2021-01-22
Biden si gode l’adorazione dei media mentre silura il funzionario sgradito
Il dem, osannato come il salvatore dopo la «tirannia» del predecessore, il primo giorno dopo l’insediamento ha cacciato il capo dell’agenzia garante dei lavoratori, nominato dal tycoon: mai successo in oltre 50 anniL’insediamento alla Casa Bianca di Joe Biden è stato accompagnato da un coro di generale esaltazione. Gran parte della stampa (americana e nostrana) ha salutato l’evento con toni enfatici, parlando di un «ritorno» dell’America e della democrazia. Quasi a voler dire che, negli ultimi quattro anni, gli Stati Uniti si siano ritrovati governati da una tirannide, mentre adesso la libertà sarebbe tornata a trionfare. Lo stesso Biden, del resto, nel suo discorso d’insediamento ci ha messo del suo. Il neo presidente ha infatti affermato: «Oggi celebriamo il trionfo non di un candidato, ma di una causa, la causa della democrazia». Sottinteso: trionfa la libertà e il dittatore biondo se n’è andato con la coda tra le gambe. Non pago, ha poi aggiunto: «Ripristineremo le nostre alleanze e ci impegneremo ancora una volta con il mondo». Frase, questa, che è stata salutata da molti come l’abbandono del bieco nazionalismo trumpista e il ritorno degli Stati Uniti nel mondo. E pensare che, ai tempi di George W. Bush, i benpensanti dicevano che l’America non dovesse immischiarsi negli affari altrui! Insomma, con Biden, assistiamo al trionfo della libertà, della democrazia, della diversità, della competenza, del senso istituzionale, eccetera. E però, in questo profluvio di encomi, una notiziola è passata in sordina. Nelle scorse ore, più o meno mentre siglava decreti per smantellare l’eredità del predecessore e annunciava la sua strategia sulla pandemia, il neo presidente ha silurato Peter Robb, Consigliere generale del National Labour Relations Board (agenzia federale indipendente che presiede alla contrattazione collettiva e che gestisce le controversie sindacali). Secondo quanto riferito da Bloomberg News, l’amministrazione entrante - pochi minuti dopo il giuramento di mercoledì- ha inviato una missiva a Robb, esortandolo a dimettersi entro le ore 17 del giorno stesso. Il diretto interessato ha replicato con una lettera, dichiarando: «Rifiuto rispettosamente di dimettermi dalla mia nomina di quattro anni confermata dal Senato come Consigliere generale dell’Nlrb a meno di dieci mesi dalla scadenza del mio mandato». Ricordiamo che Robb è stato nominato da Trump e confermato dal Senato nel novembre del 2017. Evidentemente non contenta della replica, l’amministrazione Biden ha proceduto al licenziamento del funzionario. Secondo Bloomberg News, Robb è il primo Consigliere generale dell’Nlrb a essere licenziato da un presidente in oltre cinquant’anni. Pare che il nuovo inquilino della Casa Bianca abbia subito le pressioni del mondo sindacale: un mondo che ha sempre accusato Robb (collaboratore di Ronald Reagan ai tempi dello sciopero dei controllori di volo del 1981) di un atteggiamento fondamentalmente antisindacale. Ora, il punto in questione non è se Biden abbia o meno il diritto di scegliere un nuovo direttore dell’Nlrb: è ovvio che lo abbia. Il punto risiede semmai nell’opportunità politica di agire in questo modo unilaterale e in spregio dei precedenti. Anche perché, mancano comunque pochi mesi alla scadenza naturale del mandato di Robb. Ed è qui che allora si scorge un certo doppiopesismo rispetto a Trump. L’ex presidente è stato sovente accusato di agire in modo autoritario e di fare frequente ricorso al metodo dello spoils system. Addirittura, durante le audizioni del processo di impeachment nel 2019, gli fu contestato di aver richiamato l’ambasciatrice statunitense in Ucraina, Marie Yovanovitch (nonostante la Costituzione garantisca al presidente il potere di condurre la politica estera americana). Eppure, quando si trattò di nominare Robb, Trump -entrato in carica il 20 gennaio del 2017- attese il settembre di quell’anno, lasciando che il Consigliere generale dell’Nlrb nominato da Barack Obama nel 2013, Richard Griffin, terminasse naturalmente il suo mandato. Se vogliamo, il paradosso supremo sta nel fatto che Biden, appena arrivato allo studio ovale, ha fatto rimuovere il ritratto di Andrew Jackson: primo presidente democratico della storia americana, molto amato da Trump per la sua carica antiestablishment e considerato generalmente l’inventore dello spoils system. Ma il problema, ripetiamolo, non è lo spoils system in sé: il problema è il metodo, forzato e ai limiti dell’intimidazione, adottato nel più totale spregio delle consuetudini. Qualcuno obietterà che «Trump faceva di peggio» e che non è quindi il caso di «fare le pulci» a Biden. Spiacenti, il ragionamento non funziona. Punto primo, perché -come abbiamo visto- Trump attese che il Consigliere generale dell’Nrlb di Obama completasse il suo mandato. Punto secondo, perché – nonostante una sentenza della Corte Suprema dello scorso giugno - non è chiaro se un presidente disponga dell’autorità legale per silurare i vertici di un’agenzia federale indipendente. Punto terzo, perché, se anche Trump «avesse fatto di peggio», significherebbe che il comportamento di Biden -nonostante le celebrazioni enfatiche- non si discosta affatto da quello del predecessore. Tutto questo, con l’aggravante dell’ipocrisia di chi si autoproclama restauratore di chissà quali valori e poi, fa ricorso a un uso non poco spregiudicato del proprio potere. Chiediamo sommessamente: un simile atteggiamento è coerente con l’unità nazionale tanto invocata da Biden? Giusto per sapere.
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