2024-02-15
Basta aiuti, il futuro di Fiat è a Parigi. E la famiglia ci risarcisca con l’Alfa
Inutile «regalare» altri sussidi, piuttosto il governo dovrebbe convincere i signori di Torino a restituirci il marchio d’auto che hanno ricevuto quasi in regalo. Con il partner straniero giusto rinascerebbe.La Fiat (scusate se continuo a chiamarla come l’abbiamo chiamata e finanziata per anni) bussa di nuovo a quattrini. Mentre a Torino infuria la battaglia per l’eredità, che potrebbe perfino portare a una revisione degli assetti proprietari, John Elkann chiede soldi per non chiudere alcuni stabilimenti del gruppo. La minaccia è stata anticipata da una lettera che il gruppo automobilistico ha spedito ai fornitori, invitandoli a trasferirsi in Marocco, dove l’azienda ha intenzione di dirottare parte della propria produzione. Qualora Giorgia Meloni decidesse di acconsentire alle richieste non fermerà il trasloco, ma regalerà soltanto qualche altro miliardo alla famiglia Agnelli e ai suoi soci. Infatti, io credo che aprire il portafogli per l’ennesima volta non impedirà un processo che appare irreversibile da anni, ossia l’addio del gruppo automobilistico all’Italia. I sussidi aiuteranno a mantenere in vita alcune linee di montaggio per un certo periodo, ma prima o poi la produzione fuggirà altrove, principalmente in Francia, dove Stellantis, la holding nata dalla fusione tra Fiat e Peugeot, conserva le radici.Dunque, se questa è la prospettiva, ci dobbiamo preparare alla fine dell’industria dell’auto in Italia? Non necessariamente: forse il declino dell’ex Fiat può essere l’occasione per far crescere qualche cosa di alternativo. Non so se ricordate: qualche anno fa la Volvo, storico marchio svedese da tempo in difficoltà, fu venduta agli americani della Ford e poi alla cinese Geely. In tanti pronosticavano la fine dell’azienda. In realtà, a dieci anni dal passaggio di mano, Volvo vende più di prima e a guidarla è un manager tedesco, con esperienza nel gruppo Man. Che voglio dire? Che nei panni di chi governa comincerei a pensare di favorire l’arrivo in Italia di un gruppo che possa essere alternativo alla Fiat. So che è più facile a dirsi che a farsi, ma se non vogliamo trovarci spogliati di un’altra industria, dopo quella dell’elettronica, la sola cosa che possiamo fare è aprire le porte a un’altra azienda automobilistica. Nel nostro Paese in passato abbiamo avuto fabbriche come la Lancia, l’Alfa Romeo e Maserati. Poi, per una serie di scelte sbagliate, ma soprattutto per la volontà della Fiat di eliminare i concorrenti, tutti i marchi sono finiti nell’orbita Agnelli e sappiamo con quali risultati. Torino ha tenuto in vita i brand, ma senza crederci e, soprattutto, senza metterci i soldi. Credo che tutti ricordino quando l’Iri di Romano Prodi, invece di vendere l’Alfa Romeo alla Ford, la cedette alla Fiat: invece del rilancio della storica casa automobilistica, iniziò la sua fine.Qualche anno fa, i tedeschi dell’Audi si fecero avanti per rilevare l’Alfa e farla risorgere, ma Marchionne disse no, per evitare la concorrenza in casa. Ormai Marchionne non c’è più e la concorrenza sul segmento alto, quello che Fiat non ha, la fanno grandi gruppi come Bmw, Mercedes, Audì e Porsche. Quanto ai segmenti più bassi ci sono Volkswagen, le auto francesi della stessa Stellantis e tutte le vetture che importiamo, dalla Cina, dalla Corea o dall’India. Dunque, siccome il futuro della Fiat è la ritirata dall’Italia, bisognerebbe convincere i signori degli Agnelli a mollare ciò che hanno praticamente ricevuto in regalo, vale a dire Alfa Romeo e consentire che un gruppo straniero, magari cinese, faccia ciò che John Elkann non vuole fare, ovvero investire nel nostro Paese. Un marchio come quello del Biscione visconteo potrebbe consentire a qualcuno che ne abbia voglia di fare quello che Geely ha fatto con Volvo, ovvero far risorgere dalle ceneri un marchio. Certo, si tratta di convincere gli Agnelli a mollare la presa, ma in fondo l’Alfa loro l’hanno praticamente ricevuta in regalo facendo appello all’interesse nazionale. Ora tocca al governo invocare l’interesse nazionale. Inoltre, gli eredi della real casa dell’industria di Torino hanno molto da farsi perdonare, a cominciare da quelle voci su tesoretti costituiti all’estero dall’Avvocato e forse anche dalla stessa consorte, che ora è oggetto dell’inchiesta della Procura di Torino.