2018-10-22
Attacco a Pro Vita. «Via quei manifesti, sono uno choc per chi li osserva»
Surreale ingiunzione dell'Istituto di autodisciplina pubblicitaria per i cartelloni contro l'utero in affitto. «Il trattamento riservato al bambino - la marchiatura con il codice a barre, il volto straziato dal pianto e dalla disperazione - ad avviso dell'organo di controllo, trascende la necessaria esigenza di informazione e si traduce in un'offesa della sua dignità». Il presidente dell'associazione Toni Brandi: «Andremo avanti, noi siamo in regola con le leggi». L'utero in affitto viola la dignità del bambino? Secondo l'opinione pubblica liberal no. In compenso, per l'Istituto di autodisciplina pubblicitaria, sono i manifesti di Pro Vita contro tale pratica (espressamente vietata dalle leggi italiane, ricordiamolo) a costituire una offesa alla dignità dei minori che va sanzionata. La vicenda della famosa campagna contro la maternità surrogata delle associazioni pro life si arricchisce di un nuovo capitolo tragicomico.Su quei manifesti che ripetono una verità difficilmente contestabile (ovvero che due uomini non fanno una madre e due donne non fanno un padre) si abbatte infatti un'ingiunzione dello Iap le cui motivazioni sono tutte da leggere.Prima, però, converrà capire di cosa stiamo parlando di preciso. Lo Iap si occupa, come è scritto sul suo sito, di promuovere «una comunicazione commerciale onesta, veritiera e corretta» attraverso un proprio Codice di autodisciplina. Tale documento è sottoscritto da aziende agenzie, consulenti, e concessionarie. È il caso anche dei manifesti in oggetto, dato che la concessionaria a cui si è affidata Pro Vita ha sottoscritto il Codice. Interpellato dal Comune di Roma, lo Iap ha quindi deciso di valutare se la suddetta campagna violasse o meno qualcuno degli articoli vincolanti per la comunicazione pubblicitaria. Nelle sue conclusioni, l'Istituto, ovviamente, si preoccupa di non passare per il braccio armato della censura delle idee politicamente scorrette, quindi, prudentemente, premette «che il Comitato di controllo riconosce il messaggio chiaramente connotato come proveniente da associazioni di tendenza, e quindi libera espressione dell'opinione di una parte. A tal proposito non intende esprimere alcuna posizione nei confronti del dibattito sul tema e non contesta la legittimità dell'iniziativa in sé». Una ovvietà, ma di questi tempi si tratta di una cosa niente affatto scontata: in Italia si possono ancora esprimere liberamente le idee senza che gli organi di controllo entrino nel merito, stabilendo che alcune opinioni sono legittime altre no. Uscita dalla porta, tuttavia, la polizia del pensiero rientra subito dopo dalla finestra. Nelle righe che seguono, infatti, leggiamo: «Il trattamento riservato al bambino - la marchiatura con il codice a barre, il volto straziato dal pianto e dalla disperazione - ad avviso dell'organo di controllo, trascende la necessaria esigenza di informazione e si traduce in un'offesa della sua dignità, in contrasto con quanto previsto dall'art. 10 del Codice».Ecco, in particolare, cosa viene contestato: «La figura del minore viene infatti strumentalizzata quale mero strumento di richiamo dell'attenzione per mezzo di un'immagine violenta e cruda, suscettibile di creare un forte turbamento nell'osservatore. Lo sfruttamento dell'immagine di sofferenza del bambino contrasta con il rispetto dovuto alla dignità della persona».Insomma, fare campagne contro l'utero in affitto è possibile, a patto però di metterci bambini sorridenti e felici. Certo, l'immagine è forte. Indubbiamente vuole «richiamare l'attenzione» (a cosa servirebbe, sennò, una campagna pubblicitaria?). Quanto al «turbamento nell'osservatore», sembra quasi che l'organo di autodisciplina pubblicitaria scopra solo ora come funziona una campagna di sensibilizzazione. Pensiamo alle varie «pubblicità progresso» o anche agli spot delle Ong per reclamizzare le raccolte fondi: dalle ragazze con i lividi in faccia negli spot contro le violenze sulle donne ai classici bambini africani con tanto di corpo scheletrico, pancione e mosche svolazzanti, da sempre le immagini choc servono a turbare l'osservatore. È una delle leggi della comunicazione. Se decidiamo di proibire ogni manifesto che mostri la sofferenza di qualcuno, diverrà praticamente impossibile portare avanti campagne di sensibilizzazione. L'ingiunzione richiama poi l'articolo «secondo il quale sono vietate quelle linee di comunicazione che insistano su immagini e richiami scioccanti tali da ingenerare ingiustificatamente allarmismi, sentimenti di paura o di grave turbamento». Quell'avverbio, «ingiustificatamente», sembra tuttavia entrare nel merito della questione, cosa che invece lo Iap aveva dichiarato di non voler fare. Si contesta, infine, la scelta dei cartelloni, «trattandosi di un veicolo che si presenta come uno dei più pervasivi in quanto la visione del messaggio viene imposta indistintamente a chiunque, non rispondendo ad una precisa scelta dei fruitori». E a chi andava rivolta, di grazia, una campagna contro l'utero in affitto? Ora, comunque, Pro Vita ha dieci giorni per rispondere alle accuse. Poi lo Iap deciderà se accogliere la replica o andare fino al Giurì. Di certo, spiega Toni Brandi, presidente di Pro Vita onlus, «le motivazioni sono deboli, anche perché noi ci rifacciamo alla legge 40, che vieta la maternità surrogata, che peraltro è criticata anche da molte femministe radicali. In ogni caso faremo opposizione a tale ingiunzione, ovviamente». L'utero in affitto, spiega ancora Brandi, «sarà uno dei temi principali al Congresso mondiale delle famiglie che si svolgerà dal 29 al 31 marzo 2019, a Verona». Occhio ai manifesti, però: niente cose traumatizzanti, o lo Iap si spaventa.
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