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2025-05-10
Sulla Piazza Rossa sfila l’asse Mosca-Pechino
Vladimir Putin (Ansa)
Prima l’accoglienza dei leader internazionali al Cremlino, con l’ospite più importante, Xi Jinping, lasciato per ultimo; poi l’ingresso sulle tribune insieme con tutti i capi delle delegazioni straniere arrivate per la celebrazione. Per Vladimir Putin, la parata militare che ha commemorato gli 80 anni dalla vittoria nella «grande guerra patriottica» è stata un successo. Non tanto per la suggestività della cerimonia - difficile da negare anche per i più accesi russofobi - quanto per il messaggio di centralità geopolitica che Mosca è riuscita a proiettare, a dispetto dell’isolamento ancora largamente decantato dai media occidentali. Considerando che Russia, Cina, Brasile e India (Narendra Modi non ha presenziato, ieri, solo per via degli scontri con il Pakistan) contano insieme quasi il 40% della popolazione mondiale.
Sulla Piazza Rossa hanno marciato 55 unità cerimoniali, con oltre 11.500 militari, di cui più di 1.500 partecipanti alla guerra in Ucraina, accompagnati dall’orchestra militare. La parata ha visto la partecipazione di contingenti stranieri provenienti da Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam, Egitto, Cina, Laos, Mongolia e Myanmar, a testimonianza di un sostegno internazionale che Mosca intende enfatizzare. Nel corso della cerimonia, hanno sfilato anche i leggendari carri armati T-34, protagonisti nella vittoria della seconda guerra mondiale. Seguiti, più avanti, dai droni da combattimento utilizzati in Ucraina, in una linea immaginaria che unisce passato e presente.
Putin, nel suo discorso, ha reso omaggio alla «generazione che ha schiacciato il nazismo e conquistato la libertà e la pace per tutta l’umanità, a costo di milioni di vite». Il giorno della vittoria, ha detto lo zar, è la «festa più importante per il Paese», e lascia in eredità ai russi «il compito di difendere la Madrepatria, di rimanere uniti e di difendere con fermezza i nostri interessi nazionali, la nostra storia millenaria, la cultura e i valori tradizionali: tutto ciò che ci è caro, che per noi è sacro». «Ricordiamo le lezioni della seconda guerra mondiale e non accetteremo mai la distorsione di quegli eventi o i tentativi di giustificare gli assassini e diffamare i veri vincitori», ha aggiunto. «La Russia è stata e continuerà a essere un ostacolo indistruttibile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo, e si opporrà alla violenza perpetrata dai sostenitori di queste idee aggressive e distruttive». Un messaggio che si lega all’attuale conflitto: «Tutta la Russia, la nostra società e tutto il popolo sostengono i partecipanti all’operazione militare speciale. Siamo orgogliosi del loro coraggio e del loro spirito, e della loro determinazione d’acciaio che ci ha sempre portato alla vittoria».
La commemorazione è stata anche occasione per intensi colloqui diplomatici. Dopo il vertice con Xi di giovedì, ieri è stata la volta del Brasile, con Luiz Inacio Lula da Silva che, successivamente alla parata, è stato ricevuto al Cremlino. Putin ha sottolineato il costante sviluppo delle relazioni bilaterali, mentre il presidente brasiliano ha espresso interesse per collaborazioni in settori come la difesa e lo spazio. Nel frattempo, a Leopoli, i rappresentanti degli Stati Ue hanno formalizzato l’istituzione di un Tribunale speciale per giudicare il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Il Cremlino, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, ha snobbato l’iniziativa, dichiarando che la Russia non reagirà. Congiuntamente, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato per oggi un vertice a Kiev con la coalizione dei volenterosi (Giorgia Meloni parteciperà da remoto).
Nonostante il forte messaggio contro l’egemonia statunitense, i canali di dialogo con Washington rimangono aperti. Secondo il Cremlino, Putin e Donald Trump si sono scambiati congratulazioni per l’anniversario attraverso i rispettivi staff. Il vicepresidente Usa, JD Vance, ha dichiarato che «la Russia non può aspettarsi di ottenere territori che non ha ancora conquistato», ribadendo quanto già affermato mercoledì a Monaco. Tuttavia, Vance ha riconosciuto che le richieste di Mosca hanno senso perché la Russia crede di vincere la guerra. Il congelamento del fronte, per chi ha il tempo della propria parte, ha un costo che gli altri devono pagare. «Sapevamo che avrebbero chiesto più di quanto fosse ragionevole dare, è così che spesso funzionano i negoziati», ha aggiunto.
