2018-11-26
Per la pensione attese fino a 5 anni però Boeri insiste a fare politica
I tempi medi di liquidazione degli assegni si allungano e quelli reali arrivano a 8 mesi per i dipendenti pubblici. Da Sondrio alla Sicilia, le proteste si moltiplicano. Un esperto alla «Verità»: «I tempi medi sono raddoppiati. Beffato pure un ex ministro di Paolo Gentiloni. Ma c'è un meccanismo che consente di occultare le lungaggini». Ecco come...È profumatamente pagato (466.000 euro dal 2014) per far funzionare il sistema previdenziale italiano. E invece il presidente Inps preferisce fare il militante, dicendo la sua su tutto, con la scusa dell'autonomia dei tecnici.Lo speciale contiene due articoli«Respingere una domanda di pensionamento entro i termini indicati dalla Carta dei servizi e riprenderla in carico subito dopo». In questo modo si possono eludere i sistemi informatici, che non registrano i ritardi. Una fonte molto ben informata sul funzionamento dell'Inps ha raccontato alla Verità che nell'istituto previdenziale si sarebbe diffuso questo astuto trucchetto, che limita l'incidenza statistica del fenomeno dei ritardi nell'evasione delle domande e nell'erogazione degli assegni che spettano agli utenti. Secondo i dati che l'Inps ha trasmesso alla Verità, i tempi medi di lavorazione delle pratiche sono aumentati solo di poco tra il 2016 e il 2017, da 26 a 32 giorni. L'ente imputa i lievi ritardi all'«impatto» di misure come l'Ape social e volontaria e all'aumento «dei volumi di domande di pensione di gestione privata». Per quanto riguarda la liquidazione delle pensioni dei dipendenti pubblici, l'Inps segnala netti miglioramenti tra 2015 e 2018: da 28 a 20 giorni e dal 74% all'84% di pensioni pagate entro i 34 giorni dalla decorrenza della domanda. L'istituto, comunque, non esclude che «possano esservi casi singoli di particolare complessità», specie nei cumuli «con altre casse non Inps»», che «a volta portano a tempi insostenibilmente lunghi».Lunghi, forse, come quelli di cui ci ha parlato il «tecnico» che abbiamo interpellato (e che ci ha chiesto di rimanere anonimo). A suo avviso, i ritardi reali sarebbero ben più consistenti: «Fino a qualche anno fa», ci ha spiegato, «una volta accolta la domanda, le pensioni venivano pagate dopo massimo 30 giorni per il settore privato e dopo massimo 4 mesi per il pubblico. Adesso siamo arrivati a 3 mesi nel privato e 8 mesi nel pubblico». E tra le vittime delle lungaggini dell'ente presieduto da Tito Boeri ci sarebbe, ironia della sorte, pure «un ex ministro del governo Gentiloni, professore universitario», in attesa da ben 8 mesi che la sua domanda di pensionamento sia processata. Il tutto sarebbe mascherato dal gioco delle tre carte con i sistemi informatici. A tal proposito, non possiamo affermare con certezza che sia la «casa madre» a chiedere di barare. E siamo sicuri che la stragrande maggioranza dei dipendenti agisca con correttezza. La nostra fonte ci ha descritto l'espediente come una «difesa per gli errori» che «il centro» tollera e «copre». Il presidente del Consiglio di vigilanza dell'Inps, Guglielmo Loy, ci ha confermato che il problema dei ritardi esiste. Loy ha ipotizzato che le «pressioni» subite dai dipendenti a garantire certi indici di produttività potrebbero spingerli a ricorrere allo stratagemma informatico. Non sarebbe un qualcosa di «patologico», ci ha detto Loy, ma è plausibile che ai piani alti ne siano informati. Giuseppe Conte, dirigente del settore relazioni esterne dell'Inps, raggiunto dalla Verità ha ammesso che, specialmente nel caso degli assegni pensionistici in regime di cumulo, l'ente previdenziale sta incontrando «grossi problemi». «Ma mi sembra molto strano», ha proseguito, «che qualcuno applichi il trucchetto» di respingere e poi riprendere in carico le domande, «perché i fascicoli conservano il numero di protocollo dopo la bocciatura». Basta dare un un'occhiata in giro per l'Italia, però, per rendersi conto che il problema delle pensioni pagate