
Nuova inchiesta sul sindaco di Riace: avrebbe dato ok ad alloggi per rifugiati non idonei. Prolungato anche il divieto di dimora.C'erano degli aspetti del caso Riace che erano stati segnalati dagli ispettori del Viminale ma che, apparentemente, non erano entrati nell'inchiesta Xenia, quella che l'altro giorno ha portato al rinvio a giudizio per il re dell'accoglienza Mimmo Lucano. E infatti ieri mattina la Procura ha bussato di nuovo alla porta di Mimmo u' Curdu (soprannome con cui è stato ribattezzato Lucano sin dai tempi dei flussi migratori curdi della fine degli anni Novanta), a Caulonia, il comune che ha scelto per il suo esilio giudiziario disposto dalla magistratura, per notificargli l'atto con il quale i magistrati chiudono i conti con il Sistema Riace. Le nuove accuse, ricostruite nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, riguardano otto nuove ipotesi di truffa. Questa volta, al centro dell'inchiesta, ci sono gli alloggi dove i migranti venivano ospitati dalla cooperativa Girasole, amministrata da Maria Taverniti. Anche lei è indagata assieme a Lucano e ad altre otto persone (Giuseppe Tavernese, Debora Porcu, Giovanni Sabatino, Raffaele Belfiore, Rinaldo Deluca, Luana Tosarello e Marco Iacopetta) che avevano affittato gli immobili alla cooperativa. Secondo il sostituto procuratore Ezio Arcadi, che ha curato l'indagine insieme al procuratore Luigi D'alessio, tre appartamenti sarebbero «risultati privi di collaudo statico e certificato di abitabilità, documenti indispensabili per come richiesto specificatamente sia dal manuale operativo Sprar che dalle convenzioni stipulate tra il Comune di Riace e la prefettura». Lucano, da sindaco che veniva considerato «un bravo amministratore» dal cordone mediatico che lo difende, avrebbe firmato una «falsa attestazione ove veniva dichiarato che le strutture di accoglienza per ospitare i migranti esistenti nel territorio del Comune di Riace erano rispondenti e conformi alle normative vigenti in materia di idoneità abitativa, impiantistica e condizioni igienico sanitarie». Altri cinque appartamenti, invece, sono risultati privi solo del «certificato di abitabilità». Gli ispettori della prefettura, invece, avevano segnalato anche che erano finiti nelle mani di amici e parenti degli amministratori di Riace. Ma la parentopoli non è un reato e non è finita nell'inchiesta giudiziaria. Se la truffa è contestata a tutti gli indagati, il sindaco sospeso deve rispondere anche del reato di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. La Procura di Locri, inoltre, ha rilevato «la mancanza, in capo a Lucano, di qualunque competenza riconosciuta dall'ordinamento circa il giudizio relativo ai requisiti tecnici che dovevano possedere gli immobili (dal punto di vista statico, impiantistico e dell'agibilità), nonché l'avere egli predisposto e sottoscritto le determine con le quali venivano assegnate alla Cooperativa Girasole le somme a pagamento di canoni locativi» in favore dei proprietari. E siccome Lucano, come sostiene l'accusa, con quelle false attestazioni avrebbe indotto in errore ministero e prefettura, non è detto che il Viminale non decida di costituirsi parte civile in un eventuale processo. Lui ha provato a difendersi, sostenendo che «un sindaco non è un tecnico». Ma dimentica che nel suo Comune da tecnico si è vestito più volte, rivestendo anche quattro cariche per volta. Era sua la firma sotto il bando di gara in qualità di primo cittadino, sua quella come responsabile unico del procedimento (come previsto dalla legge nei comuni con meno di 5.000 abitanti), e sua anche quella da responsabile dell'unità operativa del servizio finanziario. Uno e trino il sindaco Lucano. Che per lo Sprar, come aveva svelato la Verità, ha dato l'indirizzo politico da sindaco, l'indirizzo tecnico da Rup e si è anche dedicato ai conti grazie alla terza carica che ha deciso di ricoprire. Poi si scoprì che era anche responsabile dell'Ufficio anagrafe. Quindi i meccanismi tecnici il sindaco del Sistema Riace sembrava conoscerli a fondo, arrivando ad assorbire anche le cariche più tecniche. Ora però, ancora una volta sprezzante e facendo lo gnorri, pone una domanda: «Come mai è sempre sotto accusa il modello Riace? Come mai, ad esempio le autorità non si sono preoccupate se mancasse il certificato di abitabilità nelle baraccopoli di San Ferdinando?». E invece gli ispettori della prefettura, che mancassero quei documenti, se ne erano accorti eccome. Ma Lucano non può fare altro che tentare di continuare a difende il suo modello di accoglienza: «A Riace ci siamo sempre attivati per dare risposte alla prefettura che ci chiedeva soluzioni per rispondere a delle emergenze. Lo abbiamo sempre fatto anche per una questione di sensibilità umana». Per la Procura, invece, ha violato le regole, anche quelle più elementari. E, anche per questo, oltre che per le accuse gravissime per le quali è stato rinviato a giudizio, il divieto di dimora è stato anche prolungato di un anno. La prima udienza del processo al Sistema Riace si terrà davanti ai giudici del collegio penale del tribunale di Locri l'11 giugno. Sarà lì che si stabilirà se il sindaco, come sostiene la Procura, ha abusato del suo ufficio capeggiando un'associazione a delinquere che avrebbe commesso un numero indeterminato di delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio, orientando, si legge nell'atto d'accusa, l'esercizio della funzione pubblica del ministero e della prefettura, preposti alla gestione dell'accoglienza. Così è crollato quello che Lucano e la stampa amica chiamavano «modello Riace».
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