2019-06-06
«Repubblica»
a caccia di farfalle si schianta sulla «Verità»
Un giornalista che abbia accreditato il falso virgolettato di una intercettazione telefonica e abbia maneggiato incautamente alcuni sms di un ministro, pubblicandoli amputati in modo tale che il senso ne risultasse stravolto, dovrebbe parlare con cautela di macchina del fango, perché rischierebbe l'autogol. Carlo Bonini, inviato di Repubblica, a sprezzo del pericolo ieri ha invece compilato un articolo allo scopo di rovesciare il senso delle cose, attribuendo a uno dei nostri migliori colleghi, il vicedirettore Giacomo Amadori, l'idea di una congiura contro alcuni esponenti della Procura di Roma. Sarà bene dunque precisare che lo stesso Amadori è colui che non solo ha smontato l'intercettazione inventata da Repubblica (cosa che evidentemente a Bonini, autore dell'articolo che ne accreditò l'esistenza, accusando il sottosegretario Armando Siri di aver incassato 30.000 euro, ancora brucia), ma che nel recente passato ha contribuito a raccontare i molti affari del Giglio magico, alcuni petali del quale (l'ex sottosegretario Luca Lotti), in questa vicenda di magistrati e di pressioni per condizionare la guida degli uffici giudiziari della Capitale paiono avere avuto un ruolo attivo. Dov'era Bonini quando Amadori ricostruiva gli strani fallimenti di una serie di cooperative che gravitavano attorno al padre dell'ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi? Forse a caccia di farfalle, alla ricerca di presunti complotti. Ma quello che aveva davanti, ovvero atti di indagine che poi hanno portato all'arresto di entrambi i genitori, stranamente non ha interrotto la sua caccia ai lepidotteri. Neppure il caso Consip ha attirato la passione del valente cronista, che invece di occuparsi dei tanti interessi intorno alla centrale di acquisto della pubblica amministrazione, preferì dedicarsi ai presunti depistaggi. E che dire poi di quella curiosa faccenda del suo editore, Carlo De Benedetti, che sorpreso al telefono dopo essere uscito da Palazzo Chigi e aver incontrato Renzi, rassicurava il suo broker sul futuro della riforma delle banche popolari? Avendo investito e guadagnato con le azioni degli istituti di credito, l'ingegnere fu ascoltato come persona informata sui fatti e poi archiviato, ma all'illustre giornalista specializzato nell'inseguire insetti non passò neppure per la testa di approfondire la faccenda e di scavare per far emergere i fatti. No, meglio evitare di rotolarsi nel fango.Ciò detto, la storia di questi giorni è piuttosto semplice. Il controllo della Procura di Roma fa gola a molti e in vista della sostituzione del capo dei pm, in parecchi si muovono. Tra questi numerosi magistrati, perché le nomine sono fatte con il sistema delle correnti, ovvero con accordi dove le toghe si spartiscono i posti. In pratica, una Procura a testa non si toglie a nessuno e se ce ne sono cinque da assegnare si trova il modo di distribuirle fra gli amici. Il meccanismo è noto e da noi sempre denunciato, al contrario di chi - con la scusa di difendere l'autonomia della magistratura - fa catenaccio contro qualsiasi riforma. Mentre sono in corso queste logiche spartitorie e agli incontri partecipano i petali del Giglio magico, lo stesso Giglio che fino a ieri per Repubblica era un fiore prezioso, da coltivare e innaffiare, capita che un pm presenti un esposto contro l'ex procuratore capo, Giuseppe Pignatone, e contro il suo vice, Paolo Ielo. La Verità ne dà notizia, perché di una notizia si tratta, a prescindere dalle ragioni che hanno indotto il pm a presentare la segnalazione al Csm e perfino da chi da questa iniziativa ne tragga vantaggio, perché un giornalista che faccia con onestà il proprio mestiere deve dare le notizie, non curandosi se il denunciante sia amico o nemico. Al contrario Bonini, che vede amici e nemici e si muove con altre logiche, inserisce lo scoop dell'esposto in un altro quadro, immaginando che Amadori faccia parte di una presunta macchina del fango. Anzi, che non veda l'ora di dare una «legnata» a Paolo Ielo, ossia al pm dell'inchiesta su Siri e, scrivendo di ciò, riaccredita la tesi della telefonata farlocca. È dunque necessario precisare alcune cose. La prima è che La Verità non partecipa alla guerra fra correnti (ma forse sarebbe meglio definirle bande) per il controllo della Procura di Roma: a differenza di altra stampa, non abbiamo un editore sotto inchiesta nella Capitale per truffa. La seconda è che Amadori non aveva nessun motivo di pareggiare i conti con Ielo per la faccenda della telefonata, perché a far notare la mancata corrispondenza fra gli atti giudiziari del caso Siri e il virgolettato di Repubblica fu proprio il procuratore aggiunto: dunque perché il nostro vicedirettore avrebbe dovuto avercela con un pm che conferma le sue notizie? La terza è che chi fino a ieri è stato trombettiere di Renzi, Lotti e compagni, ora non può ergersi a giudice, ma solo andare a nascondersi. Naturalmente dopo aver ritirato il premio per la miglior faccia di tolla. Da ultimo faccio notare che, a differenza di altre, questa redazione non ha padroni né padrini.
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Riyadh e Islamabad hanno firmato un patto di difesa reciproca, che include anche la deterrenza nucleare pakistana. L’intesa rafforza la cooperazione militare e ridefinisce gli equilibri regionali dopo l’attacco israeliano a Doha.
Emanuele Orsini e Dario Scannapieco