2023-12-17
Amara a processo per il caso Eni
A giudizio tutti gli imputati, tra cui l’ex manager Vincenzo Armanna, accusati di aver tramato per inquinare i procedimenti a carico del colosso. La prima udienza il 22 febbraio.L’ex legale esterno dell’Eni Piero Amara e l’ex dirigente che poi si è trasformato nel grande accusatore del Cane a sei zampe nel processo per la maxitangente nigeriana, Vincenzo Armanna, sono stati rinviati a giudizio insieme ad altre dieci persone, fra cui avvocati ed ex dirigenti del colosso energetico nell’inchiesta per il «falso complotto». Ieri il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, Cristian Mariani, ha accolto le richieste della Procura e ha fissato la prima udienza del processo per il 22 febbraio 2024 davanti alla Terza sezione penale del Tribunale di Milano. Ma pende ancora un ricorso in Cassazione sulla competenza territoriale. I giudici della Suprema corte dovranno decidere se si celebrerà a Milano o in alternativa a Brescia, Roma o Potenza. Le accuse sono a vario titolo di associazione a delinquere, calunnia, diffamazione, intralcio alla giustizia, induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità giudiziaria, false dichiarazioni al pubblico ministero e favoreggiamento. Secondo i pubblici ministeri Stefano Civardi e Monia Di Marco, coordinati dal procuratore aggiunto Laura Pedio, a capo dell’organizzazione ci sarebbero stati proprio Amara e Armanna, insieme con l’ex direttore degli affari legali, Massimo Mantovani, e l’ex manager Antonio Vella. Gli altri imputati sono Michele Bianco, l’ex collega di studio di Amara, Giuseppe Calafiore, Alessandro Ferraro, Massimo Gaboardi, Vincenzo Larocca, Giuseppe Lipera, Francesco Mazzaggatti e la Napag Italia srl in liquidazione. L’intrigo ruota attorno alle cosiddette «inchieste-specchio» aperte dalle Procure di Trani (dove l’ex procuratore Capristo è a processo per corruzione in atti giudiziari) e Siracusa (per quei fatti il pm siracusano Giancarlo Longo è stato radiato dalla magistratura) grazie ad alcuni esposti anonimi. L’obiettivo sarebbe stato quello di acquisire informazioni e inquinare le prove nei processi per corruzione internazionale «Eni-Nigeria» ed «Eni-Algeria» che erano in corso a Milano (entrambi si sono chiusi con clamorose assoluzioni). Nei procedimenti paralleli si ipotizzava l’esistenza di un complotto ai danni dell’amministratore delegato dell’Eni, Claudio Descalzi (costituito parte civile). Le informazioni venivano passate alla stampa «strumentalizzando» il caso. I testimoni e alcuni avvocati dei processi per corruzione internazionale furono accusati di aver mentito o di aver orchestrato dichiarazioni e strategie difensive per far cadere le accuse contro la società di San Donato anche in danno dei propri assistiti. In particolare, a venire screditati sono stati gli ex consiglieri indipendenti di Eni, Luigi Zingales e Karina Litvak, causandone l’estromissione dagli organi societari e additandoli come le «menti» del complotto anti-Descalzi. Amara e Armanna sarebbero stati retribuiti da Vella e Mantovani con bonifici inviati dalle controllata londinese Eni Trading & Shipping (Ets) e dalla filiale Nigerian Agip Oil Company (Naoc) verso le società Napag Italia (con filiale a Dubai) e Fenog Nigeria, facendole iscrivere fra i fornitori del Gruppo. I finanziamenti sarebbero serviti a dissimulare l’acquisto di un impianto petrolchimico in Iran da 25,8 milioni di euro attraverso un vorticoso giro di bonifici su conti italiani ed esteri, e la cessione di quote societarie, retrocedendo in seguito il denaro con una maggiorazione. Il gup di Milano ha emesso nei confronti di Ets sentenza di patteggiamento, condannandola alla sanzione di 258.000 euro e alla confisca di 963.000 euro.
Simona Marchini (Getty Images)