2022-05-04
Alzare la tassa sugli extraprofitti è inutile e fa male alle nostre aziende
La misura incide sulle partecipate come Enel ed Eni e non ferma il caro prezzi.L’altra sera, in una volta sola, il governo ha fatto due bischerate. Se ne possono fare anche di più nello stesso momento, ma per un governo diremmo che è già abbastanza. Ha deciso di dare un aiuto in questo momento di crisi agli italiani concedendo un bonus nientepopodimeno che di 16,6 euro al mese, cioè 200 euro l’anno che poi sarebbero 50 centesimi al giorno. Ormai te li tirano dietro anche se fai l’elemosina. Ma di questo parleremo dopo. Per compiere questa bischerata ne ha compiuta un’altra, si chiamano bischerate a catena. Peccato che la catena giri intorno al collo degli italiani. La bischerata di cui sopra è la seguente. Siccome c’è la crisi energetica con il caro energia che ne segue, le aziende del settore, aumentando i prezzi, hanno goduto di extraprofitti, cioè hanno guadagnato di più. Bene, col decreto di ieri, dal 10% che era stato architettato, si è passati al 25% di tassazione di questi extraprofitti, sostanzialmente in Italia si tratta dell’Enel e dell’Eni, ma non solo. Visto che il presidente del Consiglio viene dalle banche, quella europea, quelle d’affari, dal ministero del Tesoro, come l’attuale ministro dell’Economia, dovrebbe sapere che se a Borse aperte tu dichiari qualcosa del genere il giorno dopo, come è avvenuto regolarmente ieri, le Borse non reagiscono stappando bottiglie di champagne. O meglio, il tappo è partito ma gira gira è andato a finire nello stesso luogo del corpo del contribuente o della contribuente. In questo caso non servono neanche le quote rosa. Ricordiamo per l’ennesima volta, e a costo di annoiare il gentile lettore o la gentile lettrice, che nel suo discorso inaugurale Mario Draghi ricordò come possibile modello della sua riforma fiscale i nomi di Ezio Vanoni e, senza farlo, quello di Bruno Visentin, autori rispettivamente della prima riforma del dopoguerra e della riforma degli anni Settanta. Dobbiamo dire che solo la citazione di questi nomi titillò le corde più sensibili della nostra anima fiscale (perché in fondo il Fisco l’anima te la fa rodere) perché dopo anni di ritocchetti, ritoccucci e ritocchini sentivamo aria di riforma. Era un segnale molto importante per la storia tributaria italiana perché se Draghi fosse stato anche in minima parte - e fino a ora non lo è stato per niente - coerente con l’idea di una grande riforma, ebbene, questo avrebbe potuto veramente cambiare in positivo il corso della nostra economia. Ma così, fino a oggi, non è stato. Siamo passati dalle varie categorie di ritocco alle varie categorie di modifica: modifichette, modificucce, modifichine, variazioncine, correzioncine, revisioncine. Tutte «ine» che quando arrivano alle terga del contribuente diventano sempre e irrimediabilmente «one». Torniamo alla tassa sugli extraprofitti. A parte i dubbi di costituzionalità evidenti sui quali però bisogna aspettare la Corte costituzionale, in passato qualche operazione simile è stata da essa rigettata. Ma su questo vedremo. Ma c’è un’altra piccola riflessione, diciamo da uomo della strada più che da economista, che è la seguente. Gli utili di Eni ed Enel dove vanno a finire se non nelle casse dello Stato o in investimenti che queste due grandi realtà del Paese fanno per essere e rimanere al livello delle altre grandi imprese europee e internazionali? Quindi lo Stato cosa fa? Tassa degli utili che arriverebbero a lui e così li può usare come spesa corrente per offrire quell’immonda elemosina agli italiani afflitti dalle bollette. In altre parole, si vanno a colpire due realtà industriali veramente importanti in questo Paese e che funzionano (mica poco trattandosi di cose pubbliche) per ottenere un risultato che non ci sarà. Si dà la martellata a uno senza dare la carezza a un altro. Che modo strano di agire. Questo governo non è mai la montagna che partorisce il topolino, è piuttosto il topolino che partorisce la formica. Oltre che un fenomeno politico è anche un fenomeno zoologico. Riepilogando e facendo un conto di quanto hanno prodotto per ora le manovre del governo sulla busta paga dei lavoratori, ci si aggira intorno a un euro e mezzo al giorno, un caffè e una mezza gassata. In sintesi: si vanno a toccare gli utili di aziende centrali del Paese per fare qualcosa che non sapremmo neanche come chiamare. Presa per i fondelli? Presa in giro? Imbroglio? Tentativo di circonvenzione di incapace? Raggiro? Turlupinatura? Lusinga? Abbindolamento? Facciamo così, all’inglese lo chiamiamo un bluff, in italiano lo chiamiamo un inutile magheggio.
Jose Mourinho (Getty Images)