
L'Antitrust ha comminato una multa da 3,7 milioni di euro a Caronte & Tourist
Caronte & Tourist – società in posizione di assoluta dominanza per quanto riguarda il traghettamento dei passeggeri con auto da un lato all’altro dello Stretto di Messina – è stata colpita da una multa di oltre 3,7 milioni di euro irrogata dall’Antitrust. Secondo l’Autorità, C&T ha sfruttato il suo potere di mercato per applicare prezzi ingiustificatamente gravosi per i consumatori grazie alla sua posizione di dominanza sul mercato.
Per accertare eccessiva onerosità dei biglietti è stata effettuata dall’Antitrust una verifica composta da due fasi di analisi. In primo luogo è stato valutato che le tariffe applicate da C&T ai passeggeri con autoveicolo risultano sproporzionate rispetto ai costi sostenuti (eccessività). E in seconda battuta l’Antitrust ha ritenuto che la sproporzione tra prezzi e costi fosse ingiustificata rispetto al valore del servizio effettivamente reso (iniquità).
Per la valutazione di eccessività – spiega l'Antitrust – sono stati utilizzati vari test e tutti hanno fornito lo stesso risultato: la sproporzione tra i ricavi e i costi di C&T nell'offerta di servizi di traghettamento di passeggeri con auto al seguito esiste ed è significativa. Nel confronto con i benchmark internazionali, inoltre, i prezzi sono risultati anche irragionevolmente sproporzionati. Secondo l’Autorità, C&T applica tariffe molto più elevate rispetto agli operatori attivi su rotte comparabili offrendo anche un servizio decisamente meno evoluto. La flotta del traghettatore dello Stretto, infatti, è caratterizzata da un’età media molto elevata (27 anni) e il grado di soddisfazione degli utenti che hanno utilizzato il servizio è molto basso. Per questo il differenziale di prezzo rispetto al benchmark non è stato ritenuto giustificato.
Ad aggravare l’illecito concorrenziale, sottolinea l’Antitrust, è la tratta coperta da C&T. Il servizio fornito dalla società con sede principale a Messina è considerato indispensabile per i quasi 10 milioni di cittadini che ogni anno, con una maggiore concentrazione nel periodo estivo, devono attraversare lo Stretto con la propria automobile. C&T però non ci sta e preannuncia battaglia nei tribunali.
«Prendiamo atto con rammarico del provvedimento con il quale l’Antitrust ha contestato a Caronte & Tourist un abuso di posizione dominante – ha spiegato la società messinese in una nota –. Eravamo fiduciosi che l'Autorità avrebbe acclarato la correttezza della politica di pricing da noi praticata e riconosciuto che le scelte aziendali in materia non hanno mai configurato alcun tipo di abuso». C&T sottolinea anche la «grande attenzione» posta a stabilire le tariffe anche confrontandosi con i benchmark internazionali. Per questo «Caronte & Tourist che non potrà che tutelare le proprie ragioni in sede giurisdizionale».
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L'analisi sul governo
È corso un brivido prima sulla schiena di molti ministri, ieri pomeriggio quando alle 17,27 la portavoce del presidente del Consiglio Mario Draghi ha inviato nella chat dei giornalisti che seguono Palazzo Chigi tre righe improvvise: «Consiglio dei ministri convocato alle ore 18.00. All’odg Comunicazioni del Presidente». Perfino le maiuscole messe un po’ a capocchia hanno contribuito all’agitazione: nessuno dei convocati ne sapeva nulla, e c’è stato anche chi ha temuto un fulmine a ciel quasi sereno: le dimissioni del presidente del Consiglio.
O ancora peggio in questi tempi di guerra. Il mistero si è chiarito nel giro di una mezzoretta: Draghi per la prima volta dopo molto tempo ha voluto battere un colpo da Draghi. Davanti ai ministri è apparso un premier irritato e anche un po’ stufo delle liturgie e dei freni messigli da una strana e litigiosa maggioranza. Così Draghi ha voluto fare vedere a tutti che quando vuole sa battere i pugni. Non sulla guerra, non sul gas e sul petrolio, ma a sorpresa su un argomento che non sembrava in questo momento proprio in cima all’agenda politica: il ddl concorrenza che starebbe andando un po’ troppo per le lunghe per via della norma sui balneari che non passa in Senato con il centrodestra che frena la liberalizzazione delle spiagge.
Può fare simpatia ed essere anche popolare il Draghi che batte i pugni, e può trovare non pochi sostenitori anche sul punto delle concessioni sulle spiagge. Certo, avere fatto correre un brivido non solo ai ministri (che nulla sapevano prima che iniziasse il consiglio), ma pure ai mercati per una vicenda che onestamente sembra minore rende un po’ più difficile capire questa enfasi. Può essere che i partiti stiano stufando chi li deve tenere insieme. Ma che il suo compito non potesse essere una passeggiata doveva essere noto a Draghi le due volte (un anno fa e pochi mesi fa) in cui ha accettato l’incarico datogli da Sergio Mattarella. Ed è anche giusto in un paese normale che sia faticoso tenere insieme una maggioranza politica innaturale, che rappresenta due Italie diverse e spesso contrapposte negli interessi e nelle idee.
