2023-11-09
La banca dello Stato non versa gli extrautili
L'ad di Mps, Luigi Lovaglio (Imagoeconomica)
Anche Mps, controllato al 64% dal Mef, preferisce mettere a riserva 312,7 milioni piuttosto che pagare la tassa sui margini realizzati per l’aumento dei tassi. Ottima trimestrale: balzano i profitti, scende il rischio legale. Oggi udienza in sede civile sui crediti deteriorati.Il Monte dei Paschi non pagherà la tassa sugli extra-profitti, ma destinerà l’importo equivalente al rafforzamento del capitale. Lo si legge nella nota diffusa ieri sui conti trimestrali in cui si sottolinea anche che il cda, proporrà all’assemblea dei soci di «destinare a riserva di utili non distribuibili una somma non inferiore a 312,7 milioni di euro a livello di gruppo, quale opzione prevista dalla normativa sulla tassazione dei cosiddetti extra profitti». L’istituto senese si allinea dunque alle altre big del credito (come Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mediobanca e BancoBpm che nel complesso hanno accantonato 4,6 miliardi evitando di pagre 1,8 miliardi di imposta) ma in questo caso parliamo di una banca che è ancora controllata dal Tesoro con il 64%, quindi la scelta di sfilarsi è ancora più rilevante. Anche perché, aggiungendosi all’elenco di chi ha scelto la possibilità di evitare la tassa prevista dalla norma corretta in corsa, abbatterà ulteriormente la cifra di incassi prevista dal governo Meloni lo scorso agosto. Con l’opzione del Monte, il mancato gettito dalle prime quattro aziende bancarie italiane ammonta a 1,7 miliardi. A Siena si è comunque preferito destinare la somma al rafforzamento del proprio patrimonio, in vista dei primi sei mesi del 2024 che saranno decisivi per la discesa dello Stato dal capitale. Ieri l’ad Luigi Lovaglio ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con un utile netto di 929 milioni che si confrontano con una perdita di 334 milioni dello stesso periodo del 2022. Solo nel terzo trimestre i profitti hanno toccato i 310 milioni (rispetto al rosso di 387,5 milioni dello stesso periodo dell’anno scorso), più delle attese degli analisti. Rocca Salimbeni ha inoltre alzato le stime dei profitti per l’intero 2023 a oltre 1,1 miliardi e confermato il ritorno alla distribuzione di un dividendo per i soci a valere sull’utile 2024. I risultati sono stati favoriti, come per le altre banche, dal contesto determinato dai rialzi dei tassi Bce: il margine di interesse - ovvero la differenza tra i soldi incassati dagli interessi che i debitori pagano sui prestiti e quelli che l’istituto paga ai depositanti - è salito del 62% ad 1,67 miliardi. Scendono, invece, i proventi da commissione (-6,5%) a 986 milioni e quelli da attività finanziarie (-23%). Il positivo andamento del margine di interesse ha più che compensato la flessione delle commissioni nette (registrata soprattutto sui proventi della gestione del risparmio e sul comparto del credito, in ragione dell’evoluzione dello scenario macroeconomico) e il minor contributo degli altri ricavi della gestione finanziaria. I ricavi del terzo trimestre ammontano a 953 milioni (-2%). Scendono i costi mentre procede il piano di riduzione dell’organico. L’indice di redditività è pari al 15,1%. Gli impieghi alla clientela hanno raggiunto quota 78 miliardi, in crescita rispetto al 30 giugno 2023 (+1,9 miliardi). I crediti deteriorati proforma del gruppo a fine settembre ammontavano a 3,4 miliardi in termini di esposizione lorda, stabile rispetto al 30 giugno 2023 e in lieve aumento rispetto al 31 dicembre 2022 (+0,1 miliardi).Dalla trimestrale è però arrivata una notizia assai positiva per il Monte, il cui risanamento è stato minato anche dalla pesante eredità del passato in termini di contenziosi legali che sin qui ha contribuito a spaventare possibili cavalieri bianchi sul mercato. Ebbene, in seguito alla sentenza di assoluzione pronunciata dalla Corte di Cassazione nei confronti degli ex vertici Giuseppe Mussari e Antonio Vigni, il petitum complessivo è sceso a fine settembre a 2,9 miliardi da 4,1 miliardi di fine giugno. Nella nota sui conti, la banca ha spiegato di aver dimezzato del 50% il rischio specifico legato all’esito di quel procedimento da 1,6 miliardi a 800 milioni. Anche per gli altri contenziosi il rischio è in calo. Ora c’è attesa per la sentenza sull’ex presidente, Alessandro Profumo, e l’ex ad, Fabrizio Viola. Durante la conferenza telefonica di ieri con gli analisti, l’ad Lovaglio ha ricordato che il prossimo 27 novembre, a Milano, è in calendario la decisione sul processo di appello in sede penale. «Se sarà positiva, potrà avere un impatto sul conto economico», ha sottolineato. Oggi si terrà invece l’udienza preliminare in sede civile sul filone dei crediti deteriorati. In merito all’impatto sui conti di questo procedimento, Lovaglio ha sottolineato che «ci vorrà del tempo perché si inizieranno a valutare tutte le richieste e questo processo potrà durare mesi. Qualche informazione in più potremo averla nel primo trimestre del prossimo anno». Peraltro, dall’11 ottobre scorso (giorno in cui è stata emessa la sentenza di assoluzione di Mussari e Vigni), «tutte le pretese stragiudiziali, notificate alla banca successivamente al 29 aprile 2018, in coerenza con quanto statuito dalla sentenza della Cassazione sono da considerarsi prescritte», ha evidenziato l’ad. Il cambio di rotta in positivo di Mps potrebbe, inoltre, portare a una revisione al rialzo del rating. «Stiamo lavorando a stretto contatto con le agenzie di rating che stanno monitorando la nostra situazione e ci aspettiamo nel 2024 una revisione del rating e forse anche prima», ha spiegato il direttore finanziario di Mps, Andrea Maffezzoni. Nel frattempo, a Piazza Affari il titolo Mps è finito sull’ottovolante. Dopo aver toccato un progresso dell’1%, ha invertito più volte la direzione per poi chiudere la seduta con un +3,28% a 2,67 euro. Adesso il Montepaschi capitalizza in Borsa 3,36 miliardi.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)