Secondo Reuters, Stati Uniti e Unione Europea starebbero preparando una proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, con la minaccia di nuove sanzioni a Mosca caso di rifiuto. Il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha annunciato nuovi colloqui con Washington per riprendere il pieno funzionamento delle rispettive ambasciate. Sul trattato New Start per la riduzione delle armi nucleari, in scadenza il 5 febbraio 2026, Ryabkov ha escluso un’estensione a meno di «modifiche fondamentali» nella politica Usa verso Mosca. Duro botta e risposta, infine, tra l’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, e il premier slovacco, Robert Fico, unico leader dei 27 ieri in Russia (atteso martedì a Palazzo Chigi). «Tutti coloro che sostengono la libertà, l’indipendenza e tutti i valori europei dovrebbero essere in Ucraina oggi, nel Giorno dell’Europa, e non a Mosca», ha affermato la prima. «Sono a Mosca per rendere omaggio agli oltre 60.000 soldati dell’Armata Rossa che sono morti liberando la Slovacchia», ha replicato il secondo, rammentandole di non avere l’autorità «per criticare il primo ministro di un Paese sovrano».
I caccia rifilati da Macron all’India fatti a pezzi dalla tecnologia cinese
La quarta guerra tra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari, è scoppiata martedì scorso. Il giorno successivo è cominciato anche uno scontro industriale tra Pakistan, Cina, India e la Francia di Macron che ha subito uno smacco. Mentre crescono gli scambi d’artiglieria lungo il fronte è stato confermato l’abbattimento di quattro velivoli indiani prodotti dalla transalpina Dassault, un evento capitato pochi giorni dopo la conferma di un nuovo ordine di Delhi per altri caccia identici destinati alla Marina. A essere abbattuti sarebbero stati due Rafale (moderni e aggiornati) e altrettanti Mirage 2000-5, gli stessi che Macron ha rifilato all’Ucraina. Non è stato accertato come gli aerei siano stati abbattuti, se da sistemi contraerei Hq-9 o Hq-16 di fabbricazione cinese acquisiti dal Pakistan, oppure se da missili cinesi aria-aria a lungo raggio Pl-15 lanciati dai caccia Jf-10 o Jf-17 pakistani. E neppure si sa se gli abbattimenti siano stati favoriti da piloti a corto d’addestramento o da scarsa manutenzione. A vantaggio dell’India ci sono invece i numeri: ha oltre 2.200 velivoli inclusi 513 caccia, mentre il Pakistan conta su 1.399 aerei dei quali 328 caccia. Di sicuro lo scontro aereo tra jet di fabbricazione cinese e caccia francesi sarà attentamente esaminato dalle forze armate di mezzo mondo alla ricerca di informazioni che potrebbero offrire un vantaggio in futuro.
