2021-07-12
Berrettini lotta, Djokovic è un alieno
Il tennista romano strappa a sorpresa il primo set al numero 1 del mondo, che reagisce da mostro vincendone tre di fila. Per lui sesto Wimbledon in carriera: è imbattibile. C'è un rituale che rende Novak Djokovic un imperatore del tennis, laddove gli altri, persino i più dotati, possono fregiarsi della dignitosa investitura di vassalli o valvassori. La risposta alle prime palle di servizio. Nole ciondola sulle ginocchia accuratamente piegate, mantiene la schiena dritta come un fuso, particolarità che lo rende simile a un serpente quando sta per rifilare il morso letale. Poi impugna la racchetta con ambo le mani giunte, tenendola davanti allo sterno, quasi fosse l'estensione terrena di una preghiera rivolta all'Altissimo, o, perché no, la spada di un cavaliere templare. A quel punto mette in soggezione il pubblico e l'avversario, poco importa se è un battitore poderoso come Matteo Berrettini: lo fissa, dondola un poco con i fianchi, legge la traiettoria della palla già dal lancio, vi si avventa pescando geometrie variabili con l'appetito di uno squalo tigre a digiuno da mesi. La vittoria del serbo terribile nella finale di Wimbledon (6-7 6-4 6-4 6-3 in tre ore e 24 minuti, è il sesto titolo sul prato londinese per lui e il ventesimo Slam in carriera) sta soprattutto lì. A Djokovic non si possono concedere palle break, lui è di quella schiatta di atleti il cui talento non è solo una questione di nascita, di suggestione, di cultura: è lo stile del proprio sangue, mediato dalla costruzione progressiva del proprio essere. Berrettini aveva sperato di scalfire le certezze del numero uno del tabellone. Sotto 5-2 nel primo set, il romano ha messo da parte i tremori, giocando con la fluidità di braccio che gli ha permesso di vincere sull'erba del Queen's e di approdare nella finale del torneo più prestigioso del mondo mandando a segno ben 100 ace. Mai nessun italiano c'era riuscito prima. Ha rifilato scudisciate di dritto, ricominciato a macinare prime di servizio, qualche palla corta ben assestata, persino un paio di volée, colpo nel quale non eccelle, facendo della leggerezza di non aver nulla da perdere un privilegio stilistico: 5-5, poi 6-6, tie break. Sguardi d'intesa con il suo entourage, nel quale spiccavano coach Vincenzo Santopadre e la fidanzata Ajla Tomljanović, set portato a casa con convinzione. E però tutti, Matteo in primis, sapevano che il serbo si esalta proprio se sobillato dalla fregola di recuperare terreno perduto. Ecco allora che nel secondo set Djokovic ha cominciato a fare un po' di più il Djokovic, e Berrettini, bontà sua, un po' meno il Berrettini a cui ci ha abituati. Qualche errore forzato, tentativi di rallentare gli scambi mentre il contendente scovava righe impossibili, una saltuaria sindrome del braccino durante l'esecuzione delle prime palle. Nole ha agguantato il secondo set 6-4, ha guardato la telecamera in un cambio di campo, picchiettandosi nervoso con l'indice una tempia, come ad autoconvincersi: «Sono concentrato, il torneo è mio». Il terzo set è servito poi a certificare una diagnosi: non è stato Matteo a perdere il match, è stato l'avversario a vincerlo. E tanto basta per avviarsi al quarto set con la dignità di un Gioacchino Murat prima della fucilazione: «Sparate al cuore, risparmiate il viso», disse il generale francese. Dopotutto, se si tratta di cuore, Berrettini ne ha uno grande tanto quanto la sua mole. La dimensione giusta per contenere ambizioni destinate a crescere. Perdere la prima finale di un Grande Slam quasi perfetto contro il numero uno Atp dopo aver già vinto due tornei (Belgrado e il Queen's) dall'inizio della stagione significa accumulare l'esperienza necessaria a conservarsi in pianta stabile nei top 10 del mondo, magari nei top 5. Ivan Lendl, prima di imporsi in una manifestazione del Grande Slam, fu sconfitto in ben quattro finali. Archiviata l'erba britannica, inizierà la fase calda dei tornei sul cemento in preparazione agli Us Open, dove Berrettini ha già raggiunto le semifinali nel 2019. Lì il capobranco di una generazione tricolore di tennisti talentuosi potrà togliersi ulteriori soddisfazioni, a patto di non cedere all'incombenza di una nazione intera che, oggi più di ieri, crede in lui.