L’anomalia in un sistema democratico è un governo di questo tipo, non che fatichino a stare insieme Lega e Pd, Forza Italia e Cinque stelle: questo è naturale che accada. Se Draghi quella fatica voleva risparmiarsi doveva porsi il problema nel giorno stesso in cui ha fatto la lista dei ministri, scegliendo uomini e donne che voleva lui senza passare attraverso i vertici dei partiti. Ora diventa una fatica in più per il presidente del Consiglio: se i ministri di Forza Italia - per fare un esempio - dicono ok, questo non comporta affatto che i gruppi parlamentari seguano l’accordo, anzi. Quindi per portare a casa i provvedimenti tocca fare due giri: quello inutile in consiglio dei ministri, e poi i lunghi incontri con i leader di partito a cui Draghi non si sottrae, vivendoli però con lo stesso piacere di uno a cui si chiede di passare a gambe nude in mezzo a un sottobosco di ortiche. Ieri sera c’è stata la dimostrazione plastica di questa situazione: Draghi ha fatto minacciare la fiducia sul ddl concorrenza, che in effetti risale al dicembre scorso ed è ancora in prima lettura in commissione, sostenendo che l’approvazione è necessaria per ottenere i miliardi del PNRR e che questa era la missione primaria del suo esecutivo.
Gli hanno risposto con una cortese pernacchia i capigruppo di Forza Italia e Lega in Senato che in un comunicato hanno rivendicato la loro difesa dei balneari, aggiungendo ipocriti e pungenti allo stesso tempo: «Siamo ottimisti che si possa trovare un accordo positivo su un tema che, peraltro, non rientra negli accordi economici del PNRR». Il centrodestra vuole lo stralcio della norma, il governo non lo concederà e metterà la fiducia sul testo come è oggi convinto delle sue ragioni, che sono identiche a quelle della procedura di infrazione europea verso l’Italia e quelle con cui il Consiglio di Stato italiano ha bocciato ipotesi alternative. Chi vincerà il braccio di ferro? Se devo scommettere un euro in questo momento lo punto su Draghi, perché dallo sfogo di ieri non tornerà indietro e in questo momento una crisi politica danneggerebbe di più chi la va a provocare. Le spiagge interesseranno di sicuro i 100 mila che vi lavorano, ma agli altri milioni di italiani interessa solo potere trovare una sdraio e un ombrellone dove tirare il fiato qualche giorno con le proprie famiglie la prossima estate. Vincerà Draghi, e poi si metterà a posto in qualche modo per salvare la faccia a tutti. Ma questa giornata resterà come una ferita importante a pochi mesi dalla fine della legislatura. Passata la buriana sulla concorrenza resterà un governo davvero balneare a trascinarsi fino alla imminente fine...
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Lo scandalo dei fondi del palazzo vaticano a Londra
«Definito Fab figlio de p*** madre». «Minkia. In spagnolo? Sapevano che l’ho revocato?». «No. Detto io. N. 1 e Sostituto entusiasti». E ancora: «Tu per loro sei l’amministratore di Classe A». Il 22 dicembre del 2018, poco prima delle 19, l’avvocato Manuele Intendente riferisce a Gianluigi Torzi dell’incontro da poco terminato con Papa Francesco e il Sostituto della Segreteria di Stato Edgardo Pena Parra.
E’ la dimostrazione che il Vaticano fin dal 22 dicembre del 2018 sapeva, ai livelli più alti, che i suoi funzionari erano stati esautorati dalla gestione del palazzo di Londra e che l’immobile era in mano al solo Torzi. Gli stessi vertici che hanno di fatto avallato questa decisione. Un passaggio importante, che permette di inquadrare lo scandalo dei fondi vaticani, a tre anni e mezzo di distanza, sotto una luce nuova.
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Per Mps serviva un aumento di capitale da 8,3 miliardi di euro
Dopo il servizio di ieri qui pubblichiamo la seconda e ultima puntata dell’inchiesta su Mps basata sul documento riservato inviato da Unicredit al Tesoro e che nell’ottobre scorso sancì il fallimento della trattativa per la privatizzazione della banca senese.
Anche i bancari sono numeri. Se fosse andato importo il salvataggio del Monte dei Paschi di Siena da parte di Unicredit, almeno 7.800 persone avrebbero perso il posto e altre 3.370 sarebbero state cedute a terzi, in modo da non pesare sui conti del cavaliere bianco e mascherare un po’ l’impatto immediato dell’operazione sotto il profilo occupazionale. In sostanza, dei circa 21.000 dipendenti di Mps uno su due sarebbe andato a casa o sarebbe finito impacchettato come un npl.
Ma il problema è che neppure sui tagli di personale, e sui risparmi che si sarebbero potuti realizzare sciogliendo di fatto Rocca Salimbeni nell’acido di piazza Gae Aulenti, c’era accordo tra compratore e venditore di Stato. Come risulta chiaramente dal documento «strettamente riservato e confidenziale» pubblicato ieri da Verità&Affari e che a ottobre scorso chiude la due diligence di Unicredit, portando al fallimento delle trattative.
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