2020-12-01
Altro che task force: comanda l’Ue
Ursula von der Leyen (T.Monasse/Getty Images)
Il premier inventa un marchingegno bizantino per gestire il Recovery fund: una sorta di srl in mano a via XX Settembre. Ma a decidere sarà il supercommissario Céline Gauer.Sul Recovery fund, l'Italia avrà le mani legate. O meglio, sarà eterodiretta da Bruxelles, che dirà al premier Giuseppe Conte cosa fare, come spendere i fondi, a chi assegnarli, ovvero, avrà il potere di promuovere o bocciare i piani presentati da Roma. La gestione dei fondi europei, infatti, sarà in mano a una task force «Recovery and resilience», guidata dalla francese Céline Gauer. In particolare, il monitoraggio sull'Italia dipenderà dal tedesco Eric von Breska. Si conferma l'asse Berlino-Parigi a garanzia dei fondi. Questa struttura si coordinerà con la cabina di regia italiana che avrà al vertice, su volere di Conte, i ministri dell'Economia, Roberto Gualtieri, per il Pd e dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, per il M5s, oltre al capo del governo. Una sorta di srl, in capo soprattutto al Mef, altro che concertazione allargata a tutto il Parlamento. Quindi un triumvirato, cui dovrebbe rispondere un comitato esecutivo composto da sei manager, uno per ogni tema del piano. Conte, come era ovvio aspettarsi, non fa altro che parlare di un largo coinvolgimento di persone di alto profilo, con forti competenze. Vorrebbe individuare addirittura 50 nomi per ognuno dei sei team, esperti che dovrebbero seguire la realizzazione dei lavori. Una tecnostruttura con il potere di intervento qualora l'esecuzione dei progetti non rispetti la tempistica assegnata o presenti dei deficit di realizzazione.Per calmare il centrodestra, che ha capito dove vuole andare a parare (tenere saldamente nelle mani i fili dell'imponente piano di finanziamenti europei), il premier continua a ripetere che il Parlamento svolgerà un ruolo attivo e che in prospettiva c'è pure l'ipotesi di un comitato di garanzia per sovrintendere all'attuazione dei progetti. Nella task force troveranno posto economisti, industriali, rappresentati del mondo del lavoro e delle professioni, che potrebbero anche essere nominati dal Colle. Insomma, una lunga tavolata, nel segno della concertazione, per non far stare fuori nessuno ma tenendo chiusa a doppia mandata la stanza dei comandi. Anche se i renziani, decisamente marginali in questo disegno, si ribellano: «Basta task force, ne abbiamo viste fin troppe». Ma anche qui, il premier, Gualtieri e Patuanelli non saranno da soli a decidere. Anzi, propriamente non decideranno alcunché. Sopra la giostra di task force, cabina di regia ed esperti vari, l'ultima parola sarà di Bruxelles. Tant'è che spetterà al ministro per gli Affari europei, Vicenzo Amendola, fare da cinghia di trasmissione con l'unica task force che conta, che è quella della Commissione Ue. Il setaccio sugli interventi da finanziare, i cantieri da aprire è in mano alla francese Gauer. La presidente dell'esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, ultimamente non perde occasione per ribadire che questa per l'Italia è una grande occasione. Parole che suonano come un monito. In ballo ci sono 209 miliardi, di cui 81,4 a fondo perduto e 127,4 in prestiti. Il governo italiano si era impegnato a presentare i progetti da finanziare con il Recovery per gennaio, ma il dibattito, fermo al solito balletto dei tavoli decisionali e di controllo, indica che è ancora tutto in alto mare. Sono stati indicati solo i settori: digitalizzazione, transizione ecologica, salute, infrastrutture, istruzione e inclusione sociale. Un po' poco. Non è un buon segnale. Come non lo è la zuffa tra Pd e M5s per aggiudicarsi un posto in prima fila nella stanza dei bottoni, mentre Italia viva sgomita. La diffidenza e ostilità dei Paesi frugali verso l'Italia non è diminuita. Continuiamo a essere osservati speciali.
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