Ma se ad abbattere Mirage e Rafale fossero stati i caccia fatti da Pechino, allora la questione sarebbe grave per la tecnologia francese, evidentemente inferiore, come per quella di molti Stati europei alleati della Nato. Un brutto colpo per la credibilità francese e per le prossime vendite di Parigi. Secondo fonti indiane, invece, si sarebbe trattato di due Mirage, ma anche di un MiG-29 e di un Sukhoi 30 fatti in Russia. Comunque sia andata, l’escalation del conflitto tra India e Pakistan offre al mondo un primo vero confronto tra l’euro-tecnologia e sino-tecnologia, i cui titoli sono già in forte rialzo: da quando è noto l’esito del duello aereo le azioni della Avic Chengdu, azienda che costruisce i J-10 -17, sono salite del 40%. Pechino negli ultimi cinque anni ha fornito l’81% delle armi importate dal Pakistan, almeno secondo i dati dello Stockholm International Peace research institute (Sipri), quindi questi scontri rappresentino l’occasione perfetta per validare l’export militare cinese e per preoccupare l’Ucraina, perché tra Pechino e Mosca esiste un ampio travaso di tecnologie. Il caccia J-10C è l’ultima versione del multiruolo entrato in servizio nella Repubblica popolare all’inizio degli anni 2000. Dotato di sistemi d’arma e avionica migliorati, è classificato di «generazione 4.5» come il Rafale ma pare essere un gradino sotto i jet di quinta generazione come l’F-35. La Cina ha però consegnato il primo lotto del J-10 al Pakistan nel 2022, quindi i piloti hanno avuto il tempo di addestrarsi. L’Aeronautica militare pakistana gestisce anche una flotta più numerosa, quella degli F-16 di fabbricazione americana, ma tali jet hanno una configurazione di 20 anni, obsoleta ma ottima per fare esercitazioni. Se i J-10 e -17 sono più avanzati, i loro radar «vedono» più lontano degli avversari, possono quindi mirare in anticipo e sparare quando i nemici li stanno ancora cercando. Non è noto quali informazioni l’India avesse sul missile Pl-15, ma fonti orientali riferiscono che la gittata sarebbe di 300 km, superiore a quanto finora ritenuto, mentre l’europeo Meteor del Rafale arriva a 210. I social media pakistani esaltano le prestazioni del missile cinese contro l’europeo Meteor prodotto da Mbda, ma anche se non vi è stata alcuna conferma dell’uso di queste armi il Pl-15 rappresenta un grosso problema, poiché da anni le aziende occidentali sono ansiose di conoscerne i dettagli e accertarne le prestazioni. Anche gli Usa osservano con estremo interesse, non fosse altro perché stanno sviluppando lo Aim-260, missile tattico avanzato di Lockheed Martin. E ogni aereo e missile valgono milioni di dollari.
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Xi Jinping e Vladimir Putin fianco a fianco durante la parata del Giorno della vittoria. Lo zar: «Tutto il Paese sostiene l’offensiva in Ucraina». Oggi vertice dei «volenterosi» a Kiev, Giorgia Meloni partecipa da remoto. Sul tavolo una proposta di Usa e Ue per una tregua di 30 giorni.In Asia, i jet Dassault abbattuti dal Pakistan con radar e aerei del Dragone. Parigi umiliata. Lo speciale contiene due articoli Prima l’accoglienza dei leader internazionali al Cremlino, con l’ospite più importante, Xi Jinping, lasciato per ultimo; poi l’ingresso sulle tribune insieme con tutti i capi delle delegazioni straniere arrivate per la celebrazione. Per Vladimir Putin, la parata militare che ha commemorato gli 80 anni dalla vittoria nella «grande guerra patriottica» è stata un successo. Non tanto per la suggestività della cerimonia - difficile da negare anche per i più accesi russofobi - quanto per il messaggio di centralità geopolitica che Mosca è riuscita a proiettare, a dispetto dell’isolamento ancora largamente decantato dai media occidentali. Considerando che Russia, Cina, Brasile e India (Narendra Modi non ha presenziato, ieri, solo per via degli scontri con il Pakistan) contano insieme quasi il 40% della popolazione mondiale.Sulla Piazza Rossa hanno marciato 55 unità cerimoniali, con oltre 11.500 militari, di cui più di 1.500 partecipanti alla guerra in Ucraina, accompagnati dall’orchestra militare. La parata ha visto la partecipazione di contingenti stranieri provenienti da Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam, Egitto, Cina, Laos, Mongolia e Myanmar, a testimonianza di un sostegno internazionale che Mosca intende enfatizzare. Nel corso della