2022-10-20
Altra molotov del Cav sul futuro esecutivo
Spunta un secondo audio del fondatore di Fi: «Zelensky attaccava il Donbass». Poi lui chiama La 7 per minimizzare. Antonio Tajani corre al summit del Ppe per ribadire la fede atlantista, Licia Ronzulli s’infuria con gli eletti forzisti: «È criminale aver diffuso la registrazione».Guerra e pace. Silvio Berlusconi porta avanti la strategia Tolstoj e il centrodestra continua a ballare. Anche ieri doppio meteo: al mattino sole, al pomeriggio temporali per via degli audio putiniani registrati all’assemblea di Forza Italia tre giorni fa alla Camera e rilasciati a orologeria dall’agenzia LaPresse. Al mattino «Tutti insieme al Quirinale, torna il sereno». Al pomeriggio l’accusa a Volodymyr Zelensky «di avere triplicato gli attacchi in Donbass». E di fatto di essere responsabile della guerra «che Putin non voleva». Il Cavaliere elettrico è in pieno rodeo mentre gli alleati osservano grattandosi la pera e attendendo che il circo Medrano finisca. Quando la giornata comincia, in Forza Italia sono convinti che le consultazioni da Sergio Mattarella (domani alle 10.30) saranno esenti da turbolenze e che i tasselli del mosaico governativo «stiano andando al loro posto». Il più spigoloso, quello che non si incastrava mai, si chiama Giustizia. Ma un passo decisivo verso la pace fra Giorgia Meloni e Berlusconi avviene in mattinata, quando il candidato di Fratelli d’Italia, Carlo Nordio, fa visita al Cavaliere a Villa Grande sull’Appia Antica. «Si conoscono dai tempi di Mani pulite, c’è sempre stata stima. E il presidente l’ha rinnovata». Nel colloquio vengono affrontati i nodi di una vera riforma della giustizia con la separazione delle carriere, il nuovo Csm, la responsabilità civile per gli errori giudiziari più clamorosi. A convincere il leader di Forza Italia, che fino all’altro ieri aveva tenuto il punto su Elisabetta Alberti Casellati, sono paradossalmente le uscite critiche dell’Anm. «Se Nordio non piace a loro significa che è l’uomo giusto», avrebbe sintetizzato, di fatto adeguandosi alla scelta meloniana. Le prove di distensione si concretizzano con le elezioni dei vicepresidenti. Alla Camera passa Giorgio Mulé, forte della caratura istituzionale e di una non comune capacità di fare sintesi fra le varie anime azzurre, mentre al Senato viene eletto Maurizio Gasparri, vecchio leone di mille battaglie. Proprio quest’ultimo ha fatto inviperire la sinistra per avere presentato un disegno di legge sui «diritti del concepito». Per la verità lo presenta ad ogni inizio di legislatura, «è un lascito morale del presidente del Movimento per la Vita, Carlo Casini». Finora nessuno aveva mai avuto nulla da ridire, questa volta il gesto è interpretato come una provocazione (Enrico Letta) o un dispetto a Meloni (il circo mediatico mainstream). Neppure il tempo di festeggiare la compattezza ritrovata sui nuovi eletti che riparte il cinema sulle parole di Berlusconi registrate nell’assemblea per l’elezione del capogruppo Alessandro Cattaneo. Il leader azzurro viene inchiodato ancora ai Silvioleaks. «Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Arriva Zelensky e triplica gli attacchi alle due repubbliche». Poi ricostruisce le ragioni della guerra, più o meno simili a quelle di professionisti della geopolitica come Lucio Caracciolo e Dario Fabbri. «Nel 2014 a Minsk si firma un accordo tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per far sì che nessuno attaccasse l’altro. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano a 5-6-7 mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi. I morti diventano…». E Putin decide l’invasione per sostituire l’ex attore con le solite «persone perbene». Che sanno di fantocci e mandano ai matti gli interventisti.Lo scandalo monta e Licia Ronzulli accusa di tradimento i neodeputati. «Trovo vergognoso che all’interno di 45 persone ci sia qualcuno che abbia sfregiato il presidente divulgando l’audio alla stampa, non si sa in cambio di cosa». Un bell’inizio, non c’è che dire. Lo stesso Cavaliere telefona a Enrico Mentana per contestualizzare ma ormai la frittata è fatta e a via della Scrofa si comincia a dire: «Per favore spegnete quella radio». Berlusconi passa per autolesionista ma a 86 anni ha ancora il polso del Paese. Ha capito che gli italiani non vogliono la guerra, hanno visto le bollette e hanno aggiornato le priorità: lui va all’incasso in termini di consenso. Con un finale in linea con la tradizione della casa infatti afferma: «Oggi nel mondo occidentale non ci sono leader. Non ci sono in Europa e negli Stati Uniti. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io». La posizione putiniana del Cav continua a mettere in imbarazzo Meloni, che avrebbe bisogno di noiosa prudenza e non di scoppiettanti show alternativi destinati a far sobbalzare Bruxelles e Washington. Le uscite potrebbero anche creare perplessità quirinalizie sulla scelta di Antonio Tajani, numero due di Fi, destinato alla Farnesina dove l’atlantismo non è un’opzione ma un dovere. È lui il primo a gettare acqua sul fuoco sui social: «Gli ucraini sono un popolo di eroi in difesa della democrazia. Domani (oggi, ndr) sarò al summit del Ppe per confermare la nostra posizione europeista e filo atlantica». Verso sera si torna a parlare di totogoverno. «Ora la signora deve mollare qualcosa di marginale e si chiude», è il mood collettivo in Forza Italia riguardo alle scelte meloniane. Confermati Tajani agli Esteri (sempre che Mattarella non si metta di traverso) e Casellati alle Riforme Istituzionali, proposte Gloria Saccani Jotti all’Università e Anna Maria Bernini alla Funzione Pubblica, gli azzurri guardano con attenzione al domino degli alleati. Per esempio non piace l’idea di Fratelli d’Italia di scegliere Nello Musumeci come ministro del Sud; è inviso a Gianfranco Micciché, sarebbe inserito nel dossier «mosse sbagliate». Nella giornata dei Silvioleaks è la più innocua.
Iil presidente di Confindustria Energia Guido Brusco
Alla Conferenza annuale della federazione, il presidente Guido Brusco sollecita regole chiare e tempi certi per sbloccare investimenti strategici. Stop alla burocrazia, realismo sulla decarbonizzazione e dialogo con il sindacato.
Visione, investimenti e alleanze per rendere l’energia il motore dello sviluppo italiano. È questo il messaggio lanciato da Confindustria Energia in occasione della Terza Conferenza annuale, svoltasi a Roma l’8 ottobre. Il presidente Guido Brusco ha aperto i lavori sottolineando la complessità del contesto internazionale: «Il sistema energetico italiano ed europeo affronta una fase di straordinaria complessità. L’autonomia strategica non è più un concetto astratto ma una priorità concreta».
La transizione energetica, ha proseguito Brusco, deve essere affrontata con «realismo e coerenza», evitando approcci ideologici che rischiano di danneggiare la competitività industriale. Decarbonizzazione, dunque, ma attraverso strumenti efficaci e con il contributo di tutte le tecnologie disponibili: dal gas all’idrogeno, dai biocarburanti al nucleare di nuova generazione, dalle rinnovabili alla cattura e stoccaggio della CO2.
Uno dei nodi principali resta quello delle autorizzazioni, considerate un vero freno alla competitività. I dati del Servizio Studi della Camera dei Deputati parlano chiaro: nel primo semestre del 2025, la durata media di una Valutazione di Impatto Ambientale è stata di circa mille giorni; per ottenere un Provvedimento Autorizzatorio Unico ne servono oltre milleduecento. Tempi incompatibili con la velocità richiesta dalla transizione.
«Non chiediamo scorciatoie — ha precisato Brusco — ma certezza del diritto e responsabilità nelle decisioni. Il Paese deve premiare chi investe in innovazione e sostenibilità, non ostacolarlo con inefficienze che non possiamo più permetterci».
Per superare la frammentazione normativa, Confindustria Energia propone una legge quadro sull’energia, fondata sui principi di neutralità tecnologica e sociale. Uno strumento che consenta una pianificazione stabile e flessibile, in linea con l’evoluzione tecnologica e con il coinvolgimento delle comunità. Una recente ricerca del Censis evidenzia infatti come la dimensione sociale sia cruciale: i cittadini sono disposti a modificare i propri comportamenti, ma servono trasparenza e dialogo.
Altro capitolo centrale è quello delle competenze. «Non ci sarà transizione energetica senza una transizione delle competenze», ha ricordato Brusco, rilanciando la necessità di investire nella formazione e nel rafforzamento della collaborazione tra imprese, università e scuole.
Il presidente ha infine ringraziato il sindacato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore energia e petrolio, definendolo un esempio di confronto «serio, trasparente e orientato al futuro». Un modello, ha concluso, «basato sul dialogo e sulla corresponsabilità, capace di conciliare la valorizzazione del lavoro con la competitività delle imprese».
Continua a leggereRiduci