2021-04-19
Cuba: sessant'anni fa l'assalto alla Baia dei Porci
Castristi con un mezzo da sbarco catturato alla Baia dei Porci (Getty Images)
Fidel Castro, lìder maximo della rivoluzione socialista, aveva rovesciato il governo di Fulgencio Batista due anni prima, creando una pericolosa enclave comunista a poche miglia dalle coste della Florida che la Casa Bianca, nel pieno della piena Guerra Fredda, non poteva tollerare. In più erano stati duramente colpiti gli interessi economici statunitensi che a Cuba avevano costruito un impero nel campo della raffinazione petrolifera, delle piantagioni della canna da zucchero e nella coltivazione estensiva di frutta in mano alle grandi compagnie. Castro aveva nazionalizzato i beni americani e redistribuito la terra degli ex-latifondisti, molti dei quali trovarono rifugio negli Usa assieme ad alcune migliaia di dissidenti.
Mancava tuttavia un "casus belli" perché gli Americani potessero intervenire militarmente in quanto la Costituzione degli Stati Uniti non permetteva operazioni di guerra se non nel caso di attacco diretto contro un governo amico. Proprio su questo aspetto, e date la tensione altissima con Mosca, durante gli ultimi mesi della presidenza Eisenhower fu concepito il piano che avrebbe dovuto essere sviluppato in assoluto segreto dalla CIA allora diretta da Allen Dulles e che avrebbe dovuto avere come esecutori un manipolo di 1.400 esuli cubani precedentemente addestrati in Nicaragua dagli Americani. Una volta sbarcati, dalla testa di ponte a Cuba gli esuli avrebbero chiesto aiuto all'esercito degli Stati Uniti che avrebbe riconosciuto il governo provvisorio ottenendo così il via libera per un'occupazione manu militari dell'isola. Il piano segreto, che mostrò numerose falle sin dall'inizio, ebbe molti ostacoli anche dalle nazioni amiche di Washington. Un esempio sopra tutti fu il concitato colloquio che il cancelliere della Germania Ovest Konrad Adenauer ebbe con il neopresidente Kennedy quando seppe delle intenzioni americane. Il premier tedesco andò su tutte le furie perché temeva che il colpo di mano contro Castro avrebbe innescato la reazione sovietica che avrebbe potuto portare ad uno scontro diretto con la DDR. Proprio il cambio alla Casa Bianca fu uno dei principali motivi del fallimento di un piano dal quale i consiglieri militari erano stati esclusi, e sul quale non avevano risparmiato critiche anche pesanti (sopra tutti il Segretario alla Difesa Robert McNamara voluto fortemente proprio da JFK). Nonostante le premesse non proprio rassicuranti, il piano strategico in codice "Zapata" andò per la sua strada, mentre le informazioni riservate passarono senza troppi ostacoli al KGB, favorito anche dal servizio segreto britannico Mi6 che non gradì l'avventura di Washington. L'invasione di Cuba fu un "segreto di Pulcinella" ben prima di prendere atto. A peggiorare le cose contribuì l'atteggiamento ambiguo di Kennedy che, se da un lato non intendeva ritirarsi tout court dalla lotta al comunismo, dall'altro temeva fortemente le conseguenze di un'azione di forza nell'anno dell'incontro con Nikita Kruscev. Il presidente democratico raccomandò ai vertici della CIA la massima segretezza e l'assoluto veto di coinvolgimento diretto delle Forze Armate regolari, pena l'annullamento dell'operazione. Quindi, pochi giorni prima dell'attacco, Kennedy si spinse oltre determinando con la sua scelta il fallimento dello sbarco a Cuba, come se avesse preferito una sconfitta delle operazioni. Ordinò infatti ai responsabili un cambio obbligato della zona di sbarco, inizialmente stabilita a Trinidad, una cittadina dove si concentrava la maggioranza anticastrista e dove sarebbe stato più semplice provocare una sollevazione popolare. Il Presidente democratico obbligò lo sbarco alla Playa Giròn (ai margini della Baia dei Porci), una zona paludosa e isolata, priva di vie di fuga e ben conosciuta da Castro in quanto uno dei suoi luoghi preferiti per la pesca.
