2023-12-08
Biden si sfila da Kiev e incolpa i repubblicani
Volodymyr Zelensky (Ansa)
Per giustificare il calo del sostegno a Zelensky, il presidente si nasconde dietro gli avversari. Ma ad attaccare in patria il leader ucraino sono figure vicine alla sinistra Usa, la quale deve fare i conti con il proprio elettorato, contrario ad altri aiuti agli invasi. Che il sostegno statunitense a Volodymyr Zelensky si stia raffreddando, non è un mistero. Il punto è che, secondo una certa vulgata, questa situazione sarebbe totalmente imputabile ai repubblicani, che vengono accusati di essere isolazionisti, se non addirittura filorussi. Di contro, sempre stando a tale vulgata, Joe Biden sarebbe intenzionato a mantenere il sostegno militare al presidente ucraino, se solo i parlamentari del Gop glielo consentissero: una linea, questa, che è di fatto stata rilanciata ieri sulle prime pagine del Corriere della Sera e di Repubblica. Ora, è senz’altro vero che mercoledì sono stati i repubblicani a bloccare in Senato un pacchetto da 110 miliardi di dollari, di cui 61 miliardi costituivano aiuti per Kiev. Tuttavia siamo sicuri che la Casa Bianca abbia realmente tutta questa voglia di continuare a sostenere il leader ucraino? Svariati indizi suggeriscono il contrario. Cominciamo col ricordare che, negli scorsi giorni, Zelensky è stato duramente criticato da due importanti esponenti del mondo politico ucraino: stiamo parlando del sindaco di Kiev, Vitali Klitschko, e dell’ex presidente ucraino, Petro Poroshenko. Ora, l’aspetto interessante è che entrambe queste figure sono storicamente legate all’establishment del Partito democratico statunitense. A giugno 2022, Klitschko ha avuto un incontro con Biden durante il summit Nato di Madrid. Inoltre, all’inizio del 2014, l’attuale sindaco era uno dei principali leader dell’opposizione di allora e - tre settimane prima della fuga di Viktor Yanukovich - ebbe, insieme a Poroshenko, un meeting con l’allora segretario di Stato americano, John Kerry. Klitschko fu anche citato nella famosa telefonata tra l’allora sottosegretario americano per gli Affari europei, Victoria Nuland, e l’allora ambasciatore americano in Ucraina, Geoffrey Pyatt: si tratta della conversazione in cui la diretta interessata disse: «l’Ue si fotta». Ebbene, in quella telefonata fu discusso l’eventuale ingresso di Klitschko in un governo di larghe intese in Ucraina: un ingresso che la Nuland sconsigliò, lasciando intendere che non avesse l’esperienza necessaria, senza tuttavia citare divergenze di natura politica. Del resto, a marzo 2014 Klitschko si incontrò nuovamente con Kerry, mentre a dicembre 2015 ebbe un faccia a faccia con lo stesso Biden, che all’epoca era vicepresidente degli Usa. Anche Poroshenko, che fu presidente dell’Ucraina per un solo mandato dal 2014 al 2019, è una figura vicina al Partito democratico americano. Alle elezioni ucraine del 2019 era lui il candidato presidenziale de facto sponsorizzato dai dem, mentre Zelensky veniva considerato maggiormente vicino a Donald Trump. Del resto, nel giugno 2014, Poroshenko, da presidente in pectore, aveva ricevuto l’endorsement di Barack Obama. Sempre Poroshenko ebbe un incontro con Hillary Clinton a settembre 2016, mentre l’anno prima era stato ospite di un meeting della Clinton global initiative. Inoltre, a gennaio 2017, Politico pubblicò un’inchiesta in cui si mostrava come dei funzionari ucraini avessero aiutato il comitato elettorale di Hillary nel «ricercare informazioni dannose su Trump» in occasione delle presidenziali americane del 2016. Poroshenko, va detto, ha sempre professato la propria neutralità. Tuttavia la testata riferì di aver «trovato prove del coinvolgimento del governo ucraino nella corsa