cerimonia, hanno sfilato anche i leggendari carri armati T-34, protagonisti nella vittoria della seconda guerra mondiale. Seguiti, più avanti, dai droni da combattimento utilizzati in Ucraina, in una linea immaginaria che unisce passato e presente. Putin, nel suo discorso, ha reso omaggio alla «generazione che ha schiacciato il nazismo e conquistato la libertà e la pace per tutta l’umanità, a costo di milioni di vite». Il giorno della vittoria, ha detto lo zar, è la «festa più importante per il Paese», e lascia in eredità ai russi «il compito di difendere la Madrepatria, di rimanere uniti e di difendere con fermezza i nostri interessi nazionali, la nostra storia millenaria, la cultura e i valori tradizionali: tutto ciò che ci è caro, che per noi è sacro». «Ricordiamo le lezioni della seconda guerra mondiale e non accetteremo mai la distorsione di quegli eventi o i tentativi di giustificare gli assassini e diffamare i veri vincitori», ha aggiunto. «La Russia è stata e continuerà a essere un ostacolo indistruttibile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo, e si opporrà alla violenza perpetrata dai sostenitori di queste idee aggressive e distruttive». Un messaggio che si lega all’attuale conflitto: «Tutta la Russia, la nostra società e tutto il popolo sostengono i partecipanti all’operazione militare speciale. Siamo orgogliosi del loro coraggio e del loro spirito, e della loro determinazione d’acciaio che ci ha sempre portato alla vittoria».La commemorazione è stata anche occasione per intensi colloqui diplomatici. Dopo il vertice con Xi di giovedì, ieri è stata la volta del Brasile, con Luiz Inacio Lula da Silva che, successivamente alla parata, è stato ricevuto al Cremlino. Putin ha sottolineato il costante sviluppo delle relazioni bilaterali, mentre il presidente brasiliano ha espresso interesse per collaborazioni in settori come la difesa e lo spazio. Nel frattempo, a Leopoli, i rappresentanti degli Stati Ue hanno formalizzato l’istituzione di un Tribunale speciale per giudicare il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Il Cremlino, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, ha snobbato l’iniziativa, dichiarando che la Russia non reagirà. Congiuntamente, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato per oggi un vertice a Kiev con la coalizione dei volenterosi (Giorgia Meloni parteciperà da remoto).Nonostante il forte messaggio contro l’egemonia statunitense, i canali di dialogo con Washington rimangono aperti. Secondo il Cremlino, Putin e Donald Trump si sono scambiati congratulazioni per l’anniversario attraverso i rispettivi staff. Il vicepresidente Usa, JD Vance, ha dichiarato che «la Russia non può aspettarsi di ottenere territori che non ha ancora conquistato», ribadendo quanto già affermato mercoledì a Monaco. Tuttavia, Vance ha riconosciuto che le richieste di Mosca hanno senso perché la Russia crede di vincere la guerra. Il congelamento del fronte, per chi ha il tempo della propria parte, ha un costo che gli altri devono pagare. «Sapevamo che avrebbero chiesto più di quanto fosse ragionevole dare, è così che spesso funzionano i negoziati», ha aggiunto. Secondo Reuters, Stati Uniti e Unione Europea starebbero preparando una proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, con la minaccia di nuove sanzioni a Mosca caso di rifiuto. Il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha annunciato nuovi colloqui con Washington per riprendere il pieno funzionamento delle rispettive ambasciate. Sul trattato New Start per la riduzione delle armi nucleari, in scadenza il 5 febbraio 2026, Ryabkov ha escluso un’estensione a meno di «modifiche fondamentali» nella politica Usa verso Mosca. Duro botta e risposta, infine, tra l’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, e il premier slovacco, Robert Fico, unico leader dei 27 ieri in Russia (atteso martedì a Palazzo Chigi). «Tutti coloro che sostengono la libertà, l’indipendenza e tutti i valori europei dovrebbero essere in Ucraina oggi, nel Giorno dell’Europa, e non a Mosca», ha affermato la prima. «Sono a Mosca per rendere omaggio agli oltre 60.000 soldati dell’Armata Rossa che sono morti liberando la Slovacchia», ha replicato il secondo, rammentandole di non avere l’autorità «per criticare il primo ministro di un Paese sovrano». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/asse-mosca-pechino-putin-xi-2671925760.