in ritardo è diffuso. A Palermo, ad esempio, i sindacati di categoria sono da mesi in agitazione. «Vuole sapere il caso più eclatante? Un uomo che da 5 anni non riceve la pensione definitiva». Ce l'ha riferito Mimmo Di Matteo, segretario generale della Cisl di Palermo e Trapani. «C'è un pensionato che da 8 anni non percepisce gli assegni familiari che gli spettano. Altri, nelle sue condizioni, sono in attesa da 5 anni. E poi c'è un signore che ha avuto la domanda per l'Ape social accolta con decorrenza da settembre 2017, ma che ancora non vede un quattrino». Tutto ciò ha conseguenze disastrose sui bilanci familiari. Anche perché i pensionati sempre più spesso devono farsi carico di figli disoccupati. Che significa restare per mesi, o per anni addirittura, senza reddito? O si intacca il gruzzoletto accantonato con i sacrifici di una vita, o, se manca pure quello, diventa un problema mettere insieme pranzo e cena. In una parola: povertà. Concetta Balistreri, della Cgil pensionati palermitana, ci ha confermato i disagi: «Dalle nostre parti, per la quota di reversibilità spettante a figli disabili o studenti passano anche due anni». Sono soldi che per chi ha perso un genitore possono essere fondamentali e condizionare scelte decisive: ad esempio, se e dove andare all'università. «Anche poche centinaia di euro», hanno ribadito tutti i sindacalisti che abbiamo ascoltato, «oggi come oggi possono fare la differenza per una famiglia». La causa dei ritardi? «La carenza di personale Inps provocata dal blocco del turn over», ha spiegato ancora Di Matteo, «ma anche la scelta di sparpagliare sul territorio una serie di servizi. Ci sono pratiche per l'Ape sociale che da Palermo vengono trasmesse a Trapani, altre per gli assegni familiari che finiscono ad Agrigento». Lo scorso gennaio, un allarme era partito pure dal patronato della Cisl di Sondrio: «Ci sono pratiche che risalgono a luglio», ritardi di 6 mesi nella liquidazione degli assegni pensionistici, attese di 120 giorni per i frontalieri e altri intoppi per pagare la disoccupazione. La disoccupazione: l'unico sussidio che dà un po' di respiro a chi ha perso il lavoro. Una situazione che non si è ancora sbloccata. Il direttore del patronato Cisl, Luca Moraschinelli, ci ha detto che da quando, ad agosto, è stato aperto a Bergamo un polo regionale per la gestione delle pratiche dei frontalieri, le cose hanno iniziato a migliorare. «Solo che lì evadono le pratiche da settembre in poi. Quelle vecchie continuano a giacere a Sondrio». Per Moraschinelli il problema dei ritardi, un tempo circoscritto, riguarda ormai tutta la Lombardia: «In una città come Milano i ritardi erano considerati normali. In una piccola provincia come Sondrio no. Ecco perché la gente è esasperata». Anche qui evocano le carenze di personale: «L'Inps di Sondrio ha lo stesso organico di 15 anni fa ma deve gestire anche le pratiche ex Inpdap, più tutti gli altri bonus e sussidi». Il direttore del patronato Cisl, però, ci ha raccontato anche di essere stato testimone di casi in cui le domande sono state respinte in prossimità della scadenza «regolare», per poi essere di nuovo prese in carico: «Erano pratiche difettose per colpa delle aziende che le avevano compilate. Però non posso escludere che si ricorra a questo stratagemma per migliorare le statistiche Inps. In ogni caso, quando ci sono problemi tra l'azienda e l'istituto previdenziale, mi piacerebbe che queste cose vengano risolte tempestivamente, senza che al lavoratore, che vede la sua domanda respinta, debba prendere un coccolone».Non sembrano passarsela meglio in Sardegna, dove lo scorso giugno si segnalavano 23.000 pratiche giacenti e sportelli intasati. A Oristano, per processare le domande di pensione in convenzione internazionale, avanzate cioè da chi ha lavorato anche all'estero (come i frontalieri di Sondrio), l'Inps fa aspettare gli utenti fino a tre anni. Una situazione insostenibile che aveva spinto Antonio Cubeddu, direttore dell'Inca Cgil, a