2020-02-06
Big di Confindustria in tribunale. Ma ancora brigano per le nomine
Il gruppo Maccaferri ristruttura 750 milioni di debiti: ennesima azienda in crisi tra quelle che oggi decidono i candidati al vertice.A traballare è una delle più antiche dinastie industriali emiliane, tanto che i sindacati parlano di una Parmalat in salsa bolognese anche se in questa crisi non vi è traccia di reati. Di certo però, il gruppo Maccaferri è finito in concordato dopo aver accumulato 750 milioni di debiti con le banche e la famiglia è destinata a perdere il controllo dell'«argenteria», ovvero la società meccanica Samp e le Officine Maccaferri destinate a finire nella rete dei fondi (Carlyle e una cordata formata da Oxy Capital e Hps). Caso vuole che la partita sul futuro di queste aziende si giochi proprio in piena campagna elettorale per la nomina del nuovo vertice di Confindustria di cui in passato è stato vicepresidente sotto Giorgio Squinzi - nonché ex leader degli industriali bolognesi - il patron del colosso manifatturiero, Gaetano Maccaferri. Un dettaglio non di poco conto, considerando il peso delle relazioni sui giochi di potere al momento del «conclave» di viale dell'Astronomia.Ma cosa sta succedendo a Bologna? A inizio giugno il gruppo ha chiesto l'ammissione al concordato per le prime quattro società dopo aver accumulato 750 milioni di debiti a causa di alcuni investimenti andati male. Nei giorni scorsi davanti ai giudici bolognesi si è tenuta l'udienza su cinque aziende controllate. Alla famiglia, che a settembre è riuscita a vendere ai cinesi la controllata Exergy (attiva nelle energie rinnovabili), rimarrà il controllo della holding Seci il cui piano di rientro sarà, invece, presentato in tribunale a metà febbraio. Nel perimetro di Seci dovrebbe rimanere la controllata Manifatture Sigaro Toscano rimasta finora indenne dalla crisi degli altri settori anche se lo scorso 3 ottobre ha dovuto stoppare la quotazione in Piazza Affari per colpa delle «condizioni economiche e della volatilità del mercato borsistico». Tra i soci di minoranza di Mst c'è la holding Mcg della famiglia Montezemolo, la Comimpresa dell'ex presidente degli industriali laziali, Aurelio Regina, e la Antelao dell'ex presidente dell'Enel, Piero Gnudi. Il Sigaro Toscano è dunque strategico non solo per motivi industriali ma anche per una questione di relazioni. Tanto che a presiedere la società è Luca Cordero di Montezemolo, che ha provato a portare la Manifattura nella sua galassia, con Regina come vice. L'impatto della crisi su rapporti ed eventuali trattative, e lo stesso peso dei Maccaferri a livello territoriale, possono quindi spostare qualche carrarmato nella partita di risiko confindustriale che sta per iniziare. Eppure si tratta dell'ennesima azienda di proprietà di big dell'associazione che non naviga in buone acque. Lo stampatore Luigi Abete, ex presidente, ha dovuto fare i conti con la rivolta dei giornalisti della sua agenzia di stampa Askanews che ha presentato richiesta di concordato preventivo in continuità. Il presidente degli industriali del Lazio, Filippo Tortoriello, ha dovuto gestire la liquidazione del gruppo Gala da lui fondato. E lo stesso Vincenzo Boccia, con la sua Agb (Arti Grafiche Boccia) ha da poco chiesto al tribunale fallimentare la ristrutturazione del debito. Mentre il favorito della prossima corsa, il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi, ha chiuso i conti 2018 della sua piccola Synopo spa con un rosso di 275.000 euro. Forse per meglio affrontare le sfide impegnative del futuro, il prossimo capitano degli imprenditori italiani dovrebbe già essere al timone di un gruppo solido, magari di dimensioni più corpose. Un vero capitano d'industria e non di fallimenti. Di certo, da qui al 23 marzo giorno della votazione in consiglio a Roma i negoziati si faranno sempre più caldi. Ieri a mezzanotte è scaduto il termine per la presentazione dell'autocandidatura alla presidenza. In pista dovrebbero scendere Bonomi, la torinese Licia Mattioli e il bresciano Giuseppe Pasini. Mentre si fa la conta delle lettere di sostegno (Bonomi verso le 50, Pasini le 30 e Mattioli stabile a 23) , c'è chi già pensa alle alleanze: nei giorni scorsi Bonomi avrebbe chiamato e poi incontrato la Mattioli senza, però, raggiungere un accordo. Quest'ultima avrebbe declinato la richiesta di accordo. Che non si può comunque escludere più avanti in quanto al momento l'imprenditrice del settore orafo avrebbe il minor numero di consensi anche se da diverse regioni, non solo dal Piemonte. Al capo di Assolombarda resta il rischio di dover bussare alla porta degli industriali del Sud e dei romani, per allungare la distanza dall'imprenditore siderurgico bresciano.
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Charlie Kirk (Getty Images)