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2021-05-20
Avviso ai compagni tifosi dei razzi: lo statuto di Hamas invoca la Shoah
Michela Murgia (Ansa)
Sono tanti, in Italia, gli allegri fiancheggiatori di Hamas. Dal 10 maggio, quando il Movimento di resistenza islamico (questo significa la sigla «Hamas») ha lanciato dalla Striscia di Gaza la prima salva di missili contro Tel Aviv, e ha dato il via al conflitto armato con Israele, dal nostro Paese si è alzato un plauso diffuso. Non per nulla, nelle nostre strade le verdi insegne di Hamas garriscono al vento accanto alle bandiere arcobaleno che tingono le sfilate politically correct dei sostenitori del disegno di legge Zan contro l'omofobia. Ma anche le sardine hanno abboccato all'amo di Hamas, visto che ora provano a riempire qualche piazzetta per protestare contro «l'apartheid» imposto da Israele. Ed è vero che Laura Boldrini, l'ex presidente della Camera che oggi è deputato di Liberi e uguali, premette sui social network che non parteggia per i terroristi islamici, ma poi chiede alla «comunità internazionale» di «imporre al governo di Benjamin Netanyahu di fermarsi», e protesta con il ministero della Difesa perché dal porto di Genova sarebbero partite armi destinate ai nemici di Hamas. Anche la scrittrice Michela Murgia si allinea all'oltranzismo antiebraico dell'organizzazione palestinese: per la scrittrice, infatti, il conflitto con Hamas ha una sola origine, cioè Israele, «un Paese guidato da una destra ultranazionalista, suprematista e razzista».
La figura più triste è quella del pacato Enrico Letta, il segretario del Partito democratico, che ha osato partecipare alla manifestazione romana in sostegno al popolo d'Israele. A strapazzarlo a dovere ha subito provveduto Massimo D'Alema, che del resto nell'agosto 2006, da ministro degli Esteri, venne fotografato a Beirut al braccio di uno dei capi dell'organizzazione terroristica. Il suo attacco intimidatorio a Letta ha fatto quasi impallidire i missili: «In questi giorni ho avuto nostalgia di una forza politica significativa di sinistra», ha proclamato D'Alema, «perché di fronte alla tragedia palestinese ho sentito dire solo parole di circostanza. Poi ho visto sul palco della solidarietà a Israele il nostro amico Letta accanto a Matteo Salvini: c'è qualcosa che non funziona, nel modo in cui viene affrontata questa tragedia». Così il povero Letta s'è affrettato a cambiare registro: «La reazione d'Israele», ha balbettato, «va oltre la legittima difesa».
Insomma, Hamas sembra avere tanti buoni amici, in Italia. Pochi, in realtà, sembrano consapevoli di che cosa sia realmente. Eppure dal 2003 anche l'Unione europea, che non può dirsi proprio un covo sionista, ha iscritto Hamas nell'elenco delle peggiori centrali terroristiche, come prima di lei avevano fatto Canada, Giappone, Stati Uniti, ma anche l'Egitto e la Giordania. Dalla sua creazione, in effetti, Hamas proclama la distruzione dello Stato d'Israele e mette bombe. Nel suo Manifesto istitutivo, datato 18 agosto 1988, si legge che «non esiste soluzione alla questione palestinese se non nel Jihad», cioè nella Guerra santa. A scorrere quel documento di 33 anni fa sembra di ascoltare un antefatto ingiallito dei proclami dei tagliagole dell'Isis, lo Stato islamico che dal 2014 al 2017 s'impiantò tra Iraq e Siria, e da lì cominciò a colpire l'Occidente con centinaia di attentati e stragi d'innocenti. Hamas, del resto, è emanazione del movimento fondamentalista dei Fratelli musulmani e il suo primo obiettivo è creare lo Stato palestinese, cacciando gli usurpatori ebrei: «Il nostro scopo», si legge nel Manifesto, «è innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina». Hamas rifiuta ogni possibilità di convivenza: nel Manifesto si legge che «L'ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno tutti».
