2019-03-15
Arsenale in cantina e giri sospetti. L’indagine mai iniziata sulle nuove Br
I carabinieri hanno scoperto una decina di pistole a casa di un uomo in rapporti con uno degli indagati per il caso di Massimo D'Antona. Per l'Arma potevano essere brigatisti, ma la magistratura non ha voluto approfondire.La storia che state per leggere vi sembrerà sicuramente paradossale, nell'Italia dove il garantismo è morto e in cui i telefoni finiscono sotto controllo al minimo sospetto, e spesso per le ipotesi di reato più stravaganti. Eppure (a parte i nomi, che sono di fantasia) è una storia vera. Da una parte ci sono investigatori che segnalano una pista interessante e preoccupante, che parte da un deposito di armi rubate e ombreggia un ritorno di terrorismo rosso. E dall'altra c'è una magistratura che invece stabilisce non debbano esserci né intercettazioni, né pedinamenti, né approfondimenti. Nulla. La nostra strana storia comincia con tre carabinieri, impegnati in un'operazione antidroga. È l'11 settembre 2018, e i tre sono in borghese su un'auto civetta che si muove lenta per le vie di Casal Bruciato, periferia est di Roma. Non è un quartiere facile, Casal Bruciato: hashish ed ecstasy girano a quintali, ogni tanto c'è chi spara e capita anche il morto. I carabinieri passano davanti a un bar, ritrovo abituale di spacciatori e tossici. E qui notano un uomo con la maglietta rossa che scende da una Ford Fiesta e si mette a parlare con un tizio calvo e barbuto. Qualcosa in loro insospettisce i militari. Così lasciano l'auto, si dividono e si appostano poco distante. Ma i due sconosciuti sono all'erta: si accorgono di essere osservati e di colpo, senza nemmeno salutarsi, si separano. Il barbuto svanisce nei vicoli, così i carabinieri si concentrano sull'altro. Quando sta per risalire in auto, lo circondano e lo perquisiscono. Poi controllano la Fiesta. Non trovano la droga, ma un lungo coltello a serramanico. L'uomo, che intanto è stato identificato in Giovanni A., un cinquantenne disoccupato e senza precedenti penali, è stranamente agitato. Continua a guardarsi attorno, come temesse di veder arrivare qualcuno. I militari scoprono che un mese prima è già stato fermato per un controllo ed era in compagnia di due spacciatori. Decidono quindi di perquisirgli la casa, che è lì vicino. Qui, da un balcone, saltano fuori altri cinque lunghi coltelli, un pugnale e due baionette. Quando i carabinieri scendono in cantina per chiudere la perquisizione, man mano che aprono porte Giovanni A. diventa sempre più nervoso. I carabinieri ne capiscono il perché quando, in un'ultima stanzetta, scovano un arsenale. Cinque pistole: due grosse Beretta, una calibro 9 «parabellum» e una calibro 9 a canna corta; una Browning calibro 7,65; una Glock calibro 9 per 21; e, ciliegina sulla torta, una Beretta calibro 22 con matricola abrasa. Tutte le pistole sono oliate e funzionanti, sono cariche, hanno il colpo in canna e perfino il cane alzato. Nella cantina vengono recuperati anche oltre 60 proiettili. Pistole, coltelli e munizioni vengono sequestrati, mentre Giovanni A. viene arrestato per detenzione illecita di armi, un reato per il quale il codice prevede fino a 12 mesi di reclusione. Nel loro rapporto, però, i carabinieri segnalano ben altro. Ed è proprio qui che la nostra storia diventa interessante (e paradossale). Perché, entrando nel condominio, gli investigatori hanno notato un terzo uomo: sostava sul ciglio della strada in sella a una Honda con il motore acceso. Sembrava stesse aspettando qualcuno. Alla vista del gruppo, proprio mentre Giovanni A. valicava il portone tra i militari in borghese, il motociclista ha sgommato e s'è allontanato di gran carriera. Un comportamento così anomalo che subito sono state condotte verifiche sulla sua targa, e si è scoperto che si tratta di Davide U., un cinquantenne pregiudicato per reati minori. Dalle sue note giudiziarie emerge però un'altra sorpresa, che ai carabinieri fa drizzare le antenne (e i capelli). Una ventina d'anni fa, infatti, Davide U. è stato indagato nell'inchiesta romana sulle nuove Brigate rosse e per l'omicidio del professor Massimo D'Antona, il giuslavorista ucciso il 20 maggio 1999 a colpi di pistola. A suo tempo, Davide U. è stato scagionato. Ma la nuova ipotesi di un collegamento con Giovanni A., e soprattutto con l'arsenale nascosto in cantina, spingono i carabinieri a chiedere alla magistratura il via libera urgente a un'indagine. Tanto più che tre delle pistole sequestrate risultano rubate tra il 2007 e il 2010, e nella rubrica del cellulare di Giovanni A. sono annotati due soli numeri, intestati formalmente a un ucraino e a un egiziano. Insomma, le stranezze sono tante. Troppe.Ipotizzando che la cantina di Casal Bruciato possa essere qualcosa di più di un deposito d'armi che «scottano» per la loro provenienza furtiva, sei mesi fa i carabinieri vorrebbero mettere sotto controllo Davide U., per capire se davvero abbia qualcosa a che fare con il fermato e con le pistole. Magari per scoprire con sollievo di tutti che la pista è del tutto infondata, proprio com'era stato vent'anni fa per quella relativa all'omicidio D'Antona. L'ipotesi opposta, è evidente, è invece molto preoccupante: perché se i carabinieri hanno visto giusto, a Roma potrebbe esserci una cellula «dormiente» delle nuove Br. È così? Oppure sono solo coincidenze? Purtroppo non lo sapremo mai. Perché a sorpresa, mentre in Italia si intercettano tutti, perfino i calciatori sospettati di avere venduto una partita, ai carabinieri la magistratura romana ha risposto picche, non rilevando alcuna necessità di indagini. Così il 12 marzo 2019 sono trascorsi i sei mesi della custodia cautelare di Giovanni A., e il fermato ora può tornare in libertà. Mentre Davide U. chissà dov'è.