Le operazioni presero ufficialmente il via il 15 aprile 1961 e prevedevano una prima fase di attacco aereo per neutralizzare l'aviazione castrista ed evitarne l'intervento durante lo sbarco. Gli aerei scelti dalla CIA non erano certo i più tecnologici. Si trattava infatti di una squadre di vecchi Douglas A-26 Invader dell'ultima guerra, pilotati da mercenari. Per ingannare l'opinione pubblica e coprire l'intervento statunitense furono tutti dipinti con una livrea che duplicava quella delle forze aeree cubane, in modo da far passare il bombardamento come un ammutinamento degli aviatori di Castro. La mattina del primo giorno di operazioni sei velivoli pilotati da "contractors" della CIA bombardarono l'aeroporto Antonio Maceo dell'Avana, distruggendo a terra diversi velivoli. Gli Americani tuttavia non erano a conoscenza del fatto che Castro, avvisato in anticipo dal KGB, riuscì a nascondere alcuni cacciabombardieri che si salvarono dall'incursione. Ma il peggio doveva ancora arrivare, quando uno dei finti piloti ammutinati fu colpito dal fuoco contraereo e dovette richiedere l'atterraggio di emergenza all'aeroporto civile di Miami. Quando l'A-26 toccò la pista, la strategia della segretezza crollò poiché era chiaro che la livrea del velivolo fosse posticcia e che la prua differiva evidentemente da quella degli aerei che il lìder maximo aveva strappato all'aviazione di Batista. L' evidenza del coinvolgimento di mercenari piloti causò l'appello immediato di Castro al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove il rappresentante degli Stati Uniti Adlai Stevenson faticò a sostenere la tesi dell'ammutinamento, date le prove schiaccianti mostrate ai membri del Consiglio.
Kennedy era furente e in tutta risposta vietò alla CIA il proseguimento delle incursioni aeree, decisione che comprometterà in modo definitivo il buon esito dello sbarco, fissato per il giorno 17 aprile. All'alba di quel mattino i mezzi da sbarco della Brigada Asalto 2506 furono in vista della Baia dei Porci, scarsamente protetti e senza rifornimenti e copertura dell'aviazione della CIA, che per ordine del Presidente era stata fortemente ridimensionata. Dall'altra parte i castristi si aspettavano un nuovo attacco e si prepararono al fuoco contraereo con gli ZPU VZ-53 di fabbricazione cecoslovacca. A peggiorare la già precaria situazione dei miliziani cubani fu la errata valutazione della presenza di una fitta barriera corallina di fronte alla baia, che causò non pochi incidenti e perdita di armi ancor prima che le forze anticastriste potessero mettere piede a terra. Quando i primi uomini della Brigada 2506 sbarcarono, furono accolti da una forza di oltre 20.000 uomini dell'esercito comunista, e furono fatti segno sia del fuoco di terra che di quello proveniente dai cacciabombardieri Hawker Sea Fury dell'aviazione cubana che non erano stati eliminati a causa del veto di Kennedy ad ulteriori bombardamenti.
