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2025-05-10
Sulla Piazza Rossa sfila l’asse Mosca-Pechino
Vladimir Putin (Ansa)
Prima l’accoglienza dei leader internazionali al Cremlino, con l’ospite più importante, Xi Jinping, lasciato per ultimo; poi l’ingresso sulle tribune insieme con tutti i capi delle delegazioni straniere arrivate per la celebrazione. Per Vladimir Putin, la parata militare che ha commemorato gli 80 anni dalla vittoria nella «grande guerra patriottica» è stata un successo. Non tanto per la suggestività della cerimonia - difficile da negare anche per i più accesi russofobi - quanto per il messaggio di centralità geopolitica che Mosca è riuscita a proiettare, a dispetto dell’isolamento ancora largamente decantato dai media occidentali. Considerando che Russia, Cina, Brasile e India (Narendra Modi non ha presenziato, ieri, solo per via degli scontri con il Pakistan) contano insieme quasi il 40% della popolazione mondiale.
Sulla Piazza Rossa hanno marciato 55 unità cerimoniali, con oltre 11.500 militari, di cui più di 1.500 partecipanti alla guerra in Ucraina, accompagnati dall’orchestra militare. La parata ha visto la partecipazione di contingenti stranieri provenienti da Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam, Egitto, Cina, Laos, Mongolia e Myanmar, a testimonianza di un sostegno internazionale che Mosca intende enfatizzare. Nel corso della cerimonia, hanno sfilato anche i leggendari carri armati T-34, protagonisti nella vittoria della seconda guerra mondiale. Seguiti, più avanti, dai droni da combattimento utilizzati in Ucraina, in una linea immaginaria che unisce passato e presente.
Putin, nel suo discorso, ha reso omaggio alla «generazione che ha schiacciato il nazismo e conquistato la libertà e la pace per tutta l’umanità, a costo di milioni di vite». Il giorno della vittoria, ha detto lo zar, è la «festa più importante per il Paese», e lascia in eredità ai russi «il compito di difendere la Madrepatria, di rimanere uniti e di difendere con fermezza i nostri interessi nazionali, la nostra storia millenaria, la cultura e i valori tradizionali: tutto ciò che ci è caro, che per noi è sacro». «Ricordiamo le lezioni della seconda guerra mondiale e non accetteremo mai la distorsione di quegli eventi o i tentativi di giustificare gli assassini e diffamare i veri vincitori», ha aggiunto. «La Russia è stata e continuerà a essere un ostacolo indistruttibile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo, e si opporrà alla violenza perpetrata dai sostenitori di queste idee aggressive e distruttive». Un messaggio che si lega all’attuale conflitto: «Tutta la Russia, la nostra società e tutto il popolo sostengono i partecipanti all’operazione militare speciale. Siamo orgogliosi del loro coraggio e del loro spirito, e della loro determinazione d’acciaio che ci ha sempre portato alla vittoria».
La commemorazione è stata anche occasione per intensi colloqui diplomatici. Dopo il vertice con Xi di giovedì, ieri è stata la volta del Brasile, con Luiz Inacio Lula da Silva che, successivamente alla parata, è stato ricevuto al Cremlino. Putin ha sottolineato il costante sviluppo delle relazioni bilaterali, mentre il presidente brasiliano ha espresso interesse per collaborazioni in settori come la difesa e lo spazio. Nel frattempo, a Leopoli, i rappresentanti degli Stati Ue hanno formalizzato l’istituzione di un Tribunale speciale per giudicare il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Il Cremlino, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, ha snobbato l’iniziativa, dichiarando che la Russia non reagirà. Congiuntamente, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato per oggi un vertice a Kiev con la coalizione dei volenterosi (Giorgia Meloni parteciperà da remoto).
Nonostante il forte messaggio contro l’egemonia statunitense, i canali di dialogo con Washington rimangono aperti. Secondo il Cremlino, Putin e Donald Trump si sono scambiati congratulazioni per l’anniversario attraverso i rispettivi staff. Il vicepresidente Usa, JD Vance, ha dichiarato che «la Russia non può aspettarsi di ottenere territori che non ha ancora conquistato», ribadendo quanto già affermato mercoledì a Monaco. Tuttavia, Vance ha riconosciuto che le richieste di Mosca hanno senso perché la Russia crede di vincere la guerra. Il congelamento del fronte, per chi ha il tempo della propria parte, ha un costo che gli altri devono pagare. «Sapevamo che avrebbero chiesto più di quanto fosse ragionevole dare, è così che spesso funzionano i negoziati», ha aggiunto.
