2019-01-17
Avviso al partito unico dei Forza euro. È stata bocciata la May, non la Brexit
Da Matteo Renzi ad Antonio Tajani, tutti esaltati come se Westminster avesse respinto l'uscita dall'Ue. In realtà ha perso la linea del governo, giudicata molle. E ora gli euromani hanno un'altra fissa: votare un nuovo referendum.Matteo Renzi, come al solito, ha capito tutto: «Brexit? Si capisce che l'Europa è fondamentale», dice. E come si faccia a capire che l'Europa è fondamentale nel momento in cui essa sta perdendo la Gran Bretagna, e pure senza alcun accordo, è un po' difficile da sapere. Ma del resto non si diventa (ex) segretari del Pd per caso.Probabilmente Renzi, prima di esprimersi, s'è consultato con il suo compagno di partito, Matteo Richetti, il quale nel frattempo twittava garrulo: «Il no alla Brexit del Parlamento inglese segna la prima grande sconfitta di chi delegittima le istituzioni». Sui social è subito saltata all'occhio la perfetta comprensione del fenomeno da parte del fenomeno (tra simili ci si intende). In effetti il «no alla Brexit del Parlamento inglese» non c'è mai stato, ma che è mai importato a Richetti della realtà? Inevitabili i commenti. Il più tenero lo ha invitato a posare il fiasco. Il più perfido a candidarsi lui alla guida del Pd. «Dai Matte', c'è bisogno di qualcuno che gli dia il colpo di grazia». E pensare che quello che è successo a Londra martedì sera non era così difficile da capire: il Parlamento non ha bocciato l'uscita dall'Europa ma il piano della May per un'uscita morbida dall'Europa. Ergo: si va verso l'uscita dura. No deal. Senza accordo. O, al massimo, verso una nuova trattativa. Ma la semplice verità, incredibilmente, ancora una volta si ostina a cozzare contro i desiderata del Pensiero Unico Bell'Europa, che pertanto ha ritenuto di far passare un altro messaggio: la Brexit ha perso, l'Ue ha vinto. Insomma: «Una lezione per Londra e per Roma» (ancora Renzi), un «messaggio ai sovranisti» (Antonio Tajani), «lasciare l'Ue porta il caos» (ancora Tajani), «l'unica via utile è l'unione» (Maurizio Martina) e avanti ubriacandosi di euroforia. Il candidato segretario del Pd, Nicola Zingaretti, per dire, ha già potuto constatare gli avvenuti «disastri della Brexit» con notevoli dote divinatorie, dal momento che la Brexit non c'è ancora stata. «La ruota gira», ha festeggiato Alessia Morani, senza accertarsi se, oltre alle ruote, stavano girando pure le rotelle. E qualcuno, preso dall'entusiasmo, si lasciava trascinare dai sogni: «Theresa May segretario del Pd». Era ironico, naturalmente. Qualcuno glielo dica a Richetti, prima che la voti. In contemporanea è partita l'Operazione Coventry, che consiste nel descrivere la Gran Bretagna di oggi come bombardata, distrutta, ridotta alla fame, devastata, impaurita, roba che Kansas City in The Day After era un giardino di lillà. Ovviamente tutto per colpa della (già avvenuta per altro) Brexit. Si segnala, per un'eventuale medaglietta al valore, in prima fila nell'ardita missione di bombardamento sul terreno britannico, Enrico Franceschini di Repubblica, il quale ha prontamente e valorosamente descritto «un'isola alla deriva», financo ostaggio di una efferata «corsa a provviste di generi alimentari, medicinali, cibo per cani». I dati economici parlano di una disoccupazione ai minimi da 43 anni e di salari in crescita nel 2018, ma di tutto questo, ovviamente, non si deve far riferimento da nessuna parte, lasciando passare l'idea che la Brexit «ha fatto disastri» (copyright Zingaretti) e le cavallette sono alle porte di Londra, insieme alla peste bubbonica e alla carestia. Per fortuna che (Franceschini dixit) sono state messe in salvo le crocchette per Fido. Il Pensiero Unico Bell'Europa, però, non si limita a descrivere lo sfacelo provocato da quei disgraziati di sovranisti pro Brexit, nella speranza che imparino la lezione («per Londra e per Roma», parola di Renzi). Macché. Essendo assai buoni, i leader pro Ue hanno anche pronta una proposta per uscire non più dall'Europa ma almeno dalle difficoltà, ipotizzando dal loro punto di vista che ci sia una differenza tra le due cose. E la proposta qual è? Semplice: si rivota. Proprio così. Rifamo. Da capo. La prima volta non è venuta bene perché hanno vinto i puzzoni? Ritenta sarai più fortunato. Come i messaggi dei chewingum di una volta, ricordate? In fondo è bello: la democrazia come il chewingum. Ritenta. Daje. Riproviamoci. Che problema c'è? Prima o poi vinceranno quelli che piacciono a Beppe Severgnini, no? Magari solo per sfinimento. Non a caso Severgnini è stato uno dei primi a pronunciarsi a favore del nuovo referendum a Otto e mezzo su La7, dopo aver detto che la Gran Bretagna ha già perso l'8 per cento del Pil a causa della Brexit (senza contare, per altro, le piaghe da decubito e l'invasione dei venusiani con la sifilide). Subito a ruota è arrivata la nuova regina dei salotti romani, al secolo Annalisa Chirico, che dopo aver organizzato la cenetta Malagò-Montezemolo al modico prezzo di 6.000 euro a tavolo, ha pensato bene di sentenziare che il voto della Brexit non vale perché «non tutto si può sottoporre al voto popolare». Ma certo, si capisce: che cos'è questa storia del voto popolare? E della democrazia? Possibile? Far decidere tutto a gente che non si può nemmeno permettere una cena da 6.000 euro? E magari non sa come si ordina il foie gras? Ma come osano? Sembrando però non sufficiente lo schieramento pro referendum formato dagli intellettuali Beppe Severgnini, Annalisa Salottini & C., i giornaloni hanno prontamente provveduto a supportarli con la legione euro straniera. Sul Corriere della Sera, per esempio, è sceso in campo con apposita intervista Graham Watson, leader storico dei liberaldemocratici al Parlamento Ue. Su Repubblica lo scrittore Robert Harris. Entrambi sulla stessa lunghezza d'onda, ça va sans dire: «Si torni alle urne». Che è anche questo, per restare in linea con Tajani, un bell'insegnamento per i sovranisti e i populisti, non vi pare? Si abituino a perdere, insomma. Perché, quando vincono, si torna alle urne per la seconda volta. Vincono di nuovo? Si vota la terza volta. E così via, la quarta, la quinta, la sesta, fino a quando non esce il risultato che deve uscire. E così la democrazia, finalmente, sarà salva.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)