Dal 2007 Hamas ha anche un suo territorio: la Striscia di Gaza, che ha sottratto con un colpo militare al controllo dell'Autorità nazionale palestinese, l'istituzione che «governa» la Palestina. Anche se avversaria di Israele, l'Anp ha una struttura laica. Hamas, invece, è dominata dall'integralismo. Il Corano deve pervadere tutto, e spronare all'odio razzista per gli «usurpatori» ebrei, che (testualmente) «rovinano la vita delle persone, rubano il loro denaro e minacciano il loro onore». Il Manifesto proclama che «si deve combattere il Male», cioè Israele e l'Occidente che lo tutela: «Il Male va vinto e schiacciato, cosicché le patrie ritornino ai loro legittimi proprietari e sia proclamato lo Stato islamico».
Con toni propagandistici intinti nel nazismo, Hamas sostiene che «lo schema sionista non ha limiti», e dopo la Palestina l'odiato ebreo «cercherà di espandersi dal Nilo all'Eufrate». Per certificare l'espansionismo sionista, il Manifesto cita perfino i Protocolli degli anziani di Sion, l'infame documento creato ad arte dalla polizia zarista nel 1903 per propagare l'antisemitismo, e poi divenuto strumento dell'Olocausto. Al complotto sionista, secondo Hamas, parteciperebbero «la massoneria, il Rotary club e il Lions club». Ci sarebbe da ridere. In realtà c'è da piangere, se si pensa a quanti, in Italia, stiano impugnando come segno di libertà le bandiere verdi di un'organizzazione che incarna solo terrorismo e razzismo.
Israele punta a disarmare il nemico
Si avvicina una tregua in Medio Oriente? Secondo fonti citate ieri dal Times of Israel, lo Stato ebraico starebbe valutando la possibilità di un cessate il fuoco, pur mantenendo aperta la prospettiva di un prosieguo delle ostilità. In questo quadro, durante un incontro avvenuto con 70 diplomatici stranieri, Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele sta cercando di «ottenere uno stato di deterrenza contro Hamas per porre fine ai combattimenti», ma non ha escluso l'ipotesi di ricorrere ad «altre opzioni». «Non siamo qui con il cronometro», ha chiosato il premier israeliano.
Nel frattempo, mentre i razzi sono continuati a cadere sulle città di Ashdod, Ascalona, Bersabea e Rehovot, il presidente dell'Anp, Abu Mazen, ha accusato Israele di «crimini di guerra» contro Gaza. Tutto questo, mentre le forze di difesa dello Stato ebraico hanno bombardato con cannoni d'artiglieria l'area libanese da cui erano partiti quattro missili contro la parte settentrionale di Israele. I funzionari di sicurezza israeliani, nel dettaglio, si sono detti convinti che Hezbollah non sia coinvolta nella vicenda: si tratterebbe invece di «gruppi palestinesi» presenti in Libano.
L'esercito israeliano ha inoltre reso noto che, in almeno tre occasioni, Hamas avrebbe cercato di inviare dei commando all'interno dello Stato ebraico, che è entrato ieri in polemica con le Nazioni Unite. L'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, l'Unrwa, aveva accusato Israele di impedire l'ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Un'accusa che ha innescato la dura reazione del ministero degli Esteri israeliano. «Durante il trasferimento degli aiuti umanitari a Gaza ieri, attraverso il valico di Kerem Shalom, Hamas ha deliberatamente bombardato il valico», ha dichiarato il ministero, definendo la tesi dell'agenzia Onu «una bugia».
Continua nel frattempo a rivelarsi ambigua la posizione della Casa Bianca. In un nuovo colloquio telefonico con Netanyahu, Joe Biden ha dichiarato ieri di attendersi una «significativa de-escalation» in vista di un cessate il fuoco. Lunedì, il presidente americano aveva d'altronde detto per la prima volta di essere favorevole a una tregua, pur evitando di invocare una cessazione immediata delle ostilità. Nel frattempo la politica interna americana continua a dividersi: se il Partito democratico resta spaccato tra un'ala filoisraeliana e una filopalestinese, il movimento Black lives matter dal canto suo ha preso posizione, twittando: «Black lives matter è solidale con i palestinesi. Siamo un movimento impegnato a porre fine al colonialismo dei coloni in tutte le sue forme».