Secondo Reuters, Stati Uniti e Unione Europea starebbero preparando una proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, con la minaccia di nuove sanzioni a Mosca caso di rifiuto. Il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha annunciato nuovi colloqui con Washington per riprendere il pieno funzionamento delle rispettive ambasciate. Sul trattato New Start per la riduzione delle armi nucleari, in scadenza il 5 febbraio 2026, Ryabkov ha escluso un’estensione a meno di «modifiche fondamentali» nella politica Usa verso Mosca. Duro botta e risposta, infine, tra l’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, e il premier slovacco, Robert Fico, unico leader dei 27 ieri in Russia (atteso martedì a Palazzo Chigi). «Tutti coloro che sostengono la libertà, l’indipendenza e tutti i valori europei dovrebbero essere in Ucraina oggi, nel Giorno dell’Europa, e non a Mosca», ha affermato la prima. «Sono a Mosca per rendere omaggio agli oltre 60.000 soldati dell’Armata Rossa che sono morti liberando la Slovacchia», ha replicato il secondo, rammentandole di non avere l’autorità «per criticare il primo ministro di un Paese sovrano».
I caccia rifilati da Macron all’India fatti a pezzi dalla tecnologia cinese
La quarta guerra tra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari, è scoppiata martedì scorso. Il giorno successivo è cominciato anche uno scontro industriale tra Pakistan, Cina, India e la Francia di Macron che ha subito uno smacco. Mentre crescono gli scambi d’artiglieria lungo il fronte è stato confermato l’abbattimento di quattro velivoli indiani prodotti dalla transalpina Dassault, un evento capitato pochi giorni dopo la conferma di un nuovo ordine di Delhi per altri caccia identici destinati alla Marina. A essere abbattuti sarebbero stati due Rafale (moderni e aggiornati) e altrettanti Mirage 2000-5, gli stessi che Macron ha rifilato all’Ucraina. Non è stato accertato come gli aerei siano stati abbattuti, se da sistemi contraerei Hq-9 o Hq-16 di fabbricazione cinese acquisiti dal Pakistan, oppure se da missili cinesi aria-aria a lungo raggio Pl-15 lanciati dai caccia Jf-10 o Jf-17 pakistani. E neppure si sa se gli abbattimenti siano stati favoriti da piloti a corto d’addestramento o da scarsa manutenzione. A vantaggio dell’India ci sono invece i numeri: ha oltre 2.200 velivoli inclusi 513 caccia, mentre il Pakistan conta su 1.399 aerei dei quali 328 caccia. Di sicuro lo scontro aereo tra jet di fabbricazione cinese e caccia francesi sarà attentamente esaminato dalle forze armate di mezzo mondo alla ricerca di informazioni che potrebbero offrire un vantaggio in futuro.