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-caccia-rifilati-da-macron-allindia-fatti-a-pezzi-dalla-tecnologia-cinese" data-post-id="2671925760" data-published-at="1746828562" data-use-pagination="False"> I caccia rifilati da Macron all’India fatti a pezzi dalla tecnologia cinese La quarta guerra tra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari, è scoppiata martedì scorso. Il giorno successivo è cominciato anche uno scontro industriale tra Pakistan, Cina, India e la Francia di Macron che ha subito uno smacco. Mentre crescono gli scambi d’artiglieria lungo il fronte è stato confermato l’abbattimento di quattro velivoli indiani prodotti dalla transalpina Dassault, un evento capitato pochi giorni dopo la conferma di un nuovo ordine di Delhi per altri caccia identici destinati alla Marina. A essere abbattuti sarebbero stati due Rafale (moderni e aggiornati) e altrettanti Mirage 2000-5, gli stessi che Macron ha rifilato all’Ucraina. Non è stato accertato come gli aerei siano stati abbattuti, se da sistemi contraerei Hq-9 o Hq-16 di fabbricazione cinese acquisiti dal Pakistan, oppure se da missili cinesi aria-aria a lungo raggio Pl-15 lanciati dai caccia Jf-10 o Jf-17 pakistani. E neppure si sa se gli abbattimenti siano stati favoriti da piloti a corto d’addestramento o da scarsa manutenzione. A vantaggio dell’India ci sono invece i numeri: ha oltre 2.200 velivoli inclusi 513 caccia, mentre il Pakistan conta su 1.399 aerei dei quali 328 caccia. Di sicuro lo scontro aereo tra jet di fabbricazione cinese e caccia francesi sarà attentamente esaminato dalle forze armate di mezzo mondo alla ricerca di informazioni che potrebbero offrire un vantaggio in futuro. Ma se ad abbattere Mirage e Rafale fossero stati i caccia fatti da Pechino, allora la questione sarebbe grave per la tecnologia francese, evidentemente inferiore, come per quella di molti Stati europei alleati della Nato. Un brutto colpo per la credibilità francese e per le prossime vendite di Parigi. Secondo fonti indiane, invece, si sarebbe trattato di due Mirage, ma anche di un MiG-29 e di un Sukhoi 30 fatti in Russia. Comunque sia andata, l’escalation del conflitto tra India e Pakistan offre al mondo un primo vero confronto tra l’euro-tecnologia e sino-tecnologia, i cui titoli sono già in forte rialzo: da quando è noto l’esito del duello aereo le azioni della Avic Chengdu, azienda che costruisce i J-10 -17, sono salite del 40%. Pechino negli ultimi cinque anni ha fornito l’81% delle armi importate dal Pakistan, almeno secondo i dati dello Stockholm International Peace research institute (Sipri), quindi questi scontri rappresentino l’occasione perfetta per validare l’export militare cinese e per preoccupare l’Ucraina, perché tra Pechino e Mosca esiste un ampio travaso di tecnologie. Il caccia J-10C è l’ultima versione del multiruolo entrato in servizio nella Repubblica popolare all’inizio degli anni 2000. Dotato di sistemi d’arma e avionica migliorati, è classificato di «generazione 4.5» come il Rafale ma pare essere un gradino sotto i jet di quinta generazione come l’F-35. La Cina ha però consegnato il primo lotto del J-10 al Pakistan nel 2022, quindi i piloti hanno avuto il tempo di addestrarsi. L’Aeronautica militare pakistana gestisce anche una flotta più numerosa, quella degli F-16 di fabbricazione americana, ma tali jet hanno una configurazione di 20 anni, obsoleta ma ottima per fare esercitazioni. Se i J-10 e -17 sono più avanzati, i loro radar «vedono» più lontano degli avversari, possono quindi mirare in anticipo e sparare quando i nemici li stanno ancora cercando. Non è noto quali informazioni l’India avesse sul missile Pl-15, ma fonti orientali riferiscono che la gittata sarebbe di 300 km, superiore a quanto finora ritenuto, mentre l’europeo Meteor del Rafale arriva a 210. I social media pakistani esaltano le prestazioni del missile cinese contro l’europeo Meteor prodotto da Mbda, ma anche se non vi è stata alcuna conferma dell’uso di queste armi il Pl-15 rappresenta un grosso problema, poiché da anni le aziende occidentali sono ansiose di conoscerne i dettagli e accertarne le prestazioni. Anche gli Usa osservano con estremo interesse, non fosse altro perché stanno sviluppando lo Aim-260, missile tattico avanzato di Lockheed Martin. E ogni aereo e missile valgono milioni di dollari.
