2021-09-09
Alzare sempre l’asticella è ormai un metodo
Dopo aver fissato il traguardo dell'80% della popolazione immunizzata, Roberto Speranza ora parla del 90. Un trucchetto che serve a nascondere le pecche del governo, a prolungare l'emergenza e a colpevolizzare i cittadini. Che non vedono mai la fine del tunnel.No, stavolta non «ce lo chiede l'Europa», ma, con la decisione Aifa sulla terza dose, è l'Italia che si autoassegna un ruolo di battistrada su un terreno per definizione incerto e sdrucciolevole. Curioso paradosso: invece di preoccuparci per un'evidente anomalia italiana, già da ieri è partito un coretto a cappella per celebrare il nostro presunto ruolo di «avanguardia». E, anziché tenere un piede sul pedale del freno, si schiaccia gioiosamente l'acceleratore. Ma non è l'unica stravaganza di queste giornate di fine estate. Per mesi, ci era stato detto che il grande traguardo a cui puntare sarebbe stato quello dell'80% degli italiani vaccinati con doppia dose, obiettivo da centrare entro fine settembre. E, con uno sforzo organizzativo notevole (in primo luogo della struttura coordinata dal generale Francesco Paolo Figliuolo), e soprattutto con un atteggiamento serio e paziente degli italiani, ci stiamo arrivando perfino in lieve anticipo. E invece? Non appena ci si affaccia sul rettilineo finale della corsa, il traguardo viene costantemente spostato in avanti. Un paio di giorni fa, sul Corsera, il ministro Roberto Speranza, con sprezzo del pericolo e del ridicolo, non ha escluso ulteriori lockdown e restrizioni nemmeno in presenza - ipoteticamente - di un 90% di cittadini vaccinati. L'asticella si alza sempre di più. E si alza senza obiettivi verificabili, senza soglie conoscibili preventivamente da tutti, senza che il «gioco» abbia regole chiare: no, si richiede una specie di atto di fede, un «credo quia absurdum» applicato alla politica. Il cittadino non può e non deve sapere, ma deve solo obbedire a ciò che il «sovrano» stabilirà: e il sovrano resta libero, secondo logiche imprevedibili e misteriose, di cambiare le sue decisioni di settimana in settimana. Con quattro conseguenze ulteriori, l'una peggiore dell'altra. Primo: la totale arbitrarietà delle decisioni politiche, che, dopo mesi in cui ministri e governatori regionali fingevano di appoggiarsi a comitati scientifici e autorità mediche («Ce lo chiede la scienza»), ora tendono a scegliere la soluzione più restrittiva nonostante che a volte i consulenti tecnici osino sostenere posizioni più morbide, più ragionevoli. Secondo: la colpevolizzazione strisciante dei cittadini. Una volta che le cose siano state impostate in questi termini, la discussione politica e mediatica sarà sempre meno centrata su ciò che Stato, Regioni ed enti locali avrebbero dovuto realizzare (su trasporto urbano, aule scolastiche, turni e scaglionamenti degli ingressi a scuola, tamponi salivari rapidi, eccetera), ma sarà fatalmente orientata a focalizzare le «mancanze» vere o presunte dei cittadini. In questo, la minoranza no vax rappresenterà il bersaglio perfetto: è certamente più facile polemizzare contro percentuali esigue di insegnanti non vaccinati, ad esempio, che non rispondere delle immense mancanze del governo Conte bis e dell'esecutivo Draghi sulla scuola, nei lunghissimi 19 mesi trascorsi da febbraio 2020 ad oggi. Anche qui, siamo davanti a una inversione a 180 gradi di ciò che dovrebbe accadere in una democrazia occidentale: anziché esserci uno scrutinio da parte di media e cittadini sul governo, qui assistiamo a uno scrutinio del governo e dei media sui contribuenti.Terzo: non si adotta mai un meccanismo minimamente premiale, incoraggiante, che possa dare la sensazione di un'uscita dal tunnel. È nota la scelta della Danimarca, ad esempio: al raggiungimento di una certa soglia di vaccinati, cadono alcune restrizioni. Qui non si è nemmeno immaginato nulla del genere. Il pass è ormai un feticcio. Peggio ancora: si assiste a una sorta di inversione tra mezzi e fini. Quelli che dovrebbero essere solo degli strumenti (il vaccino in primo luogo) per conseguire il fine del contrasto alla pandemia, sembrano essere divenuti essi stessi un obiettivo in sé. E anzi si guarda con un'inspiegabile diffidenza tutto ciò che (a partire dai tamponi salivari a risposta immediata) avrebbe la capacità di sdrammatizzare l'emergenza e incoraggiare il ritorno alla normalità. Quarto: in ogni ambito della medicina (si pensi alle chemioterapie e alle cure oncologiche) si sceglie giustamente una sempre maggiore personalizzazione delle cure. Qui, invece, con la terza dose imposta in modo generalizzato e indistinto, si va in direzione opposta. Un'autorità indiscussa come il professor Francesco Vaia, direttore dello Spallanzani, intervistato dal Tempo a fine agosto, aveva per un verso incoraggiato molto la somministrazione delle seconde dosi, ma al tempo stesso - prima di iniziare a discutere della terza - aveva saggiamente invitato a considerare la «risposta anticorpale», nonché «la capacità neutralizzante, la memoria cellulare, i linfociti T», insomma - complessivamente parlando - la «memoria immunologica» di una persona. Ognuno di noi è diverso, e la risposta dei nostri corpi è differente: che senso ha imporre a tutti la terza dose del medesimo vaccino, peraltro messo a punto ormai molti mesi fa, quando non c'erano le varianti oggi in circolazione? Domande destinate a rimanere senza risposta.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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