Ma se ad abbattere Mirage e Rafale fossero stati i caccia fatti da Pechino, allora la questione sarebbe grave per la tecnologia francese, evidentemente inferiore, come per quella di molti Stati europei alleati della Nato. Un brutto colpo per la credibilità francese e per le prossime vendite di Parigi. Secondo fonti indiane, invece, si sarebbe trattato di due Mirage, ma anche di un MiG-29 e di un Sukhoi 30 fatti in Russia. Comunque sia andata, l’escalation del conflitto tra India e Pakistan offre al mondo un primo vero confronto tra l’euro-tecnologia e sino-tecnologia, i cui titoli sono già in forte rialzo: da quando è noto l’esito del duello aereo le azioni della Avic Chengdu, azienda che costruisce i J-10 -17, sono salite del 40%. Pechino negli ultimi cinque anni ha fornito l’81% delle armi importate dal Pakistan, almeno secondo i dati dello Stockholm International Peace research institute (Sipri), quindi questi scontri rappresentino l’occasione perfetta per validare l’export militare cinese e per preoccupare l’Ucraina, perché tra Pechino e Mosca esiste un ampio travaso di tecnologie. Il caccia J-10C è l’ultima versione del multiruolo entrato in servizio nella Repubblica popolare all’inizio degli anni 2000. Dotato di sistemi d’arma e avionica migliorati, è classificato di «generazione 4.5» come il Rafale ma pare essere un gradino sotto i jet di quinta generazione come l’F-35. La Cina ha però consegnato il primo lotto del J-10 al Pakistan nel 2022, quindi i piloti hanno avuto il tempo di addestrarsi. L’Aeronautica militare pakistana gestisce anche una flotta più numerosa, quella degli F-16 di fabbricazione americana, ma tali jet hanno una configurazione di 20 anni, obsoleta ma ottima per fare esercitazioni. Se i J-10 e -17 sono più avanzati, i loro radar «vedono» più lontano degli avversari, possono quindi mirare in anticipo e sparare quando i nemici li stanno ancora cercando. Non è noto quali informazioni l’India avesse sul missile Pl-15, ma fonti orientali riferiscono che la gittata sarebbe di 300 km, superiore a quanto finora ritenuto, mentre l’europeo Meteor del Rafale arriva a 210. I social media pakistani esaltano le prestazioni del missile cinese contro l’europeo Meteor prodotto da Mbda, ma anche se non vi è stata alcuna conferma dell’uso di queste armi il Pl-15 rappresenta un grosso problema, poiché da anni le aziende occidentali sono ansiose di conoscerne i dettagli e accertarne le prestazioni. Anche gli Usa osservano con estremo interesse, non fosse altro perché stanno sviluppando lo Aim-260, missile tattico avanzato di Lockheed Martin. E ogni aereo e missile valgono milioni di dollari.
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Xi Jinping e Vladimir Putin fianco a fianco durante la parata del Giorno della vittoria. Lo zar: «Tutto il Paese sostiene l’offensiva in Ucraina». Oggi vertice dei «volenterosi» a Kiev, Giorgia Meloni partecipa da remoto. Sul tavolo una proposta di Usa e Ue per una tregua di 30 giorni.In Asia, i jet Dassault abbattuti dal Pakistan con radar e aerei del Dragone. Parigi umiliata. Lo speciale contiene due articoli Prima l’accoglienza dei leader internazionali al Cremlino, con l’ospite più importante, Xi Jinping, lasciato per ultimo; poi l’ingresso sulle tribune insieme con tutti i capi delle delegazioni straniere arrivate per la celebrazione. Per Vladimir Putin, la parata militare che ha commemorato gli 80 anni dalla vittoria nella «grande guerra patriottica» è stata un successo. Non tanto per la suggestività della cerimonia - difficile da negare anche per i più accesi russofobi - quanto per il messaggio di centralità geopolitica che Mosca è riuscita a proiettare, a dispetto dell’isolamento ancora largamente decantato dai media occidentali. Considerando che Russia, Cina, Brasile e India (Narendra Modi non ha presenziato, ieri, solo per via degli scontri con il Pakistan) contano insieme quasi il 40% della popolazione mondiale.Sulla Piazza Rossa hanno marciato 55 unità cerimoniali, con oltre 11.500 militari, di cui più di 1.500 partecipanti alla guerra in Ucraina, accompagnati dall’orchestra militare. La parata ha visto la partecipazione di contingenti stranieri provenienti da Azerbaigian, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam, Egitto, Cina, Laos, Mongolia e Myanmar, a testimonianza di un sostegno internazionale che Mosca intende enfatizzare. Nel corso della