Giancarlo Giorgetti (Imagoeconomica)
È lo stesso Pd, che si è sempre dichiarato europeista e anzi baluardo dell’europeismo contro le destre, che, una volta al potere, avrebbero sfasciato l’economia di questo Paese, portando lo spread a livelli insostenibili e rischiando così sanzioni europee pesantissime e insopportabili per le nostre finanze? È lo stesso Pd che, nei vari componenti multicolore e durante la grigia stagione dei governi tecnici, ha sempre approvato manovre (a partire da quella di Mario Monti) che hanno depresso l’economia del Paese?Spesso i politici dell’opposizione sembrano più degli opinionisti che dei rappresentanti del popolo. Espongono infatti tesi contro chi governa contraddicendo totalmente, o anche parzialmente, quello che hanno fatto quando governavano loro. Quest’ultimo caso è particolarmente eclatante, perché si tratta di una linea, quella di non mettere mai in discussione la politica economica, finanziaria e monetaria dell’Europa, che è stata sostenuta non solo come giusta, ma come opposta a quella del centrodestra. Ora che, per ragioni di tenuta finanziaria del Paese, e per evitare attacchi speculativi, il ministro Giorgetti scrive una manovra che rispetta tali parametri e che scongiura la salita dello spread, ebbene, ora tutto ciò non va bene.
Non è intento di questo articolo entrare nel merito della manovra. Questo giornale l’ha già fatto e continuerà a farlo. Intento di questo articolo è solo mostrare quanto ridicola, incoerente, sfacciata e al limite della vergogna, sia la tesi portata avanti dall’opposizione per chiedere le dimissioni di Giorgetti. Ma con quale faccia si può chiedere a qualcuno di dimettersi nel momento in cui fa ciò che si è sempre sostenuto che si debba fare, e cioè puntare un occhio verso il pesce, l’economia del nostro Paese e le relative manovre finanziarie, e puntare l’altro verso il gatto, cioè le stravaganze europee che, se seguite alla lettera come nel caso del green, fanno sparire non solo il pesce ma l’intera specie ittica.
È il Pd che dovrebbe dimettersi, mica Giorgetti. Il partito che ha sempre invocato il rispetto dei conti pubblici e paventato lo spettro dello spread chiede le dimissioni del ministro che ha riportato lo spread ai minimi dal 2009 e il deficit/Pil al 3%. Guardassero quello che succede in Francia, esercizio provvisorio, Germania, economia a picco, Spagna dove dilagano gli scandali, e Regno Unito anch’esso in gravissime difficoltà economiche. La Germania che ha da sempre dettato la linea dell’austerity, violando poi tutte le regole sul debito pubblico nonché sugli interscambi commerciali, ora si trova a dover proporre investimenti monstre, di decine e decine di miliardi, totalmente al di fuori delle regole europee, e destinati in gran parte a ridare il fiato alla produzione industriale tedesca, da sempre basata su quella automobilistica, attraverso una vera e propria economia di guerra. Ma alla Germania tutto è concesso, anche perché essa ha la golden share del pensiero, diciamo così, e delle azioni della presidente della Commissione Ue, la tristemente nota Von der Leyen che, insieme alla Lagarde, ha fatto più danni di quelli che anche nella peggiore delle ipotesi qualcuno poteva immaginarsi. Ma questo è un altro discorso che riguarda il rispetto delle regole europee che per alcuni è rigido, per altri meno rigido, per altri è elastico, per altri ancora, tra i quali l’Italia, rigidissimo. E meno male che il governo è riuscito a rivedere il Patto di stabilità inserendo in esso ampie dosi di ragionevolezza, altrimenti sarebbero stati guai ancora maggiori. Ma tutto questo, onestamente, al Pd, non dice proprio nulla? Come si fa a superare tenacemente, ampiamente e con perseveranza il limite del ridicolo con così tanta nonchalance? Guardate che bisogna essere particolarmente bravi, non è da tutti. Si deve tornare indietro con la memoria ai giocolieri dei grandi circhi che ormai non esistono più e aspettare quello annuale che si svolge a Montecarlo.
Personalmente capirei una discussione sul modello economico sottostante alla manovra del governo. Capirei un dibattito di politica economica e finanziaria basato su modelli alternativi, su scuole economiche diverse, su politiche che si differenziano per diversi modi di concepire il rapporto tra Stato e mercato. Concepirei la legittimità di un dibattito di questo tipo, così come il dibattito tra liberisti e keynesiani hanno animato il secolo XX. Mi rendo conto, mentre lo scrivo, che sto volando a un’altitudine alla quale, probabilmente, chi dibatte di questi temi oggi rischia di avere le vertigini. Oggi al posto dei dibattiti di politica economica ci sono i dibattiti dettati dalla concezione economica dell’Ue che ha la consistenza della gelatina. Discutibile che fosse quando Draghi ha presentato un piano per la riforma dell’Europa, lo hanno messo da parte perché cominciando a leggerlo si sono resi conto che non ci stavano capendo niente. Non sono abituati a Bruxelles ad andare oltre il seminato delle loro quattro regolette in croce alle quali si attengono e obbligano gli altri ad attenersi senza l’uso del neurone, ma solo della favella che assume la forma di provvedimenti, dichiarazioni, richiami, sanzioni, direttive. Di fronte al ragionamento economico basato su riflessioni profonde e anche accurate posizioni ideali il loro encefalogramma diventa immediatamente piatto.
