2022-07-13
        Benetton star d’incassi svendendo l’Italia
    
 
Lo storico marchio Autogrill, che avevano avuto dallo Stato, viene ceduto agli svizzeri di Dufry. Il titolo sarà tolto da Piazza Affari, fregatura per i piccoli risparmiatori. La grande stampa esalta l’operazione di una famiglia che resta col 20% e sembra vinca sempre.Fottere tutti e farsi applaudire. È la specialità dei Benetton. Se ci fosse una cattedra per la materia, sarebbero professori emeriti. Se ci fosse una specialità olimpica, sarebbero medaglia d’oro. Ce l’hanno nel sangue: riescono sempre dare il peggio al Paese che, per contro, ogni volta inspiegabilmente li ricambia ricoprendoli di peana e onori. L’ultima impresa: l’affare Autogrill. Uno storico marchio italiano (un altro!) viene venduto all’estero, le leve del comando passano agli svizzeri della Dufry, il titolo sarà tolto da Piazza Affari e quotato solo a Zurigo e come se non bastasse i piccoli risparmiatori vengono bastonati. Gli unici che ci guadagnano, insomma, sono i medesimi Benetton. I quali però, come sempre, se ne escono circondati da euforici applausi e commenti entusiasti. «Nasce il nuovo gigante», «ecco il colosso globale», «ecco il campione globale», «accordo strategico», «Inizio di una nuova era», «passo decisivo», «nozze da 12 miliardi», titolano i giornali. E Alessandro Benetton, che ha concluso l’operazione, arriva a dire (al Messaggero) che così si ritorna «allo spirito dei padri fondatori». Infatti, lo si è sempre saputo che Autogrill era stata fondata per diventare svizzera. Di secondo nome infatti fa Heidi.«La realtà è che un altro pezzo dell’imprenditoria italiana è finito in mani straniere», ha scritto Gianluca Baldini sulla Verità di ieri. Ma la realtà non interessa a nessuno. E infatti la nostra è stata, come spesso ci accade, l’unica voce fuori dal coro dei commenti entusiasti. «Campione internazionale», «integrazione strategica«, «prosecuzione di un percorso di crescita», hanno scritto i giornali. Ma di crescita per chi? Non certo per i piccoli azionisti che ci hanno rimesso di tasca loro. Non certo per il titolo in Borsa che è crollato (pardon, la versione ufficiale dice che «si è adeguato»). Non per i consumatori che si troveranno davanti un nuovo gigante che, alla faccia di tutti gli antitrust, imporrà prezzi ancora più cari al panino Camogli, ammesso che resti Camogli e non venga ribattezzato Berna o Canton Ticino. Però i Benetton dopo essersi arricchiti gestendo per anni la gallina d’oro delle autostrade per gentile concessione pubblica; dopo aver incassato 8,2 miliardi di euro come premio per averlo fatto talmente male da farle cadere a pezzi; dopo aver evitato la revoca della concessione (che è invece toccata a Carlo Toto per la A24 e A25), adesso svendono all’estero il marchio Autogrill che avevano avuto dallo Stato. E passano pure per eroi. Per geni dell’economia. «I Benetton salgono al comando», riesce a scrivere qualche cronista in preda all’euforia. Come no. Al comando. Con il 20 per cento delle azioni. La famosa maggioranza del 20 per cento che comanda sulla minoranza dell’80 per cento.È vero che, con quel 20 per cento delle azioni, i Benetton saranno i primi azionisti del gruppo. Ma è vero anche che non potranno comandare nulla. Come dimostra il fatto che nelle cariche di presidente esecutivo e di ceo vengono confermati gli attuali manager del gruppo svizzero, Juan Carlos Torres e Xavier Rossinyol, mentre ad Alessandro Benetton viene riservata la carica di presidente onorario. Eppure i quotidiani nascondono la verità sotto fiumi di eufemismi. Scrivono che la «governance è mista». Mista, capite? Gli svizzeri hanno presidente esecutivo e ceo, gli italiani la presidenza onoraria: «governance mista»? Davvero? Però ecco, «i manager italiani lavoreranno a stretto contatto con quelli svizzeri», aggiungono i sottili analisti economici. Perbacco: questa sì che è una conquista importante. E cosa fanno i manager italiani per essere a contatto con i colleghi della Dufry? Prendono l’ascensore insieme? O si mettono sotto la scrivania? O li aspettano alla macchinetta del caffè?