Alla Camera, i dem hanno frattanto affossato una proposta dei repubblicani, volta a sanzionare le entità che svolgono attività di finanziamento a favore di Hamas, mentre la deputata Alexandria Ocasio Cortez ha stilato una risoluzione per bloccare la vendita di 735 milioni di dollari di armi a Israele. Più in generale, vari esponenti dell'elefantino (dal senatore Ted Cruz all'ex ambasciatrice all'Onu Nikki Haley) stanno accusando Biden di scarsa risolutezza nel sostegno a Israele. Una scarsa risolutezza dovuta alla balcanizzazione del suo stesso partito e alla problematicità della sua distensione verso un noto sostenitore di Hamas come l'Iran (proprio ieri il comandante delle Guardie della rivoluzione, Hossein Salami, ha dato il proprio endorsement ai razzi di Gaza).
In questo quadro, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, si recherà oggi in Israele e nei territori palestinesi per tenere dei colloqui sul conflitto in corso. Tuoni e fulmini sono arrivati nel frattempo da Ankara: Recep Tayyip Erdogan ha infatti respinto le accuse di antisemitismo che gli erano state mosse dal Dipartimento di Stato americano. «Accusare il nostro presidente di antisemitismo è un approccio illogico e falso. Questa è una bugia detta sul nostro presidente», ha dichiarato il portavoce dell'Akp, Omer Celik. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, il Sultano aveva avuto parole durissime contro Israele.
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Dalle sardine alla Michela Murgia fino alla Laura Boldrini, gli appelli in favore dei terroristi non si contano. E pure Enrica Letta si è allineato, dopo le critiche di Massimo D'Alema. Peccato che i progenitori dell'Isis vogliano sterminare «tutti gli ebrei».Benjamin Netanyahu incontra 70 diplomatici e non esclude la tregua ma solo dopo aver raggiunto «gli obiettivi». Joe Biden chiede la «de-escalation». Le guardie iraniane appoggiano Gaza.Lo speciale contiene due articoli.Sono tanti, in Italia, gli allegri fiancheggiatori di Hamas. Dal 10 maggio, quando il Movimento di resistenza islamico (questo significa la sigla «Hamas») ha lanciato dalla Striscia di Gaza la prima salva di missili contro Tel Aviv, e ha dato il via al conflitto armato con Israele, dal nostro Paese si è alzato un plauso diffuso. Non per nulla, nelle nostre strade le verdi insegne di Hamas garriscono al vento accanto alle bandiere arcobaleno che tingono le sfilate politically correct dei sostenitori del disegno di legge Zan contro l'omofobia. Ma anche le sardine hanno abboccato all'amo di Hamas, visto che ora provano a riempire qualche piazzetta per protestare contro «l'apartheid» imposto da Israele. Ed è vero che Laura Boldrini, l'ex presidente della Camera che oggi è deputato di Liberi e uguali, premette sui social network che non parteggia per i terroristi islamici, ma poi chiede alla «comunità internazionale» di «imporre al governo di Benjamin Netanyahu di fermarsi», e protesta con il ministero della Difesa perché dal porto di Genova sarebbero partite armi destinate ai nemici di Hamas. Anche la scrittrice Michela Murgia si allinea all'oltranzismo antiebraico dell'organizzazione palestinese: per la scrittrice, infatti, il conflitto con Hamas ha una sola origine, cioè Israele, «un Paese guidato da una destra ultranazionalista, suprematista e razzista».La figura più triste è quella del pacato Enrico Letta, il segretario del Partito democratico, che ha osato partecipare alla manifestazione romana in sostegno al popolo d'Israele. A strapazzarlo a dovere ha subito provveduto Massimo D'Alema, che del resto nell'agosto 2006, da ministro degli Esteri, venne fotografato a Beirut al braccio di uno dei capi dell'organizzazione terroristica. Il suo attacco intimidatorio a Letta ha fatto quasi impallidire i missili: «In questi giorni ho avuto nostalgia di una