2020-01-21
Arcelor Mittal blocca l’acciaieria 1. I pm: «Ignora l’interesse pubblico»
La Procura di Milano replica al tentativo dei francoindiani di estrometterla dal processo civile sull'ex Ilva. Il gruppo intanto annuncia il fermo dell'impianto e il taglio di 250 posti di lavoro. I sindacati: «Inaccettabile».ArcelorMittal ci riprova. Dopo aver tentato di spegnere l'altoforno 2, rimasto in funzione solo grazie all'intervento del tribunale del Riesame di Taranto, la multinazionale dell'acciaio ieri ha voluto lanciare un ulteriore segnale di insofferenza al governo Conte, che annaspa nel lancio del «Cantiere Taranto», con due date del tavolo istituzionale saltate (18 dicembre e 17 gennaio) nelle ultime settimane: ai sindacati, l'azienda francoindiana ha infatti annunciato il fermo immediato dell'acciaieria 1 e l'ingresso in cassa integrazione di ben 250 unità sulle 477 impiegate. Lo stop dovrebbe durare fino al 31 marzo 2020, a causa di uno «uno scarso approvvigionamento di materie prime» e dell'attuale «capacità produttiva legata alle commesse», hanno spiegato dall'azienda. Da luglio, sono più di 1.200 i dipendenti - sugli 8.200 diretti - in cassa integrazione ordinaria, rinnovata a fine anno per altre 13 settimane anche in mancanza di un accordo sindacale.Una decisione, quella del taglio dei posti di lavoro, che per i sindacati è «inaccettabile».«Paradossalmente, con tre altoforni in marcia si ferma l'acciaieria 1, avendone già predeterminato, nei mesi scorsi, le condizioni fermando una linea di agglomerato. Non può essere sufficiente la temporanea marcia del treno lamiere, prevista dal prossimo 10 febbraio per quattro settimane, a far considerare positivamente il bilancio produttivo», ha commentato Rocco Palombella, segretario generale Uilm. «In questo scenario così complicato e drammatico, l'esecutivo e Arcelor Mittal continuano a perdere tempo prezioso. La scadenza di fine gennaio è ormai imminente e si continuano a prefigurare, attraverso organi di stampa, assetti societari che aumentano le nostre preoccupazione e di tutti i lavoratori», ha aggiunto.La data a cui fa riferimento il sindacalista è quella del 31 gennaio prossimo, quando dovrebbe (il condizionale è d'obbligo) essere firmata la versione definitiva dell'«head of agreement», l'accordo siglato lo scorso 20 dicembre tra l'ad di ArcelorMittal, Lucia Morselli e i tre commissari, Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo, per salvare i 20.000 posti di lavoro e l'attività produttiva a Taranto grazie all'ingresso dello Stato, via Invitalia, nel capitale della nuova società.Ma se sul piano industriale i colpi di scena non mancano, su quello giudiziario la battaglia è ancor più combattuta. La Procura di Milano e Arcelor Mittal continuano infatti a scornarsi nella causa civile intentata dai commissari dell'ex Ilva dopo la decisione del colosso francoindiano di abbandonare Taranto. All'attacco della multinazionale che, il 16 dicembre scorso, chiedeva l'estromissione dell'ufficio giudiziario dal procedimento civile e contestava il ricorso dei commissari contro la rescissione del contratto di fitto dell'impianto, definendolo «intriso di considerazioni politiche e demagogiche» e finalizzato a «cavalcare l'onda della pressione mediatica e istituzionale», hanno risposto ieri i pm lombardi Stefano Civardi e Mauro Clerici, e l'aggiunto Maurizio Romanelli, con una memoria apparentemente «leggera» nel peso (appena tre pagine) ma non nel contenuto. Per la Procura di Milano, Arcelor Mittal vorrebbe giocare da sola la partita giudiziaria perché non ha ben presente «il concetto di interesse pubblico» e quindi, nel chiedere di tenere fuori i pm dal contenzioso civile con l'ex Ilva, «non riesce in concreto a rappresentarsi l'interesse perseguito da questo ufficio» né a comprendere la richiesta fatta «in sede cautelare» per evitare l'abbandono del complesso siderurgico pugliese. Che non è solo, come sostengono i legali di Arcelor Mittal, un gigantesco insediamento industriale, sottoposto alle rigide regole del mercato, ma anche e soprattutto un bene nazionale il cui «recesso dai contratti di affitto» rischia di arrecare «un irreparabile nocumento a impianti industriali strategici a presidio della cui integrità sono facilmente invocabili anche norme sanzionatorie penali». Nel procedimento, infatti, sostengono gli inquirenti, ci sono «interessi pubblici coinvolti sotto il profilo della tutela dell'ambiente, dell'occupazione, degli impianti strategici per l'economia nazionale». Il che significa che, a detta dei pm, «il ricorso della Procura della Repubblica è pienamente ammissibile e coerente con i doveri dell'ufficio». Al di là dei tecnicismi, le controdeduzioni dei pubblici ministeri di Milano bacchettano Arcelor Mittal soprattutto in relazione al passaggio in cui la multinazionale, bollandola come «evenienza, a nostra memoria, mai verificatasi in Italia e, per quanto si sappia, in alcuno Stato di diritto», sosteneva l'impossibilità «che la Procura possa versare in un giudizio civile elementi istruttori acquisiti al di fuori di ogni contraddittorio (e di ogni competenza) nonché del controllo del giudice civile». Posizione liquidata dai pm come «il portato di un artifizio retorico eccessivamente spinto» o che «denota scarsa memoria». Entrando nel dettaglio, i magistrati meneghini hanno spiegato che la giurisprudenza riconosce «l'utilizzabilità degli elementi di prova» raccolti nel corso del procedimento penale come «prova atipica, con pieno ingresso nel novero degli elementi valutabili dal giudicante» nel contenzioso civile. Quindi, secondo i pm, ci sono tutti gli estremi per proseguire la causa civile che, sempre ieri, doveva vedere il deposito di un'ulteriore memoria di replica ad Arcelor Mittal da parte dei commissari ex Ilva. Uno scontro colpo su colpo che tiene con il fiato sospeso non solo un'intera città, ma uno dei comparti industriali più importanti del nostro Paese e d'Europa.
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