Anche le navi di supporto allo sbarco che si trovavano al largo della baia furono fatte obiettivo del fuoco cubano, tra cui la USS Houston e la USS Rio Escondido che trasportava carburanti e che colò a picco dopo essere esplosa. Anche il previsto lancio nell'entroterra di una nucleo di paracadutisti fallì clamorosamente, dopo aver sbagliato la zona di atterraggio e aver perso gran parte dell'equipaggiamento nelle terre paludose attorno alla baia. Solo pochi furono i membri della Brigada 2506 che riuscirono a riprendere il mare e che furono recuperati dalle navi americane. Il grosso della forza anticastrista si ritrovò senza rifornimenti, schiacciata da fuoco preponderante e in un luogo inospitale ed isolato. Un estremo tentativo di fornire copertura aerea tramite caccia a reazione americani Skyhawk A-4S senza simboli di riconoscimento fallì per l'errato calcolo del fuso orario di un'ora tra il Nicaragua e Cuba. Ormai allo stremo, i tre quarti della forza si arresero all'esercito di Castro il 19 aprile 1961 al prezzo di 114 morti e più di 1.100 prigionieri, che dopo una lunga serie di trattative, furono liberati l' anno successivo in cambio di 50 milioni di dollari in forniture e medicinali. Durante le operazioni caddero anche quattro piloti dell'aviazione CIA, che Castro volle cinicamente esporre a perenne memoria dopo averne congelati i corpi.
Le conseguenze del fallimento dell'azione alla Baia dei Porci furono molteplici, e segnarono il passo riguardo a futuri tentativi di intervento militare diretto americano. Per di più Mosca uscì rafforzata sul piano internazionale e pronta ad azioni ancora più risolute e provocatorie, come l'installazione di missili sull'isola di Cuba l'anno successivo, che porterà alla "crisi dei missili" durante la quale si sfiorò la guerra nucleare.
Il Presidente fece ricadere tutta la responsabilità del fallimento (nonostante la sua ingerenza determinante sull'esito del piano elaborato sotto il predecessore Eisenhower) sui vertici della CIA, silurando Allen Dulles nel novembre del 1961 e rimuovendo le massime cariche dei Servizi che avevano portato alla débacle. Da quel momento in avanti gli Stati Uniti avrebbero inaugurato una nuova stagione nel contrasto alla Cuba di Fidel Castro, tramite una serie di attentati e colpi di mano portati avanti da agenti sul territorio, che tuttavia non raggiunsero mai lo scopo prefissato di eliminare la nazione comunista alle porte degli Usa.
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Nel linguaggio militare americano, il tentato sbarco del manipolo di esuli cubani di sessant'anni fa sarebbe stato definito come "S.N.A.F.U." (o situation normal all fouled up), vale a dire un'operazione militare fallita per una serie di errori grossolani e ampiamente evitabili. Era il 19 aprile 1961 quando gli ultimi membri della Brigada Asalto 2506 alzarono le mani e si arresero ai castristi. La sconfitta causò un terremoto nella nuova amministrazione Kennedy e una conseguente rivoluzione nei vertici dei Servizi Segreti statunitensi. Fidel Castro, lìder maximo della rivoluzione socialista, aveva rovesciato il governo di Fulgencio Batista due anni prima, creando una pericolosa enclave comunista a poche miglia dalle coste della Florida che la Casa Bianca, nel pieno della piena Guerra Fredda, non poteva tollerare. In più erano stati duramente colpiti gli interessi economici statunitensi che a Cuba avevano costruito un impero nel campo della raffinazione petrolifera, delle piantagioni della canna da zucchero e nella coltivazione estensiva di frutta in mano alle grandi compagnie. Castro aveva nazionalizzato i beni americani e redistribuito la terra degli ex-latifondisti, molti dei quali trovarono rifugio negli Usa assieme ad alcune migliaia di dissidenti. Mancava tuttavia un "casus belli" perché gli Americani potessero intervenire militarmente in quanto la Costituzione degli Stati Uniti non permetteva operazioni di guerra se non nel caso di attacco diretto contro un governo amico. Proprio su questo aspetto, e date la tensione altissima con Mosca, durante gli ultimi mesi della presidenza Eisenhower fu concepito il piano che avrebbe dovuto essere sviluppato in assoluto segreto dalla CIA allora diretta da Allen Dulles e che avrebbe dovuto avere come esecutori un manipolo di 1.400 esuli cubani precedentemente addestrati in Nicaragua dagli Americani. Una volta sbarcati, dalla testa di ponte a Cuba gli esuli avrebbero chiesto aiuto all'esercito degli Stati Uniti che avrebbe riconosciuto il governo provvisorio ottenendo così il via libera per un'occupazione manu militari dell'isola. Il piano segreto, che mostrò numerose falle sin dall'inizio, ebbe molti ostacoli anche dalle nazioni amiche di Washington. Un esempio sopra tutti fu il concitato colloquio che il cancelliere della Germania Ovest Konrad Adenauer ebbe con il neopresidente Kennedy quando seppe delle intenzioni americane. Il premier tedesco andò su tutte le furie perché temeva che il colpo di mano contro Castro avrebbe innescato la reazione sovietica che avrebbe potuto portare ad uno scontro diretto con la DDR. Proprio il cambio alla Casa Bianca fu uno dei principali motivi del fallimento di un piano dal quale i consiglieri militari erano stati esclusi, e sul quale non avevano risparmiato critiche anche pesanti (sopra tutti il Segretario alla Difesa Robert McNamara voluto fortemente proprio da JFK). Nonostante le premesse non proprio rassicuranti, il piano strategico in codice "Zapata" andò per la sua strada, mentre le informazioni riservate passarono senza troppi ostacoli al KGB, favorito anche dal servizio segreto britannico Mi6 che non gradì l'avventura di Washington. L'invasione di Cuba fu un "segreto di Pulcinella" ben prima di prendere atto. A peggiorare le cose contribuì l'atteggiamento ambiguo di Kennedy che, se da un lato non intendeva ritirarsi tout court dalla lotta al comunismo, dall'altro temeva fortemente le conseguenze di un'azione di forza nell'anno dell'incontro con Nikita Kruscev. Il presidente democratico raccomandò ai vertici della CIA la massima segretezza e l'assoluto veto di coinvolgimento diretto delle Forze Armate regolari, pena l'annullamento dell'operazione. Quindi, pochi giorni prima dell'attacco, Kennedy si spinse oltre determinando con la sua scelta il fallimento dello sbarco a Cuba, come se avesse preferito una sconfitta delle operazioni. Ordinò infatti ai responsabili un cambio obbligato della zona di sbarco, inizialmente stabilita a Trinidad, una cittadina dove si concentrava la maggioranza anticastrista e dove sarebbe stato più semplice provocare una sollevazione popolare. Il Presidente democratico obbligò lo sbarco alla Playa Giròn (ai margini della Baia dei Porci), una zona paludosa e isolata, priva di vie di fuga e ben conosciuta da Castro in quanto uno dei suoi luoghi preferiti per la pesca. Le operazioni presero ufficialmente il via il 15 aprile 1961 e prevedevano una prima fase di attacco aereo per neutralizzare l'aviazione castrista ed evitarne l'intervento durante lo sbarco. Gli aerei scelti dalla CIA non erano certo i più tecnologici. Si trattava infatti di una squadre di vecchi Douglas A-26 Invader dell'ultima guerra, pilotati da mercenari. Per ingannare l'opinione pubblica e coprire l'intervento statunitense furono tutti dipinti con una livrea che duplicava quella delle forze aeree cubane, in modo da far passare il bombardamento come un ammutinamento degli aviatori di Castro. La mattina del primo giorno di operazioni sei velivoli pilotati da "contractors" della CIA bombardarono l'aeroporto Antonio Maceo dell'Avana, distruggendo a terra diversi velivoli. Gli Americani tuttavia non erano a conoscenza del fatto che Castro, avvisato in anticipo dal KGB, riuscì a nascondere alcuni cacciabombardieri che si salvarono dall'incursione. Ma il peggio doveva ancora arrivare, quando uno dei finti piloti ammutinati fu colpito dal fuoco contraereo e dovette richiedere l'atterraggio di emergenza all'aeroporto civile di Miami. Quando l'A-26 toccò la pista, la strategia della segretezza crollò poiché era chiaro che la livrea del velivolo fosse posticcia e che la prua differiva evidentemente da quella degli aerei che il lìder maximo aveva strappato all'aviazione di Batista. L' evidenza del coinvolgimento di mercenari piloti causò l'appello immediato di Castro al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove il rappresentante degli Stati Uniti Adlai Stevenson faticò a sostenere la tesi dell'ammutinamento, date le prove schiaccianti mostrate ai membri del Consiglio. Kennedy era furente e in tutta risposta vietò alla CIA il proseguimento delle incursioni aeree, decisione che comprometterà in modo definitivo il buon esito dello sbarco, fissato per il giorno 17 aprile. All'alba di quel mattino i mezzi da sbarco della Brigada Asalto 2506 furono in vista della Baia dei Porci, scarsamente protetti e senza rifornimenti e copertura dell'aviazione della CIA, che per ordine del Presidente era stata fortemente ridimensionata. Dall'altra parte i castristi si aspettavano un nuovo attacco e si prepararono al fuoco contraereo con gli ZPU VZ-53 di fabbricazione cecoslovacca. A peggiorare la già precaria situazione dei miliziani cubani fu la errata valutazione della presenza di una fitta barriera corallina di fronte alla baia, che causò non pochi incidenti e perdita di armi ancor prima che le forze anticastriste potessero mettere piede a terra. Quando i primi uomini della Brigada 2506 sbarcarono, furono accolti da una forza di oltre 20.000 uomini dell'esercito comunista, e furono fatti segno sia del fuoco di terra che di quello proveniente dai cacciabombardieri Hawker Sea Fury dell'aviazione cubana che non erano stati eliminati a causa del veto di Kennedy ad ulteriori bombardamenti. Anche le navi di supporto allo sbarco che si trovavano al largo della baia furono fatte obiettivo del fuoco cubano, tra cui la USS Houston e la USS Rio Escondido che trasportava carburanti e che colò a picco dopo essere esplosa. Anche il previsto lancio nell'entroterra di una nucleo di paracadutisti fallì clamorosamente, dopo aver sbagliato la zona di atterraggio e aver perso gran parte dell'equipaggiamento nelle terre paludose attorno alla baia. Solo pochi furono i membri della Brigada 2506 che riuscirono a riprendere il mare e che furono recuperati dalle navi americane. Il grosso della forza anticastrista si ritrovò senza rifornimenti, schiacciata da fuoco preponderante e in un luogo inospitale ed isolato. Un estremo tentativo di fornire copertura aerea tramite caccia a reazione americani Skyhawk A-4S senza simboli di riconoscimento fallì per l'errato calcolo del fuso orario di un'ora tra il Nicaragua e Cuba. Ormai allo stremo, i tre quarti della forza si arresero all'esercito di Castro il 19 aprile 1961 al prezzo di 114 morti e più di 1.100 prigionieri, che dopo una lunga serie di trattative, furono liberati l' anno successivo in cambio di 50 milioni di dollari in forniture e medicinali. Durante le operazioni caddero anche quattro piloti dell'aviazione CIA, che Castro volle cinicamente esporre a perenne memoria dopo averne congelati i corpi.Le conseguenze del fallimento dell'azione alla Baia dei Porci furono molteplici, e segnarono il passo riguardo a futuri tentativi di intervento militare diretto americano. Per di più Mosca uscì rafforzata sul piano internazionale e pronta ad azioni ancora più risolute e provocatorie, come l'installazione di missili sull'isola di Cuba l'anno successivo, che porterà alla "crisi dei missili" durante la quale si sfiorò la guerra nucleare. Il Presidente fece ricadere tutta la responsabilità del fallimento (nonostante la sua ingerenza determinante sull'esito del piano elaborato sotto il predecessore Eisenhower) sui vertici della CIA, silurando Allen Dulles nel novembre del 1961 e rimuovendo le massime cariche dei Servizi che avevano portato alla débacle. Da quel momento in avanti gli Stati Uniti avrebbero inaugurato una nuova stagione nel contrasto alla Cuba di Fidel Castro, tramite una serie di attentati e colpi di mano portati avanti da agenti sul territorio, che tuttavia non raggiunsero mai lo scopo prefissato di eliminare la nazione comunista alle porte degli Usa.
iStock
Di fronte a questa ondata di insicurezza, i labour propongono più telecamere nelle città più importanti del Paese, applicando così, in modo massiccio, il riconoscimento facciale dei criminali. Oltre 45 milioni di cittadini verranno riconosciuti attraverso la videosorveglianza. Secondo la proposta avanzata dai labour, la polizia potrà infatti utilizzare ogni tipo di videocamera. Non solo quelle pubbliche, ma anche quelle presenti sulle auto, le cosiddette dashcam, e pure quelle dei campanelli dei privati cittadini. Come riporta il Telegraph, «le proposte sono accompagnate da un’iniziativa volta a far sì che la polizia installi telecamere di riconoscimento facciale “live” che scansionino i sospetti ricercati nei punti caldi della criminalità in Inghilterra e in Galles. Anche altri enti pubblici, oltre alla polizia, e aziende private, come i rivenditori, potrebbero essere autorizzati a utilizzare la tecnologia di riconoscimento facciale nell’ambito del nuovo quadro giuridico».
Il motivo, almeno nelle intenzioni, è certamente nobile, come sempre in questi casi. E la paura è tanta. Eppure questa soluzione pone importanti interrogativi legati alla libertà della persone e, soprattutto, alla loro privacy. C’è infatti già un modello simile ed è quello applicato in Cina. Da tempo infatti Pechino utilizza le videocamere per controllare la popolazione in ogni suo minimo gesto. Dagli attraversamenti pedonali ai comportamenti più privati. E premia (oppure punisce) il singolo cittadino in base ad ogni sua singola azione. Si tratta del cosiddetto credito sociale, che non ha a che fare unicamente con la liquidità dei cittadini, ma anche con i loro comportamenti, le loro condanne giudiziarie, le violazioni amministrative gravi e i loro comportamenti più o meno affidabili.
Quella che sembrava una distopia lì è diventata una realtà. Del resto anche in Italia, durante il Covid, è stato applicato qualcosa di simile con il Green Pass. Eri un bravo cittadino - e quindi potevi accedere a tutti i servizi - solamente se ti vaccinavi, altrimenti venivi punito: non potevi mangiare al chiuso, anche se era inverno, oppure prendere i mezzi pubblici.
Per l’avvocato Silkie Carlo, a capo dell’organizzazione non governativa per i diritti civili Big Brother, «ogni ricerca in questa raccolta di nostre foto personali sottopone milioni di cittadini innocenti a un controllo di polizia senza la nostra conoscenza o il nostro consenso. Il governo di Sir Keir Starmer si sta impegnando in violazioni storiche della privacy dei britannici, che ci si aspetterebbe di vedere in Cina, ma non in una democrazia». Ed è proprio quello che sta accadendo nel Regno Unito e che può accadere anche da noi. Il sistema cinese, poi, sta potenziando ulteriormente le proprie capacità. Secondo uno studio pubblicato dall’Australian strategic policy institute, Pechino sta potenziando ulteriormente la sua rete di controllo sulla cittadinanza sfruttando l’intelligenza artificiale, soprattutto per quanto riguarda la censura online. Un pericolo non solo per i cinesi, ma anche per i Paesi occidentali visto che Pechino «è già il maggiore esportatore mondiale di tecnologie di sorveglianza basate sull’intelligenza artificiale». Come a dire: ciò che stanno sviluppando lì, arriverà anche da noi. E allora non saranno solamente i nostri Paesi a controllare le nostre azioni ma, in modo indiretto, anche Pechino.
