2025-07-09
Bibi candida Trump al Nobel per la pace. Se l’ha vinto Obama Donald ne merita due
Donald Trump e Bibi Netanyahu (Ansa)
Durante la visita a Washington, Netanyahu sorprende il tycoon. Poi il presidente Usa: «Vicina l’intesa per la tregua di 60 giorni».Durante la visita alla Casa Bianca il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha consegnato a Donald Trump una lettera per proporlo al premio Nobel per la Pace. L’incontro ha rappresentato il culmine di quasi cinque ore di discussioni preliminari, tra cui un’approfondita riunione di due ore con l’inviato di Trump, Steve Witkoff, focalizzata sui negoziati relativi alla liberazione degli ostaggi a Gaza, seguita da un prolungato confronto con il segretario di Stato, Marco Rubio. «Voglio darti questa lettera, signor Presidente. Si tratta di una candidatura al Nobel per la Pace, ed è pienamente meritata», ha affermato Netanyahu. «Wow, grazie, non ne ero a conoscenza, grazie davvero. Da te ha un grande significato. Grazie Bibi», ha replicato un Trump visibilmente emozionato, utilizzando il soprannome confidenziale del premier israeliano. La notizia ha immediatamente suscitato reazioni polemiche da parte degli oppositori politici di entrambi i leader, che non hanno perso occasione per ironizzare sull’iniziativa. In molti, però, hanno dimenticato che nel 2009 il premio Nobel per la Pace fu attribuito all’allora presidente americano Barack Obama, appena insediatosi alla Casa Bianca e privo ancora di un reale bilancio d’azione. Quel riconoscimento, esposto con orgoglio nella sua libreria, non impedì a Obama di condurre operazioni militari in sette Paesi, restare inerte di fronte ai massacri ordinati da Bashar al-Assad in Siria, e agevolare l’ascesa al potere dei Fratelli Musulmani in Egitto con Mohammed Morsi. Solo in un secondo momento ci si rese conto che Morsi stava cercando di smantellare l’ordinamento costituzionale per imporre la sharia (la legge islamica). Da qui, nel 2013, il colpo di Stato che portò al governo l’allora generale Abdel Fattah al-Sisi, tuttora al potere, e considerato da molti un baluardo contro l’estremismo islamico nella regione. E che dire del caos generato in Libia dalla «premiata ditta» composta da Barack Obama, Nicolas Sarkozy, Hillary Clinton e David Cameron? Furono loro a trascinare ben 19 Paesi in un’operazione militare volta alla rimozione del rais libico (con il quale Sarkozy aveva più di un conto da regolare), senza però predisporre il minimo piano per il dopo-Gheddafi. Gli effetti devastanti di quella scelta sono sotto gli occhi di tutti: dal 20 ottobre 2011, giorno in cui Muammar Gheddafi fu ucciso, la Libia è sprofondata in un conflitto permanente, divenendo terreno fertile per milizie, traffici illeciti e destabilizzazione regionale dove Vladimir Putin si è infilato con facilità. L’elenco degli errori strategici commessi da Barack Obama in politica estera sarebbe sufficiente a riempire intere pagine di un quotidiano. E, sempre a proposito di premi Nobel assegnati con leggerezza, impossibile non citare il caso forse più controverso di tutti: quello del 1994, quando il riconoscimento per la Pace fu attribuito a Yasser Arafat, insieme a Shimon Peres e Yitzhak Rabin, per il loro ruolo nei negoziati che portarono agli Accordi di Oslo, storico tentativo di risolvere il conflitto israelo-palestinese. Il problema? Arafat, leader palestinese miliardario (almeno 2 miliardi di dollari lasciati a moglie figlia), e figura centrale del terrorismo internazionale, venne equiparato a due autentici uomini di pace, nonostante avesse sistematicamente ostacolato ogni vera intesa ordinando attacchi terroristici e dirottamenti aerei. Una scelta che rappresenta un insulto alla memoria e alla verità storica - e che troppi, oggi, sembrano aver dimenticato. Per tornare al vertice della Casa Bianca, Netanyahu ha lodato la visione del presidente statunitense per il futuro di Gaza, definendola «un’intuizione brillante» fondata sul principio della libera scelta. «Se i palestinesi vogliono restare, devono poterlo fare. Ma se preferiscono andarsene, occorre offrire loro questa opportunità. Gaza non può rimanere una prigione: deve trasformarsi in uno spazio aperto dove la popolazione possa realmente scegliere il proprio destino», ha dichiarato Netanyahu. Il primo ministro ha riaffermato il proprio appoggio alla proposta di trasferimento volontario dei civili palestinesi, già ventilata dall’amministrazione americana. «Collaboriamo a stretto contatto con gli Stati Uniti per individuare Paesi disposti ad accogliere coloro che desiderano ricominciare una nuova vita altrove. Siamo ormai prossimi a un’intesa con diverse nazioni», ha precisato. Nel corso dell’incontro con Netanyahu, il presidente Trump ha ribadito l’urgenza di raggiungere un cessate il fuoco stabile e di ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas. «Penso che siamo vicini a un’intesa su Gaza, potremmo concluderla entro questa settimana», ha affermato, sottolineando come Hamas «sia interessato alla tregua» e che «tutti gli attori coinvolti stiano collaborando in maniera costruttiva». Fulcro delle trattative sono i negoziati in corso a Doha sotto la mediazione del Qatar, dove è atteso l’inviato speciale della Casa Bianca Witkoff. A lui spetterà il compito di consolidare un’intesa con le delegazioni israeliana, qatariota ed egiziana. L’obiettivo resta la definizione di un accordo che preveda una tregua di sessanta giorni, il rilascio graduale degli ostaggi e l’introduzione di un nuovo meccanismo per la distribuzione degli aiuti umanitari all’interno della Striscia di Gaza e forse l’inizio di un’altra storia da raccontare. Ma su questo, visto gli interlocutori palestinesi, è lecito avere molti dubbi.