2023-10-09
Alfio Krancic: «Che difficile fare satira se non stai con la sinistra»
Alfio Krancic (Instagram)
Il vignettista: «Noi dovremmo spernacchiare il potere, che oggi è il politicamente corretto. Invece se tocchi la Nato, i vaccini, i migranti o i gay qui in Italia sei morto».Alfio Krancic, possiamo definirla il primo vignettista italiano orgogliosamente non di sinistra, dopo Guareschi? «Penso di sì, e credetemi, non è un lavoro facile». Perché? «Emergere è stato faticoso. Dopo il ’68 la sinistra aveva occupato militarmente anche la satira, usandola come mezzo di lotta politica. La destra all’epoca pensava ad altro. Insomma, nella mia vita professionale ho dovuto sfondare dei muri». Sul suo sito si definisce così: «Disegnatore non riconosciuto dalla Cupola di sinistra e dalla Cupolina di destra». «Ancora oggi i disegnatori di sinistra godono della pubblicità assicurata della stampa a loro affine. Penso a Vauro, a Mastrangelo. Loro sempre sotto i riflettori, sono le star: io nel cono d’ombra». Come se lo spiega? «Nella satira in Italia ci sono dei tabù che non si possono toccare. La Nato, per esempio. E poi, più recentemente, le politiche sanitarie, il vaccino anti Covid, per non parlare delle teorie gender. Chi si avvicina a quegli argomenti è morto». Ci sono anche personaggi effettivamente intoccabili?«Certamente non ti puoi avvicinare al presidente della Repubblica, che oggi è diventata una figura sacrale, con un’aura di santità che francamente non mi spiego. Quando certi giornalisti parlano del presidente, sembra stiano dicendo messa. Non sempre è stato così». Lei però non arretra neanche dinanzi al Quirinale?«Quando trovo lo spunto giusto, non ho problemi a tirare per la giacchetta Mattarella, come del resto ho sempre fatto, da Scalfaro in poi. Qual è il problema?». E poi è praticamente l’unico a ironizzare sui migranti. