Meno 13% in una decina di giorni. Ecco la performance di Mps in Borsa da quando la Procura di Milano ha indagato per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza Francesco Gaetano Caltagirone, Francesco Milleri, numero uno di Delfin, e Luigi Lovaglio, amministratore delegato del Monte, e poi perché - secondo gli inquirenti - sarebbero stati d’accordo, quindi avrebbero agito «di concerto», nell’ingresso dello stesso Caltagirone e di Delfin come soci forti di Siena (già principali azionisti di Mediobanca) grazie alla vendita del 15% detenuto dal Tesoro, ma soprattutto - sempre secondo la Procura meneghina - avrebbero «di concerto» ideato l’offerta su Piazzetta Cuccia, contando appunto su un 30-35% di adesioni in partenza, ovvero le quote di Delfin, la holding che raggruppa gli eredi di Del Vecchio, e dell’immobiliarista romano.
L’indagine ha escluso un ruolo del Tesoro, tuttavia ha permesso il sequestro di computer e cellulari, compresi quelli dei nuovi super dirigenti di Mediobanca. La tesi dei pm è questa: c’era un «concerto» per cui bisognava lanciare un’Opa obbligatoria su Mps, prima eventualmente di procedere con l’offerta su Mediobanca. L’Opa obbligatoria scatta solitamente quando un gruppo di azionisti supera una determinata soglia, cioè il 30 per cento. Non è scattata, tuttavia gli altri soci della banca senese non hanno perso niente guardando alle quotazioni di mercato. Anzi, in un anno il titolo è salito di circa il 20%. Performance che era addirittura superiore del 30% fino appunto a dieci giorni fa, quando l’indagine sul presunto «concerto» ha fatto scappare gli investitori. Vendite quotidiane e una perdita di capitalizzazione sui 3,5 miliardi. Vendite legate ai timori di possibili altri interventi della Procura.
Nessuno sa cosa possa succedere. Sembrava tutto ok, dopo il successo dell’Ops di Mps su Mediobanca che ha raggiunto l’86% delle adesioni (altro che il 35% di partenza...). Il percorso verso un nuovo assetto della finanza italiana, considerando che Piazzetta Cuccia è il primo azionista con oltre il 13% delle Generali, sembrava delineato. Entro marzo c’era da presentare il piano alla Bce con le linee per l’integrazione appunto con Mediobanca. Si attendono inoltre le valutazioni della Banca centrale europea sulle modifiche allo statuto per introdurre in particolare il voto di lista, in vista della rinnovo dell’intero consiglio del Monte in primavera. Tutti appuntamenti che non vanno in soffitta, ma la prospettiva cambia se i pubblici ministeri sono in banca. La Bce cosa dirà? L’Ue che giudizio esprimerà?
Su questo e non solo è stato sentito Lovaglio ieri dal cda di Mps. Il manager che ha salvato un istituto quasi spacciato, dopo tre aumenti di capitale e una maxi iniezione di denaro pubblico (7 miliardi di euro), trasformandolo addirittura in un «bomber» della finanza italiana, ha relazionato i consiglieri sulle prossime tappe. Lui, indagato per «concorso esterno in ipotesi di concerto». Dopo un lungo pomeriggio alla fine il consiglio di amministrazione, «a esito di approfondita istruttoria, ha rinnovato all’unanimità piena fiducia all’amministratore delegato», si legge in una nota, «confermando i requisiti di correttezza relativi agli esponenti bancari». E in merito al processo di aggregazione di Mps con Mediobanca, il cda «sottolinea che l’attività dei gruppi di lavoro, che coinvolgono le risorse professionali di entrambe le banche, prosegue a pieno regime, con l’obiettivo di realizzare in tempi brevi le sinergie industriali e di accelerare la crescita e la creazione di valore».
Il mercato chiedeva d’altronde chiarezza, compreso sulla governance, anche perché la politica - nella fattispecie il Pd che aveva invece guidato verso il crac la stessa banca del Palio - pretende spiegazioni pure dal titolare dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Vogliamo vederci chiaro e non molleremo la presa finché il ministro non verrà in Parlamento a spiegare per filo e per segno la posizione e il ruolo del governo. Abbiamo depositato in Senato due interrogazioni», ha annunciato il responsabile Economia della segreteria nazionale del Pd, Antonio Misiani.
Intanto Mediobanca ha firmato la liquidazione di Alberto Nagel, già amministratore delegato, e Francesco Saverio Vinci, ex direttore generale: 5 milioni a testa. Soldi che si aggiungono alle decine di milioni di bonus già incassati dallo stesso Nagel, senza dimenticare infine che fino al 2032 riceverà circa 18 milioni aggiuntivi.