forza politica significativa di sinistra», ha proclamato D'Alema, «perché di fronte alla tragedia palestinese ho sentito dire solo parole di circostanza. Poi ho visto sul palco della solidarietà a Israele il nostro amico Letta accanto a Matteo Salvini: c'è qualcosa che non funziona, nel modo in cui viene affrontata questa tragedia». Così il povero Letta s'è affrettato a cambiare registro: «La reazione d'Israele», ha balbettato, «va oltre la legittima difesa». Insomma, Hamas sembra avere tanti buoni amici, in Italia. Pochi, in realtà, sembrano consapevoli di che cosa sia realmente. Eppure dal 2003 anche l'Unione europea, che non può dirsi proprio un covo sionista, ha iscritto Hamas nell'elenco delle peggiori centrali terroristiche, come prima di lei avevano fatto Canada, Giappone, Stati Uniti, ma anche l'Egitto e la Giordania. Dalla sua creazione, in effetti, Hamas proclama la distruzione dello Stato d'Israele e mette bombe. Nel suo Manifesto istitutivo, datato 18 agosto 1988, si legge che «non esiste soluzione alla questione palestinese se non nel Jihad», cioè nella Guerra santa. A scorrere quel documento di 33 anni fa sembra di ascoltare un antefatto ingiallito dei proclami dei tagliagole dell'Isis, lo Stato islamico che dal 2014 al 2017 s'impiantò tra Iraq e Siria, e da lì cominciò a colpire l'Occidente con centinaia di attentati e stragi d'innocenti. Hamas, del resto, è emanazione del movimento fondamentalista dei Fratelli musulmani e il suo primo obiettivo è creare lo Stato palestinese, cacciando gli usurpatori ebrei: «Il nostro scopo», si legge nel Manifesto, «è innalzare la bandiera di Allah su ogni metro quadrato della terra di Palestina». Hamas rifiuta ogni possibilità di convivenza: nel Manifesto si legge che «L'ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno tutti». Dal 2007 Hamas ha anche un suo territorio: la Striscia di Gaza, che ha sottratto con un colpo militare al controllo dell'Autorità nazionale palestinese, l'istituzione che «governa» la Palestina. Anche se avversaria di Israele, l'Anp ha una struttura laica. Hamas, invece, è dominata dall'integralismo. Il Corano deve pervadere tutto, e spronare all'odio razzista per gli «usurpatori» ebrei, che (testualmente) «rovinano la vita delle persone, rubano il loro denaro e minacciano il loro onore». Il Manifesto proclama che «si deve combattere il Male», cioè Israele e l'Occidente che lo tutela: «Il Male va vinto e schiacciato, cosicché le patrie ritornino ai loro legittimi proprietari e sia proclamato lo Stato islamico».Con toni propagandistici intinti nel nazismo, Hamas sostiene che «lo schema sionista non ha limiti», e dopo la Palestina l'odiato ebreo «cercherà di espandersi dal Nilo all'Eufrate». Per certificare l'espansionismo sionista, il Manifesto cita perfino i Protocolli degli anziani di Sion, l'infame documento creato ad arte dalla polizia zarista nel 1903 per propagare l'antisemitismo, e poi divenuto strumento dell'Olocausto. Al complotto sionista, secondo Hamas, parteciperebbero «la massoneria, il Rotary club e il Lions club». Ci sarebbe da ridere. In realtà c'è da piangere, se si pensa a quanti, in Italia, stiano impugnando come segno di libertà le bandiere verdi di un'organizzazione che incarna solo terrorismo e razzismo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/avviso-ai-compagni-tifosi-dei-razzi-lo-statuto-di-hamas-invoca-la-shoah-2653042429.