cerimonia, hanno sfilato anche i leggendari carri armati T-34, protagonisti nella vittoria della seconda guerra mondiale. Seguiti, più avanti, dai droni da combattimento utilizzati in Ucraina, in una linea immaginaria che unisce passato e presente. Putin, nel suo discorso, ha reso omaggio alla «generazione che ha schiacciato il nazismo e conquistato la libertà e la pace per tutta l’umanità, a costo di milioni di vite». Il giorno della vittoria, ha detto lo zar, è la «festa più importante per il Paese», e lascia in eredità ai russi «il compito di difendere la Madrepatria, di rimanere uniti e di difendere con fermezza i nostri interessi nazionali, la nostra storia millenaria, la cultura e i valori tradizionali: tutto ciò che ci è caro, che per noi è sacro». «Ricordiamo le lezioni della seconda guerra mondiale e non accetteremo mai la distorsione di quegli eventi o i tentativi di giustificare gli assassini e diffamare i veri vincitori», ha aggiunto. «La Russia è stata e continuerà a essere un ostacolo indistruttibile al nazismo, alla russofobia e all’antisemitismo, e si opporrà alla violenza perpetrata dai sostenitori di queste idee aggressive e distruttive». Un messaggio che si lega all’attuale conflitto: «Tutta la Russia, la nostra società e tutto il popolo sostengono i partecipanti all’operazione militare speciale. Siamo orgogliosi del loro coraggio e del loro spirito, e della loro determinazione d’acciaio che ci ha sempre portato alla vittoria».La commemorazione è stata anche occasione per intensi colloqui diplomatici. Dopo il vertice con Xi di giovedì, ieri è stata la volta del Brasile, con Luiz Inacio Lula da Silva che, successivamente alla parata, è stato ricevuto al Cremlino. Putin ha sottolineato il costante sviluppo delle relazioni bilaterali, mentre il presidente brasiliano ha espresso interesse per collaborazioni in settori come la difesa e lo spazio. Nel frattempo, a Leopoli, i rappresentanti degli Stati Ue hanno formalizzato l’istituzione di un Tribunale speciale per giudicare il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Il Cremlino, per bocca del portavoce Dmitry Peskov, ha snobbato l’iniziativa, dichiarando che la Russia non reagirà. Congiuntamente, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato per oggi un vertice a Kiev con la coalizione dei volenterosi (Giorgia Meloni parteciperà da remoto).Nonostante il forte messaggio contro l’egemonia statunitense, i canali di dialogo con Washington rimangono aperti. Secondo il Cremlino, Putin e Donald Trump si sono scambiati congratulazioni per l’anniversario attraverso i rispettivi staff. Il vicepresidente Usa, JD Vance, ha dichiarato che «la Russia non può aspettarsi di ottenere territori che non ha ancora conquistato», ribadendo quanto già affermato mercoledì a Monaco. Tuttavia, Vance ha riconosciuto che le richieste di Mosca hanno senso perché la Russia crede di vincere la guerra. Il congelamento del fronte, per chi ha il tempo della propria parte, ha un costo che gli altri devono pagare. «Sapevamo che avrebbero chiesto più di quanto fosse ragionevole dare, è così che spesso funzionano i negoziati», ha aggiunto. Secondo Reuters, Stati Uniti e Unione Europea starebbero preparando una proposta di cessate il fuoco di 30 giorni, con la minaccia di nuove sanzioni a Mosca caso di rifiuto. Il viceministro degli Esteri russo, Sergei Ryabkov, ha annunciato nuovi colloqui con Washington per riprendere il pieno funzionamento delle rispettive ambasciate. Sul trattato New Start per la riduzione delle armi nucleari, in scadenza il 5 febbraio 2026, Ryabkov ha escluso un’estensione a meno di «modifiche fondamentali» nella politica Usa verso Mosca. Duro botta e risposta, infine, tra l’Alta rappresentante Ue, Kaja Kallas, e il premier slovacco, Robert Fico, unico leader dei 27 ieri in Russia (atteso martedì a Palazzo Chigi). «Tutti coloro che sostengono la libertà, l’indipendenza e tutti i valori europei dovrebbero essere in Ucraina oggi, nel Giorno dell’Europa, e non a Mosca», ha affermato la prima. «Sono a Mosca per rendere omaggio agli oltre 60.000 soldati dell’Armata Rossa che sono morti liberando la Slovacchia», ha replicato il secondo, rammentandole di non avere l’autorità «per criticare il primo ministro di un Paese sovrano». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/asse-mosca-pechino-putin-xi-2671925760.