«Tecnicamente si configura come un’acquisizione» è costretto ad ammettere qualche giornale fra le righe. Ma va? Pensa un po’. Però lo dicono sottovoce. Vergognandosene un po’. Nascondendolo sotto tonnellate di melassa euforica per la grande operazione. Perché l’immagine che deve passare è quella dei Benetton vincitori, che fottono e vincono come sempre, che creano giganti, colossi, accordi strategici, integrazioni miracolose. Che diventano leader del travel concession market. Che fondano la big del travel retail (un po’ di inglesorum fa sempre bene). «I Benetton portano in dote i loro valori e la loro cultura aziendale», scrive La Stampa. Ovviamente nella speranza che valori e cultura aziendale non siano quelli della grigliata a Cortina dopo il crollo del Ponte Morandi. Ma insomma: perché su questi signori, qualsiasi cosa combinino, vige sempre un pregiudizio positivo? Non riesco proprio a capire. Hanno guadagnato soldi per anni alle nostre spalle con le autostrade, le hanno gestito male da provocare disastri, per ringraziarli di tutto ciò li abbiamo riempiti di soldi. E ora, come se non bastasse, li facciamo passare per eroi perché hanno ceduto agli svizzeri uno storico marchio italiano…Non è il primo, certo. Da Galbani a Invernizzi, da Carapelli a Bertolli, da Plasmon a Peroni, da Gancia a Pernigotti, passando per l’intero settore della moda (Versace, Ferrè, Valentino, Bulgari, Gucci, etc.), per quello dei motori (Ducati, Lamborghini, Pininfarina), per le biciclette (Bianchi e Atala), gli yacht Ferretti, la Carta Fabriano, la Riello, la Piaggio, fino ad arrivare ai vigneti e ai grandi hotel, sono tanti i pezzi d’Italia ormai non più italiani. Ma ogni volta fa male. Perché questi marchi raccontano la nostra storia. Il primo autogrill, per dire, è del 1947, lo inventò Mario Pavesi, il papà dei Pavesini. Da allora il loro sviluppo ha accompagnato la nostra storia: il boom economico, le vacanze con la Cinquecento, gli esodi degli anni Settanta… In quelle aree di sosta c’è qualcosa della nostra vita. Ora quel qualcosa è nelle mani degli svizzeri. Ma non ditelo a nessuno. Non vorrete mica disturbare la grande operazione strategica di quei geni dei Benetton?
        (Guardia di Finanza)
    
I Finanzieri del Comando Provinciale di Varese, nell’ambito di un’attività mirata al contrasto delle indebite erogazioni di risorse pubbliche, hanno individuato tre società controllate da imprenditori spagnoli che hanno richiesto e ottenuto indebitamente oltre 5 milioni di euro di incentivi per la produzione di energia solare da fonti rinnovabili.
L’indagine, condotta dalla Compagnia di Gallarate, è stata avviata attraverso l’analisi delle società operanti nel settore dell’energia elettrica all’interno della circoscrizione del Reparto, che ha scoperto la presenza di numerose imprese con capitale sociale esiguo ma proprietarie di importanti impianti fotovoltaici situati principalmente nelle regioni del Centro e Sud Italia, amministrate da soggetti stranieri domiciliati ma non effettivamente residenti sul territorio nazionale.
Sulla base di tali elementi sono state esaminate le posizioni delle società anche mediante l’esame dei conti correnti bancari. Dall’esito degli accertamenti, è emerso un flusso finanziario in entrata proveniente dal Gestore dei Servizi Energetici (GSE), ente pubblico responsabile dell’erogazione degli incentivi alla produzione di energia elettrica. Tuttavia, le somme erogate venivano immediatamente trasferite tramite bonifici verso l’estero, in particolare verso la Spagna, senza alcuna giustificazione commerciale plausibile.
In seguito sono state esaminate le modalità di autorizzazione, costruzione e incentivazione dei parchi fotovoltaici realizzati dalle società, con la complicità di un soggetto italiano da cui è emerso che le stesse avevano richiesto ad un Comune marchigiano tre diverse autorizzazioni, dichiarando falsamente l’installazione di tre piccoli impianti fotovoltaici. Tale artificio ha consentito di ottenere dal GSE maggiori incentivi. In questi casi, infatti, il Gestore pubblico concede incentivi superiori ai piccoli produttori di energia per compensare i maggiori costi sostenuti rispetto agli impianti di maggiore dimensione, i quali sono inoltre obbligati a ottenere l’Autorizzazione Unica Ambientale rilasciata dalla Provincia. In realtà, nel caso oggetto d’indagine, si trattava di un unico impianto fotovoltaico collegato alla stessa centralina elettrica e protetto da un’unica recinzione.
La situazione è stata segnalata alla Procura della Repubblica di Roma, competente per i reati relativi all’indebita erogazione di incentivi pubblici, per richiedere il sequestro urgente delle somme illecitamente riscosse, considerati anche gli ingenti trasferimenti verso l’estero. Il Pubblico Ministero titolare delle indagini ha disposto il blocco dei conti correnti utilizzati per l’accredito delle somme da parte del GSE e il vincolo su tutti i beni nella disponibilità degli indagati fino alla concorrenza di oltre 5 milioni di euro.
L’attività della Guardia di Finanza è stata svolta a tutela del corretto impiego dei fondi pubblici al fine di aiutare la crescita produttiva e occupazionale. In particolare, l’intervento ispettivo ha permesso un risparmio pari a ulteriori circa 3 milioni di euro che sarebbero stati erogati dal GSE fino al 2031 alle imprese oggetto d’indagine.
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