indirizzare una lettera a Boeri a nome dei patronati locali, minacciando la messa in mora dell'istituto di previdenza.La giustificazione ufficiale per ogni disservizio è appunto quella della scarsità di personale. C'è stata la fusione con l'Inpdap, le pratiche da gestire si sono moltiplicate e, dopo il blocco del turn over, l'età media dei dipendenti è arrivata a superare i 53 anni. Tutto vero, ma la nostra fonte ci ha informato che c'è di più. Tipo una circolare interna, che dispone la rotazione ogni tre anni di dirigenti e funzionari: così si disperderebbe, a suo parere, l'esperienza di chi ha già lavorato sui faldoni, dirottandovi personale che ha svolto altre mansioni e quindi non è adeguatamente preparato. Tanto c'è sempre il famoso trucchetto per celare i ritardi al sistema informatico. Comunque stiano le cose, è significativo che dal sindacalista siciliano, a un tecnico vicino ad ambienti ministeriali, alla fonte che ci ha svelato gli altarini dietro l'affare dei ritardi Inps, tutti, ovviamente senza conoscersi, siano stati concordi nell'attribuire la responsabilità degli intoppi alla condotta di Boeri. Il segretario della Cisl palermitana ha puntato il dito sulle operazioni di facciata dell'Inps. Un dirigente di un importante dicastero ci ha ragguagliato sulle polemiche che investirebbero l'operato del presidente dell'istituto, più attento alle «capacità analitiche» dell'ente che alla sua struttura amministrativa. E il nostro insider della previdenza sociale ci ha parlato esplicitamente di un Boeri che pensa «a fare comunicati stampa», a entrare a gamba tesa in politica, piuttosto che a organizzare l'impianto amministrativo dell'istituto. Ma un pensionato che rimane senza reddito per mesi, di un militante a capo dell'Inps non sa che farsene.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/anche-5-anni-per-avere-la-pensione-ma-allinps-con-un-trucchetto-nascondono-i-ritardi-2621474635.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dall-immigrazione-fino-a-quota-100-tutte-le-posizioni-del-presidente-inps" data-post-id="2621474635" data-published-at="1758065853" data-use-pagination="False"> Dall'immigrazione fino a quota 100, tutte le posizioni del presidente Inps A settembre del 2015, il presidente dell'Inps, Tito Boeri, si lanciò in un'affermazione alquanto singolare. «I politici vogliono numeri che possano andare bene a loro», affermò dal palco del festival della statistica di Treviso, aggiungendo che «i dati vengono usati come corpo contundente, come arma, senza essere capiti, è nostro compito dar loro un significato». Pochi giorni fa, rispondendo sul Corriere della Sera a Federico Fubini, Boeri ha dichiarato che trova «pericolosa per la nostra democrazia la delegittimazione sistematica di organi indipendenti, autorità di controllo, regolatori o pareri tecnici». Concetti apparentemente differenti, espressi a diversi anni di distanza l'uno dall'altro, ma in realtà complementari tra loro e rivelatori del «Boeri pensiero». Secondo il presidente dell'Inps, infatti, il ruolo dei cosiddetti «competenti» è sacro e inattaccabile, mentre la politica non può permettersi di mettere in dubbio ciò che i saggi affermano senza venire accusata di esautorarne l'autonomia. Non si può dire che, da quando nel dicembre del 2014 è stato posto a capo del principale ente previdenziale italiano, Tito Boeri non abbia tenuto fede a questa linea. E dire che, sulla carta, le funzioni del presidente dell'Inps sono piuttosto circoscritte, dal momento che oltre ad attuare «le linee di indirizzo strategico dell'Istituto», Boeri dovrebbe limitarsi a predisporre il bilancio e i piani di spesa e investimento. Compiti per i quali il sessantenne economista milanese, tra l'altro, è pagato profumatamente. Dal 2014 a oggi, infatti, tra compensi previsti dalla carica (103.000 euro all'anno) e rimborsi per viaggi e missioni, Boeri ha messo in tasca 466.000 euro, oltre ai 135.000 euro (45.000 euro all'anno) incassati come consulente