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-caccia-rifilati-da-macron-allindia-fatti-a-pezzi-dalla-tecnologia-cinese" data-post-id="2671925760" data-published-at="1746828562" data-use-pagination="False"> I caccia rifilati da Macron all’India fatti a pezzi dalla tecnologia cinese La quarta guerra tra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari, è scoppiata martedì scorso. Il giorno successivo è cominciato anche uno scontro industriale tra Pakistan, Cina, India e la Francia di Macron che ha subito uno smacco. Mentre crescono gli scambi d’artiglieria lungo il fronte è stato confermato l’abbattimento di quattro velivoli indiani prodotti dalla transalpina Dassault, un evento capitato pochi giorni dopo la conferma di un nuovo ordine di Delhi per altri caccia identici destinati alla Marina. A essere abbattuti sarebbero stati due Rafale (moderni e aggiornati) e altrettanti Mirage 2000-5, gli stessi che Macron ha rifilato all’Ucraina. Non è stato accertato come gli aerei siano stati abbattuti, se da sistemi contraerei Hq-9 o Hq-16 di fabbricazione cinese acquisiti dal Pakistan, oppure se da missili cinesi aria-aria a lungo raggio Pl-15 lanciati dai caccia Jf-10 o Jf-17 pakistani. E neppure si sa se gli abbattimenti siano stati favoriti da piloti a corto d’addestramento o da scarsa manutenzione. A vantaggio dell’India ci sono invece i numeri: ha oltre 2.200 velivoli inclusi 513 caccia, mentre il Pakistan conta su 1.399 aerei dei quali 328 caccia. Di sicuro lo scontro aereo tra jet di fabbricazione cinese e caccia francesi sarà attentamente esaminato dalle forze armate di mezzo mondo alla ricerca di informazioni che potrebbero offrire un vantaggio in futuro. Ma se ad abbattere Mirage e Rafale fossero stati i caccia fatti da Pechino, allora la questione sarebbe grave per la tecnologia francese, evidentemente inferiore, come per quella di molti Stati europei alleati della Nato. Un brutto colpo per la credibilità francese e per le prossime vendite di Parigi. Secondo fonti indiane, invece, si sarebbe trattato di due Mirage, ma anche di un MiG-29 e di un Sukhoi 30 fatti in Russia. Comunque sia andata, l’escalation del conflitto tra India e Pakistan offre al mondo un primo vero confronto tra l’euro-tecnologia e sino-tecnologia, i cui titoli sono già in forte rialzo: da quando è noto l’esito del duello aereo le azioni della Avic Chengdu, azienda che costruisce i J-10 -17, sono salite del 40%. Pechino negli ultimi cinque anni ha fornito l’81% delle armi importate dal Pakistan, almeno secondo i dati dello Stockholm International Peace research institute (Sipri), quindi questi scontri rappresentino l’occasione perfetta per validare l’export militare cinese e per preoccupare l’Ucraina, perché tra Pechino e Mosca esiste un ampio travaso di tecnologie. Il caccia J-10C è l’ultima versione del multiruolo entrato in servizio nella Repubblica popolare all’inizio degli anni 2000. Dotato di sistemi d’arma e avionica migliorati, è classificato di «generazione 4.5» come il Rafale ma pare essere un gradino sotto i jet di quinta generazione come l’F-35. La Cina ha però consegnato il primo lotto del J-10 al Pakistan nel 2022, quindi i piloti hanno avuto il tempo di addestrarsi. L’Aeronautica militare pakistana gestisce anche una flotta più numerosa, quella degli F-16 di fabbricazione americana, ma tali jet hanno una configurazione di 20 anni, obsoleta ma ottima per fare esercitazioni. Se i J-10 e -17 sono più avanzati, i loro radar «vedono» più lontano degli avversari, possono quindi mirare in anticipo e sparare quando i nemici li stanno ancora cercando. Non è noto quali informazioni l’India avesse sul missile Pl-15, ma fonti orientali riferiscono che la gittata sarebbe di 300 km, superiore a quanto finora ritenuto, mentre l’europeo Meteor del Rafale arriva a 210. I social media pakistani esaltano le prestazioni del missile cinese contro l’europeo Meteor prodotto da Mbda, ma anche se non vi è stata alcuna conferma dell’uso di queste armi il Pl-15 rappresenta un grosso problema, poiché da anni le aziende occidentali sono ansiose di conoscerne i dettagli e accertarne le prestazioni. Anche gli Usa osservano con estremo interesse, non fosse altro perché stanno sviluppando lo Aim-260, missile tattico avanzato di Lockheed Martin. E ogni aereo e missile valgono milioni di dollari.
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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