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="israele-punta-a-disarmare-il-nemico" data-post-id="2653042429" data-published-at="1621461465" data-use-pagination="False"> Israele punta a disarmare il nemico Si avvicina una tregua in Medio Oriente? Secondo fonti citate ieri dal Times of Israel, lo Stato ebraico starebbe valutando la possibilità di un cessate il fuoco, pur mantenendo aperta la prospettiva di un prosieguo delle ostilità. In questo quadro, durante un incontro avvenuto con 70 diplomatici stranieri, Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Israele sta cercando di «ottenere uno stato di deterrenza contro Hamas per porre fine ai combattimenti», ma non ha escluso l'ipotesi di ricorrere ad «altre opzioni». «Non siamo qui con il cronometro», ha chiosato il premier israeliano. Nel frattempo, mentre i razzi sono continuati a cadere sulle città di Ashdod, Ascalona, Bersabea e Rehovot, il presidente dell'Anp, Abu Mazen, ha accusato Israele di «crimini di guerra» contro Gaza. Tutto questo, mentre le forze di difesa dello Stato ebraico hanno bombardato con cannoni d'artiglieria l'area libanese da cui erano partiti quattro missili contro la parte settentrionale di Israele. I funzionari di sicurezza israeliani, nel dettaglio, si sono detti convinti che Hezbollah non sia coinvolta nella vicenda: si tratterebbe invece di «gruppi palestinesi» presenti in Libano. L'esercito israeliano ha inoltre reso noto che, in almeno tre occasioni, Hamas avrebbe cercato di inviare dei commando all'interno dello Stato ebraico, che è entrato ieri in polemica con le Nazioni Unite. L'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, l'Unrwa, aveva accusato Israele di impedire l'ingresso degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Un'accusa che ha innescato la dura reazione del ministero degli Esteri israeliano. «Durante il trasferimento degli aiuti umanitari a Gaza ieri, attraverso il valico di Kerem Shalom, Hamas ha deliberatamente bombardato il valico», ha dichiarato il ministero, definendo la tesi dell'agenzia Onu «una bugia». Continua nel frattempo a rivelarsi ambigua la posizione della Casa Bianca. In un nuovo colloquio telefonico con Netanyahu, Joe Biden ha dichiarato ieri di attendersi una «significativa de-escalation» in vista di un cessate il fuoco. Lunedì, il presidente americano aveva d'altronde detto per la prima volta di essere favorevole a una tregua, pur evitando di invocare una cessazione immediata delle ostilità. Nel frattempo la politica interna americana continua a dividersi: se il Partito democratico resta spaccato tra un'ala filoisraeliana e una filopalestinese, il movimento Black lives matter dal canto suo ha preso posizione, twittando: «Black lives matter è solidale con i palestinesi. Siamo un movimento impegnato a porre fine al colonialismo dei coloni in tutte le sue forme». Alla Camera, i dem hanno frattanto affossato una proposta dei repubblicani, volta a sanzionare le entità che svolgono attività di finanziamento a favore di Hamas, mentre la deputata Alexandria Ocasio Cortez ha stilato una risoluzione per bloccare la vendita di 735 milioni di dollari di armi a Israele. Più in generale, vari esponenti dell'elefantino (dal senatore Ted Cruz all'ex ambasciatrice all'Onu Nikki Haley) stanno accusando Biden di scarsa risolutezza nel sostegno a Israele. Una scarsa risolutezza dovuta alla balcanizzazione del suo stesso partito e alla problematicità della sua distensione verso un noto sostenitore di Hamas come l'Iran (proprio ieri il comandante delle Guardie della rivoluzione, Hossein Salami, ha dato il proprio endorsement ai razzi di Gaza). In questo quadro, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, si recherà oggi in Israele e nei territori palestinesi per tenere dei colloqui sul conflitto in corso. Tuoni e fulmini sono arrivati nel frattempo da Ankara: Recep Tayyip Erdogan ha infatti respinto le accuse di antisemitismo che gli erano state mosse dal Dipartimento di Stato americano. «Accusare il nostro presidente di antisemitismo è un approccio illogico e falso. Questa è una bugia detta sul nostro presidente», ha dichiarato il portavoce dell'Akp, Omer Celik. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, il Sultano aveva avuto parole durissime contro Israele.