Che ci volete fare? In tutto questo, il Pd, che cerca di recuperare consensi carica contro Giorgetti dicendo di non fare quello che fino a ieri loro hanno fatto e anche difeso e predicato come l’unica strada possibile. La coerenza ormai appartiene a un altro mondo che non c’è dato di conoscere, almeno in questo dibattito politico.
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Quanto è probabile una collisione tra satelliti? E quanti ce ne sono oggi in orbita terrestre? Ecco la storia del primo incidente cosmico.
(IStock)
Ragazzi con problemi, con difficoltà di relazione e anche di identità che, prima ancora di raggiungere la maturità, venivano considerati affetti da quella che si definisce disforia di genere e per questo avviati a una cura irreversibile. Bloccare la pubertà, impedendo, con l’assunzione di farmaci, la produzione di ormoni e la crescita della barba o del seno, il cambiamento della voce o l’arrotondamento delle forme, la crescita affettiva e la stabilità psicologica non è un gioco. È un passo che può condizionare e rovinare per sempre la vita.
Basta infatti leggere le risultanze della commissione d’inchiesta che indagò sulla clinica Tavistock di Londra, una delle prime in Europa a specializzarsi nel cambio di sesso e nelle cure nei confronti di minorenni con disforia di genere. Per anni nella capitale inglese un gruppo di medici ha somministrato con assoluta facilità e noncuranza la triptorelina ai bambini, con la stessa leggerezza con cui certi dottori suggeriscono di prendere l’aspirina. Ma il cambio di sesso non è un’influenza o un malanno passeggero, bensì una scelta fondamentale, che anche quando non si conclude con un intervento chirurgico per modificare il genere sessuale lascia scompensi profondi e disturbi gravi. Nonostante ciò, per anni la Tavistock ha «curato» i problemi sessuali dei minori in questo modo. Senza capire le ragioni delle difficoltà, senza indagare troppo sulle cause, ma pensando che un farmaco potesse rimettere a posto le cose che la natura aveva sbagliato. Per decenni si è pensato che la pillola del cambio di sesso rappresentasse la felicità per migliaia di adolescenti. Poi, in seguito a denunce, ripensamenti e qualche suicidio, qualcuno ha cominciato a riflettere e pentirsi. Sono stati gli stessi medici a rendersi conto che dare la triptorelina ai ragazzini senza aspettare che fossero adulti e senza comprendere davvero da che cosa originasse il loro disturbo fosse una scelta pericolosa. Oggi, dopo molte contestazioni e altrettanti rimorsi degli stessi medici, la Tavistock è stata chiusa e il servizio sanitario inglese ha avviato una profonda revisione del sistema che consentiva con facilità l’accesso al cambio di sesso per i minorenni.
Purtroppo da noi le mode arrivano con ritardo e dunque ciò che in Gran Bretagna oggi è noto e quindi maneggiato con estrema cautela, in Italia resta ignoto e quindi la novità è che negli ospedali italiani si «curano» i ragazzini affetti da disforia di genere come dieci o vent’anni fa si curavano a Londra, cioè imbottendoli di farmaci, avviandoli verso un percorso di cui più tardi potrebbero pentirsi. Una bambina di 13 anni a La Spezia, dopo il trattamento a suon di farmaci per bloccare la pubertà, è stata autorizzata dal tribunale al cambio di sesso. Avviata verso un futuro incerto. Del resto, se la moda, di Vanity Fair e della comunità Lgbt, ritiene che, anche quando si è minorenni, mutare l’identità sessuale sia un diritto, un passo verso la liberazione sessuale e il futuro, dunque un fenomeno da accogliere positivamente, rivestendo gli adolescenti con capi firmati, si capisce che questi bambini dal sesso indefinito fanno «tendenza». Un po’ come il colore burgundy o le pellicce ecologiche, che quest’anno trionfano sulle passerelle.
