari francese e lettone. Di più. Lo sforzo di Roma, anche sfruttando l'impasse che si è determinata nell'ultimo Consiglio Ue sul nuovo organigramma europeo (vertice della Commissione, guida del Consiglio, poltronissime Bce), sarebbe quello di creare un unico pacchetto negoziale. Mentre a Bruxelles vorrebbero sfogliare la margherita petalo dopo petalo, e cioè discutere prima della procedura di infrazione (mettendo l'Italia in un angolo in vista della trattativa su commissari e cariche), il nostro governo vorrebbe mettere tutto simultaneamente sul tavolo, facilitando un politicissimo «do ut des». Volete il sì del governo italiano al nuovo assetto di cariche e incarichi? E allora serviranno due cose: per un verso, lo stop alla procedura, e per altro verso un portafoglio di peso per il commissario italiano. Non è un caso se, da qualche giorno, anche i piromani di Bruxelles hanno scelto il silenzio e un profilo più cauto. Si rendono conto che un attacco all'Italia sarebbe tecnicamente poco fondato, sarebbe letto da molti osservatori come una scelta arbitraria (il Wall Street Journal l'ha già fatto pesantemente la scorsa settimana, bacchettando i «mandarini» di Bruxelles), e soprattutto fornirebbe un ulteriore assist a Matteo Salvini per mostrare agli elettori italiani il vero volto di questa Ue. Insomma, benzina per un nuovo successo elettorale leghista. 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Il mistero di come si finanzierà la tassa piatta resta dunque vivo, visto che fino a due settimane fa si parlava di realizzare il progetto facendo ulteriore deficit. E proprio sul fare più deficit che ieri è intervenuta la Corte dei conti, durante la cerimonia di parificazione del rendiconto generale dello Stato, sostenendo che una revisione fiscale sia necessaria ma non facendo deficit. «Mettere mano al riassetto delle tasse e dei tributi può considerarsi una priorità. Tuttavia, resta il problema delle coperture sul breve termine, in mancanza delle quali il corrispondente aumento del debito potrebbe avere ripercussioni gravi, tali da annullare o ridurre molto i benefici della rimodulazione delle aliquote», dichiara Albero Avoli, procuratore generale della Corte dei conti. Secondo la Corte ci sarebbe inoltre un altro rischio legato alla flat tax. E cioè che i vantaggi legati alla riduzione del carico fiscale statale vengano azzerati dal parallelo incremento dell'imposizione locale. «Molti comuni», sottolinea Avoli, «stanno aumentando le aliquote dell'Irpef loro spettanti, altri hanno già aggiornato le imposte per i servizi. Per i cittadini, per le famiglie e le imprese sarebbe una vera e propria beffa il mero spostamento del carico fiscale dallo Stato agli enti locali». Altro aspetto negativo che graverebbe sulla flat tax, per quanto riguarda i fondi da recuperare per poterla realizzare, è l'andamento dell'evasione fiscale e delle misure intraprese da questo governo per cercare di ridurla. Secondo Ermanno Granelli, presidente di coordinamento delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti, il gettito recuperato dalla lotta all'evasione «ammonta a 17 miliardi euro in flessione del 7,2% rispetto al 2018». Un andamento che appare «sintomatico del permanere dell'anomalo livello di evasione fiscale, soprattutto dell'Iva e dell'imposizione sul reddito». Esaminando da vicino l'attività di accertamento dell'Agenzia delle entrate si nota infatti come ci sia qualcosa che non va. La rottamazione, per esempio, a fronte di crediti originari per oltre 45 miliardi di euro e domande presentate pari a 37 miliardi, con un incasso aspettato pari a circa 21,8 miliardi di euro, ha ottenuto solo 10,4 miliardi. C'è anche da dire che per la rottamazione ter, così come il saldo e stralcio, le finestre di adesione alla procedura sono state riaperte. In questo modo si spera di poter attrarre molti altri contribuenti che hanno ancora debiti irrisolti con l'Amministrazione fiscale e non hanno presentato le domande nei tempi richiesti. A tutto questo si aggiunge il quadro negativo dipinto dalla Corte dei conti sulla situazione del debito italiano. «Dai dati contabili emerge con chiarezza la grave situazione di indebitamento che grava sul nostro Paese, indebitamento che ha origini lontane e che, nella sostanza, continua a crescere. L'indebitamento ha un costo finanziario gigantesco, in senso di corresponsione di interessi, di perdita di credibilità del sistema Paese, di ostacolo alle politiche di sviluppo». Parole che potrebbero non fare bene all'Italia, soprattutto in questo preciso momento politico, in cui si sta cercando di mediare con la Commissione europea per evitare la procedura di infrazione. Queste potrebbero infatti essere «usate» dai commissari europei contro l'Italia, per non ritenere sufficiente il documento, che sarà portato la prossima settimana a Strasburgo per evitare la procedura di infrazione, che spiegherà la riduzione del deficit 2019.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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