C’è una frase di Benjamin Franklin che viene ripresa in Captain America e che racconta bene quest’ansia da controllo. Un’ansia che nasce dalla paura, spesso provocata da politiche fallaci. «Baratteranno la loro libertà per un po’ di sicurezza». Come sta succedendo nel Regno Unito, dopo anni di accoglienza indiscriminata. O come è successo anhe in Italia durante il Covid. Per anni, ci siamo lasciati intimorire, cedendo libertà e vita. Oggi lo scenario è peggiore, visto l’uso massiccio della tecnologia, che rende i Paesi occidentali sempre più simili alla Cina. E non è una bella notizia.
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Il ministro ha ricordato che il concorrente europeo Fcas (Future combat aircraft system) avanza a ritmo troppo lento per disaccordi tra Airbus (Francia-Germania) e Dassault (Francia) riguardanti i diritti e la titolarità delle tecnologie. «È fallito il programma franco-tedesco […], probabilmente la Germania potrebbe entrare a far parte in futuro di questo progetto [...]. Abbiamo avuto richieste da Canada, Arabia Saudita, e penso che l’Australia possa essere interessata. Più nazioni salgono più aumenta la massa critica che puoi investire e meno costerà ogni esemplare». Tutto vero, rimangono però perplessità su un possibile coinvolgimento dei sauditi per due ragioni. La prima: l’Arabia sta incrementando i rapporti industriali militari con la Cina, che così avrebbe accesso ai segreti del nuovo caccia. La seconda: l’Arabia Saudita aveva finanziato anche altri progetti e tra questi persino uno con la Turchia, nazione che, dopo essere stata espulsa dal programma F-35 durante il primo mandato presidenziale di Trump a causa dell’acquisto dei missili russi S-400, ora sta cercando di rientrarci trovando aperture dalla Casa Bianca. Anche perché lo stesso Trump ha risposto in modo possibilista alla richiesta di Riad di poter acquisire lo stesso caccia nonostante gli avvertimenti del Pentagono sulla presenza cinese.
Per l’Italia, sede della fabbrica Faco di Cameri (Novara) che gli F-35 li assembla, con la previsione di costruire parti del Gcap a Torino Caselle (dove oggi si fanno quelle degli Eurofighter Typhoon), significherebbe creare una ricaduta industriale per qualche decennio. Ma dall’altra parte delle Alpi la situazione Fcas è complicata: un incontro sul futuro caccia che si sarebbe dovuto tenere in ottobre è stato rinviato per i troppi ostacoli insorti nella proprietà intellettuale del progetto. Se dovesse fallire, Berlino potrebbe essere colpita molto più duramente di Parigi. Questo perché la Francia, con Dassault, avrebbe la capacità tecnica di portare avanti da sola il programma, come del resto ha fatto 30 anni fa abbandonando l’Eurofighter per fare il Rafale. Ma l’impegno finanziario sarebbe enorme. Non a caso il Ceo di Dassault, Eric Trappier, ha insistito sul fatto che, se l’azienda non verrà nominata «leader indiscusso» del programma, lo Fcas potrebbe fallire. Il vantaggio su Airbus è evidente: Dassault potrebbe aggiornare ancora i Rafale passando dalla versione F5 a una possibile F6 e farli durare fino al 2060, ovvero due decenni dalla prevista entrata in servizio del nostro Gcap. Ma se Berlino dovesse abbandonare il progetto, non è scontata l’adesione al Gcap come partner industriale, mentre resterebbe un possibile cliente. Non a caso i tedeschi avrebbero già chiesto di poter assumere lo status di osservatori del programma. Senza Fcas anche la Spagna si troverebbe davanti decisioni difficili: in agosto Madrid aveva dichiarato che non avrebbe acquistato gli F-35 ma gli Eurofighter Typhoon e poi i caccia Fcas. Un mese dopo il primo ministro Pedro Sánchez espresse solidarietà alla Germania in relazione alla controversia tra Airbus e Dassault. Dove però hanno le idee chiare: sarebbe un suicidio industriale condividere la tecnologia e l’esperienza maturata con i Rafale, creata da zero con soldi francesi, impiegata con l’aviazione francese e già esportata con successo in India, Grecia ed Emirati arabi.