del festival dell'economia di Trento.Nonostante lo stipendio sia di tutto rispetto, il professore cade sistematicamente nella tentazione di sconfinare con le sue dichiarazioni in campi che poco gli competono. D'altronde, i «competenti» hanno diritto a sindacare su qualsiasi argomento, senza che nessuno possa a sua volta osare criticarli. Ecco dunque che, da qualche anno a questa parte, sui giornali o in tv è tutt'altro che raro imbattersi nelle dichiarazioni del presidente dell'Inps sui temi più diversi.Partiamo dagli eventi più recenti. Nella già citata intervista al Corriere, oltre alle critiche alla quota 100, Boeri si è espresso duramente anche sulla manovra. «Più che a Bruxelles», si legge nel dialogo con Fubini, la manovra «è stata accolta duramente da tutti gli altri governi dell'area euro. Il fatto che si sia contravvenuto a impegni presi da questo stesso qualche mese fa e che le ipotesi di crescita siano molto ottimiste non ha giovato. Ma si può ancora recuperare». Se lo dice lui. E ancora: «La strada maestra è prevedere più misure per la crescita. Una manovra che destina il grosso delle risorse a chi non lavora non può piacere in Europa». A ottobre, invece, Boeri si è scagliato contro la revisione della legge Fornero, che a suo dire comporterebbe un aumento del debito pensionistico di 100 miliardi di euro. Un'incursione che ha fatto infuriare Matteo Salvini, il quale ne ha invocato le dimissioni, auspicando sarcasticamente una sua candidatura alle prossime elezioni. «Si dice che si potrebbero finanziare operazioni come quelle sulle pensioni contrastando gli sprechi», affermava invece a settembre, «ma gli sprechi sono difficili da ridurre perché la riduzione di ogni spreco viene a danneggiare qualcuno che gode di un trattamento di favore. C'è solo uno spreco che potremmo oggi ridurre senza danneggiare nessuno, quello degli oneri sul nostro debito pubblico, lo spread». Un governo che si pone come obiettivo aumentare di mezzo milione di unità i pensionati, concludeva Boeri, è un «esecutivo non previdente».Ma è durante la presentazione del XVII rapporto annuale dell'Inps, svoltasi a luglio, che il presidente dell'Inps ha dato il meglio di sé. L'Italia «ha bisogno di aumentare l'immigrazione regolare», ha affermato, dal momento che sono tanti «i lavori che gli italiani non vogliono più svolgere». Bisogna smetterla, ha poi aggiunto Boeri, di agitare «continuamente lo spettro delle invasioni via mare quando gli sbarchi sono in via di diminuzione». Affermazioni, anche queste, che hanno mandato su tutte le furie Salvini, il quale ha commentato: «Il presidente dell'Inps continua a fare politica, ignorando la voglia di lavorare (e fare figli) di tantissimi italiani. Dove vive, su Marte?». Un rapporto complesso quello con il vicepremier leghista, con il quale Boeri si era avvicendato a fine giugno, appena poche settimane dopo la nascita del governo, sul palco del festival del lavoro svoltosi a Milano. Uno scontro a distanza ravvicinata, con il presidente dell'Inps da un lato a denunciare il fatto che il flusso di migranti «comincia a non essere più sufficiente» perché «avere immigrati regolari ci permette di avere flussi contributi significativa», e Salvini dall'altro a twittare: «Ma basta!». Ma se il rapporto con il governo gialloblù è ben lontano dall'idillio, non si può certo dire che con Matteo Renzi fossero tutte rose e fiori, nonostante fosse stato quest'ultimo a volerlo a tutti i costi all'Inps. Nel novembre del 2015, dunque a meno di un anno dalla nomina, fece discutere la decisione dell'economista bocconiano di divulgare un lungo documento, contenente una dettagliata (anche dal punto di vista legislativo) proposta di riforma del sistema previdenziale e assistenziale. Il «piano Boeri», interpretato come un tentativo di scavalcare l'esecutivo, fu seccamente respinto al mittente. L'ennesima prova, casomai ce ne fosse bisogno, che alle pensioni Tito Boeri preferisce di gran lunga la politica. Antonio Grizzuti