Certo, colpisce che ad autorizzare l’assunzione di farmaci che bloccano la pubertà e anche l’intervento chirurgico per trasformare una ragazza in un ragazzo e viceversa sia un tribunale, mentre un altro tribunale non autorizza tre bambini a ritornare a casa con i propri genitori solo perché la casetta nel bosco dove hanno vissuto finora non ha la luce e l’acqua corrente. I minori sono liberi di decidere di cambiare sesso, ma non sono liberi di vivere facendo il bagno nella tinozza. Se diventano transgender vanno bene a giudici, giornalisti e stilisti. Se si divertono a giocare in un prato, senza seguire le mode, compresa quella per cui l’identità sessuale è una convenzione che si può cambiare a piacimento, allora vanno tolti ai legittimi genitori affinché imparino come si sta al mondo.
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Danila Solinas e Marco Femminella, legali della famiglia Trevallion-Birmingham (Getty Images)
Venerdì 19 dicembre i giudici abruzzesi hanno respinto il ricorso presentato dai legali di Catherine Birmingham e Nathan Trevallion per chiedere la revoca della sospensione della potestà genitoriale. Quel pronunciamento doveva restituire i due gemellini e la bimba di otto anni alla famiglia per far sì che festeggiassero il Natale insieme. E invece no: devono restare nella casa famiglia di Chieti per via di un broncospasmo. Pare incredibile, ma è così: sembra una sorta di accanimento terapeutico che diventa legal-burocratico. I giudici dell’Aquila hanno sentenziato che il decreto con cui il 20 novembre i bambini sono stati sottratti a mamma e papà è ampiamente motivato e che permangono le condizioni che giustificano il provvedimento. Per due ragioni. La prima è che «le valutazioni di idoneità contrastano in modo eclatante con le condizioni di istruzione verificate dopo l’inserimento in casa famiglia, ove è emerso che la bambina non sa leggere e scrivere, né in inglese né in italiano». Dunque il ministero dell’Istruzione ha certificato il falso? Se è così perché i giudici non inviano gli atti alla Procura? La seconda ragione è perché «una bronchite acuta con broncospasmo non segnalata e non curata dai genitori» avvalora la tesi che i bambini non siano assistiti a dovere.
Però anche i giudici si devono essere accorti che la vicenda della «casa nel bosco» non attira su di loro troppe simpatie così aprono uno spiraglio che è una sorta di carpiato con triplo avvitamento, ma che potrebbe dare un esito felice nelle prossime ore. Nel rimandare il fascicolo ai giudici del tribunale dei minori la Corte d’Appello ha stabilito che i tre bambini dovranno essere di nuovo ascoltati senza il condizionamento né dei genitori, ma neppure degli assistenti sociali. «L’audizione», scrivono i giudici, «non è un atto istruttorio, ma un diritto del minore: è assicurata la libertà di autodeterminarsi e di esprimere la propria opinione». I difensori di Catherine e Nathan - che in questi giorni non ha potuto vedere i figli per i vincoli del rigidissimo calendario burocratico, ma che sta allestendo per la festa la nuova casa messa a disposizione da Armando Carusi -, gli avvocati Marco Femminella e Danila Solinas, hanno prodotto nuove prove sulla capacità di socializzare dei bambini e hanno illustrato le ampie aperture che i genitori hanno fatto. Acconsentono a completare i cicli vaccinali; accettano la presenza di una maestra che, pur nell’ambito dell’istruzione imparata a casa, assista i bambini; hanno deciso di ristrutturare la vecchia casa in contrada Mondola e dunque non si vede perché non restituire loro la patria potestà. L’ascolto dei bambini diventa decisivo. Un passo avanti ci sarà quindi fra oggi e domani perché si potrebbe arrivare a concedere che i tre piccoli tornino a casa per Natale senza tuttavia che venga revocata la sospensione della potestà genitoriale. Su questa ipotesi si sarebbero espressi favorevolmente l’avvocato Marika Bolognese la tutrice Maria Luisa Palladino che per conto del Tribunale «per» i minori stanno seguendo la brutta favola della famiglia nel bosco.
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