I computer che guidano i mezzi non sono più stati in grado di calcolare come muoversi anche perché i sensori di bordo leggono lo stato dei semafori e questi erano spenti. Dunque Waymo in sé non ha alcuna colpa, e soltanto domenica pomeriggio è stato ripristinato il servizio. Dunque questa volta non c’è un problema di sicurezza per gli occupanti e neppure un pericolo per chi si trova a guidare, piuttosto, invece, c’è la dimostrazione che le nuove tecnologie sono terribilmente dipendenti da altre: in questo caso il rilevamento delle luci dei semafori, indispensabili per affrontare gli incroci e le svolte. Qui si rivela la differenza tra l’umano che conduce la meccanica e l’intelligenza artificiale: innanzi a un imprevisto, seppure con tutti i suoi limiti e difetti, un essere umano avrebbe improvvisato e tentato una soluzione, mentre la macchina (fortunatamente) ha obbedito alle leggi di controllo. Il problema non ha coinvolto i robotaxi Tesla, che invece agiscono con sistemi differenti, più simili ai ragionamenti umani, ovvero sono più indipendenti dalle infrastrutture della circolazione. Naturalmente Waymo può trarre da questo evento diverse considerazioni. La prima riguarda l’effettiva dipendenza del sistema di guida dalle infrastrutture esterne; la seconda è la valutazione di come i mezzi automatizzati hanno reagito alla mancanza di informazioni. Infine, come sarà possibile modificare i software di controllo affinché, qualora capiti un nuovo incidente tecnico, le auto possano completare in sicurezza il servizio. Dall’esterno della vicenda è invece possibile valutare anche altro: le tecnologie digitali applicate alle dinamiche automobilistiche non sono ancora sufficientemente autonome. Sia chiaro, lo stesso vale per navi e aeroplani, ma mentre per questi ultimi gli algoritmi dei droni stanno già portando a una ricaduta di tecnologia che viene trasferita ai velivoli pilotati, nel campo automobilistico c’è ancora molto lavoro da fare. Proprio ieri, sempre negli Usa, il pilota di un velivolo King Air da nove posti è stato colpito da un malore. La chiamano “pilot incapacitation” e a bordo non c’era nessun altro che potesse prendere il controllo e atterrare. Ed è qui che la tecnologia ha salvato aeroplano e occupanti: il passeggero che sedeva accanto all’uomo ha premuto il tasto del sistema “Autoland”, l’autopilota ha scelto la pista idonea per lunghezza più vicina alla posizione dell’aereo e alla rotta percorsa, ha avvertito il centro di controllo e anche messo il passeggero nelle condizioni di dichiarare la necessità di un’ambulanza sul posto. L’alternativa sarebbe stato un disastro aereo con diverse vittime. La notizia potrebbe sembrare senza alcuna correlazione con quanto accaduto a San Francisco, ma così non è: il produttore del sistema di navigazione dell’aeroplano è Garmin, ovvero il medesimo che fornisce navigatori al settore automotive. E che prima o poi vedremo fornire uno dei suoi prodotti a qualche costruttore di automobili.
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Era inoltre il 22 dicembre, quando il Times of Israel ha riferito che «Israele ha avvertito l'amministrazione Trump che il corpo delle Guardie della rivoluzione Islamica dell'Iran potrebbe utilizzare un'esercitazione militare in corso incentrata sui missili come copertura per lanciare un attacco contro Israele». «Le probabilità di un attacco iraniano sono inferiori al 50%, ma nessuno è disposto a correre il rischio e a dire che si tratta solo di un'esercitazione», ha in tal senso affermato ad Axios un funzionario di Gerusalemme.
Tutto questo, mentre il 17 dicembre il direttore del Mossad, David Barnea, aveva dichiarato che lo Stato ebraico deve «garantire» che Teheran non si doti dell’arma atomica. «L'idea di continuare a sviluppare una bomba nucleare batte ancora nei loro cuori. Abbiamo la responsabilità di garantire che il progetto nucleare, gravemente danneggiato, in stretta collaborazione con gli americani, non venga mai attivato», aveva detto.
Insomma, la tensione tra Gerusalemme e Teheran sta tornando a salire. Ricordiamo che, lo scorso giugno, le due capitali avevano combattuto la «guerra dei dodici giorni»: guerra, nel cui ambito gli Stati Uniti avevano colpito tre siti nucleari iraniani, per poi mediare un cessate il fuoco con l’aiuto del Qatar. Non dimentichiamo inoltre che Trump punta a negoziare un nuovo accordo sul nucleare di Teheran con l’obiettivo di scongiurare l’eventualità che gli ayatollah possano conseguire l’arma atomica. Uno scenario, quest’ultimo, assai temuto tanto dagli israeliani quanto dai sauditi.
Il punto è che le rinnovate tensioni tra Israele e Teheran si stanno verificando in una fase di fibrillazione tra lo Stato ebraico e la Casa Bianca. Trump è rimasto irritato a causa del recente attacco militare di Gerusalemme a Gaza, mentre Netanyahu non vede di buon occhio la possibile vendita di caccia F-35 al governo di Doha. Bisognerà quindi vedere se, nei prossimi giorni, il dossier iraniano riavvicinerà o meno il presidente americano e il premier israeliano.
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Il Comune fiorentino sposa l’appello del Maestro per riportare a casa le spoglie di Cherubini e cambiare nome al Teatro del Maggio, in onore di Vittorio Gui. Partecipano al dibattito il direttore del Conservatorio, Pucciarmati, e il violinista Rimonda.