presidenziale, che sembrano mettere a dura prova il protocollo diplomatico che impone ai governi di astenersi dal partecipare alle elezioni l’uno dell’altro». Insomma, non è del tutto escludibile che le critiche di Poroshenko e Klitschko all’attuale presidente ucraino siano avvenute, se non proprio su input, almeno con il benestare dell’amministrazione Biden. D’altronde, i veri sponsor di Zelensky negli ultimi due anni sono stati il Regno Unito e la Polonia: la Casa Bianca si è accodata successivamente e, almeno in parte, obtorto collo. A seguito della Brexit e già prima dell’invasione russa, Londra rafforzò i legami con Kiev nel settore del commercio e della difesa. Tutto questo, mentre a luglio 2021 Ucraina e Polonia emisero una nota congiunta contro il via libera concesso all’epoca da Biden al gasdotto Nord Stream 2. E quindi che cosa è successo? È successo che i Tory britannici negli ultimi mesi sono sprofondati sempre più nel caos, mentre in Polonia si è registrata l’ascesa di Donald Tusk: figura assai meno atlantista dei conservatori di Diritto e Giustizia e che risulta storicamente un’indiretta espressione dell’asse franco-tedesco. Quell’asse che, al di là delle dichiarazioni di facciata, non ha mai digerito la linea dura nei confronti di Mosca. Senza contare che, sull’invasione russa dell’Ucraina, Londra e Washington si sono rivelate talvolta assai meno allineate di quanto apparisse in superficie. A maggio, l’allora ministro degli Esteri britannico, James Cleverly, disse per esempio di sostenere il diritto di Kiev a condurre attacchi in territorio russo: una posizione da cui invece la Casa Bianca prese le distanze. Ecco: il mutamento della situazione politica in Gran Bretagna e Polonia ha indebolito i principali sponsor di Zelensky. E adesso Biden ne approfitta per iniziare a sfilarsi. Un atteggiamento, il suo, che nasce da svariate motivazioni. Il presidente è in campagna elettorale e un sondaggio di agosto della Cnn registrò che il 55% degli americani risulta contrario a ulteriori aiuti a Kiev. In secondo luogo, le pressioni mediorientali sulla Casa Bianca si stanno facendo sentire sempre di più: non a caso, Biden sta concentrando la propria attenzione sul tentativo di risolvere la spinosa crisi di Gaza. In terzo luogo, lo scorso 2 ottobre Politico rivelò l’esistenza di un documento sensibile del governo americano, secondo cui «i funzionari dell’amministrazione Biden sono molto più preoccupati per la corruzione in Ucraina di quanto ammettano pubblicamente». La stessa testata riportò che il presidente americano stava considerando di subordinare l’invio di aiuti non militari all’implementazione di riforme anticorruzione da parte del governo di Kiev. Sempre Politico, a marzo, aveva riferito di tensioni tra la Casa Bianca e Zelensky sul dossier della Crimea. Senza poi trascurare gli attriti relativi alla questione della controffensiva ucraina, recentemente raccontati dal Washington Post. È da rilevare che a votare contro il provvedimento contenente gli aiuti all’Ucraina in Senato sono stati anche repubblicani storicamente fautori di Kiev, come il capogruppo del Gop, Mitch McConnell. Il punto è che, in cambio dell’ok al pacchetto, il partito Repubblicano aveva chiesto l’inserimento di misure più stringenti in materia migratoria: misure che i dem non hanno però alcuna intenzione di accettare. Domanda: ma se è così desideroso di aiutare l’Ucraina, perché il Partito democratico non cerca di arrivare a un compromesso su questo punto, anziché fare semplicemente muro? La vulgata che vede i repubblicani impedire a Biden di sostenere Kiev, forse, va leggermente rivista.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
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