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Guido Crosetto (Ansa)
Tornando alla leva, «mi consente», aggiunge Crosetto, «di avere un bacino formato che, in caso di crisi o anche calamità naturali, sia già pronto per intervenire e non sono solo professionalità militari. Non c’è una sola soluzione, vanno cambiati anche i requisiti: per la parte combat, ad esempio, servono requisiti fisici diversi rispetto alla parte cyber. Si tratta di un cambio di regole epocale, che dobbiamo condividere con il Parlamento». Crosetto immagina in sostanza un bacino di «riservisti» pronti a intervenire in caso ovviamente di un conflitto, ma anche di catastrofi naturali o comunque situazioni di emergenza. Va precisato che, per procedere con questo disegno, occorre prima di tutto superare la legge 244 del 2012, che ha ridotto il personale militare delle forze armate da 190.000 a 150.000 unità e il personale civile da 30.000 a 20.000. «La 244 va buttata via», sottolinea per l’appunto Crosetto, «perché costruita in tempi diversi e vanno aumentate le forze armate, la qualità, utilizzando professionalità che si trovano nel mercato».
Il progetto di Crosetto sembra in contrasto con quanto proposto pochi giorni fa dal leader della Lega e vicepremier Matteo Salvini: «Sulla leva», ha detto Salvini, «ci sono proposte della Lega ferme da anni, non per fare il militare come me nel '95. Io dico sei mesi per tutti, ragazzi e ragazze, non per imparare a sparare ma per il pronto soccorso, la protezione civile, il salvataggio in mare, lo spegnimento degli incendi, il volontariato e la donazione del sangue. Sei mesi dedicati alla comunità per tutte le ragazze e i ragazzi che siano una grande forma di educazione civica. Non lo farei volontario ma per tutti». Intanto, Crosetto lancia sul tavolo un altro tema: «Serve aumentare le forze armate professionali», dice il ministro della Difesa, «e in questo senso ho detto più volte che l’operazione Strade sicure andava lentamente riaffidata alle forze di polizia». Su questo punto è prevedibile un attrito con Salvini, considerato che la Lega ha più volte sottolineato di immaginare che le spese militari vadano anche in direzione della sicurezza interna. L’operazione Strade sicure è il più chiaro esempio dell’utilizzo delle forze armate per la sicurezza interna. Condotta dall’Esercito italiano ininterrottamente dal 4 agosto 2008, l’operazione Strade sicure viene messa in campo attraverso l’impiego di un contingente di personale militare delle Forze armate che agisce con le funzioni di agente di pubblica sicurezza a difesa della collettività, in concorso alle Forze di Polizia, per il presidio del territorio e delle principali aree metropolitane e la vigilanza dei punti sensibili. Tale operazione, che coinvolge circa 6.600 militari, è, a tutt'oggi, l’impegno più oneroso della Forza armata in termini di uomini, mezzi e materiali.
Alle parole, come sempre, seguiranno i fatti: vedremo quale sarà il punto di equilibrio che verrà raggiunto nel centrodestra su questi aspetti. Sul versante delle opposizioni, il M5s chiede maggiore trasparenza: «Abbiamo sottoposto al ministro Crosetto un problema di democrazia e trasparenza», scrivono in una nota i capigruppo pentastellati nelle commissioni Difesa di Camera e Senato, Arnaldo Lomuti e Bruno Marton, «il problema della segretezza dei target capacitivi concordati con la Nato sulla base dei quali la Difesa porta avanti la sua corsa al riarmo. Non è corretto che la Nato chieda al nostro Paese di spendere cifre folli senza che il Parlamento, che dovrebbe controllare queste spese, conosca quali siano le esigenze che motivano e guidano queste richieste. Il ministro ha risposto, in buona sostanza, che l’accesso a queste informazioni è impossibile e che quelle date dalla Difesa sono più che sufficienti. Non per noi».
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