2025-02-22
        Molto artificiale e poco intelligente. L’asta di Christie’s non può essere arte
    
 
In vendita al miglior offerente 34 «opere» realizzate con l’Ia. Prive di quel guizzo che caratterizza i pittori in carne e ossa.È iniziata l’altroieri e durerà fino a mercoledì 5 marzo la prima asta online dedicata a opere generate dall’Intelligenza artificiale. A organizzarla è la britannica Christie’s, leader mondiale delle vendite all’incanto (tramite il cui sito è possibile partecipare all’evento), e il titolo è Augmented Intelligence, ovvero «Intelligenza aumentata». Il sostantivo «intelligenza», come si vede, è il perno attorno a cui ruota l’operazione e, in effetti, è su di esso che è opportuno soffermarsi, in primo luogo perché sarebbe molto utile mettersi d’accordo su cosa si voglia (o, diciamo meglio, si debba) intendere con questa parola. Prima, però, alcune informazioni. Augmented Intelligence è sì la prima asta completamente incentrata sulla vendita di lavori concepiti per mezzo dell’Ai (dall’inglese «Artificial Intelligence»), ma di opere partorite dall’Intelligenza artificiale ne è già stata venduta più di qualcuna ed è proprio Christie’s la prima ad averlo fatto, precisamente nel 2018. Non solo: nel 2021 la casa d’aste inglese è riuscita a piazzare un Nft («Non fungible token»: in buona sostanza un file che in teoria - molto in teoria - dovrebbe presentare caratteristiche tali da renderlo non digitalmente riproducibile) all’astronomica cifra di 69 milioni di dollari. L’«opera» in questione altro non è che un gigantesco file in formato jpeg realizzato da un creativo statunitense noto con lo pseudonimo di Beeple (vero nome Mike Winkelmann) e raffigurante, in una sorta di enorme collage, tutte le immagini che Beeple medesimo aveva quotidianamente immesso nel Web a partire dal 2007. A compiere l’acquisto è stato l’anonimo, ed evidentemente ricchissimo, fondatore di Metapurse, il più grande fondo di Nft esistente, e già a proposito di costui non è peregrino chiedersi se, al netto dei quattrini che possiede, sia considerabile una persona intelligente, visto l’utilizzo che ha fatto - e presumibilmente seguita a fare - dei suoi cospicui denari. La domanda che viene spontaneo porsi è che cosa se ne faccia, ora, il fondatore di Metapurse di quel mastodontico file. Lo conserva dentro un hard disk? Lo proietta su una parete a beneficio di chi gli fa visita? Non lo sappiamo e fatichiamo anche a immaginarlo, forse perché forniti di un’intelligenza non sufficientemente «aumentata». Ad ogni modo, pur virtuali, gli Nft sono - come già detto - un’elaborazione della mente umana, mentre ciò che è attualmente acquistabile sul sito di Christie’s scaturisce dall’Intelligenza artificiale. Per esempio Words Can Communicate Beyond Words («Le parole possono comunicare oltre le parole»), opera che consiste nella visualizzazione in caratteri verdi su sfondo nero della frase appena citata, inscritta in un cerchio verde anch’esso. La base d’asta è di 10.000 dollari e gli esperti di Christie’s stimano che l’aggiudicazione possa avvenire attorno ai 15.000 dollari. È bene ripeterlo: si sta parlando, anche qui, di file digitali e di null’altro che questo. Peraltro lo zampino umano c’è pure in ognuno dei 34 lotti da cui Augmented Intelligence è composta, essendo ognuna di queste opere stata sfornata dall’Intelligenza artificiale su impulso (cioè sulla base delle indicazioni) di soggetti gravitanti a vario titolo nel mondo dell’arte, come la quarantacinquenne americana Sasha Stiles, senza la quale la sopra citata Words Can Communicate Beyond Words non sarebbe mai esistita, con grave pregiudizio di noi tutti. E così possiamo tornare a focalizzarci sul tema dell’intelligenza. Può o potrà mai, in assenza di uno stimolo umano, l’Intelligenza artificiale decidere in autonomia, perché le va, di produrre un’opera creativa? O non è abbastanza «intelligente» (perlomeno emotivamente intelligente) per maturare simili esigenze? E quanto generato dall’Intelligenza artificiale potrà mai davvero essere comparabile, sia sul piano delle motivazioni iniziali sia su quello delle possibili ricadute sull’immaginario collettivo e quindi sulla società, a ciò che la mente umana, nelle sue manifestazioni più alte, si è finora dimostrata in grado di far nascere? Di fronte all’obiezione che le opere dell’Intelligenza artificiale sono sempre e solo rimasticature, tutt’al più ben eseguite, di cose già esistenti (e difatti alcune centinaia di artisti hanno invano provato a far annullare l’asta di Christie’s con una lettera in cui viene legittimamente posta la questione del copyright della miriade di opere - dipinti, fotografie, fumetti, testi scritti - saccheggiate dall’Ia), qualcuno potrebbe opporre il famoso paradosso sostenuto da Antonio De Curtis nel film Totò, Eva e il pennello proibito: «Tutti sono capaci di fare, è copiare che è difficile». Il punto, però, è un altro, ossia la possibilità dell’Intelligenza artificiale, allorché viene chiamata a prodursi in performance creative, di incidere sull’esistente, l’abilità (che molta intelligenza, magari soltanto istintiva, richiede) di compiere uno scarto autentico rispetto a quel che si era pensato e immaginato fino a quel momento, la capacità insomma di fare realmente arte e non soltanto comunicazione, peraltro - almeno sino a oggi - in maniera assai meno efficace in confronto a comunicatori bravissimi come, per fare un nome, l’inglese Banksy. C’è davvero il rischio, ed è anzi auspicabile, che a breve un’espressione come «Ma questa è roba da Ia...» divenga un modo di dire per riferirsi a opere dalla qualità modesta, mancanti di forza intrinseca e di originalità. Prive, soprattutto, di quel guizzo che, da sempre, è un requisito dei capolavori. Si pensi all’orinatoio di Duchamp. Grazie al genio (o, per rimanere in argomento, alla notevole intelligenza: basta e avanza quella) del pittore francese, il prezioso sanitario, debitamente decontestualizzato, ha originato il ready-made, l’oggetto della vita quotidiana che si eleva a concetto divenendo altro da sé. Ebbene, non vi sono dubbi: ove gestito dall’Intelligenza artificiale, un cesso è inutilmente e tristemente destinato a rimanere un cesso. Per di più virtuale.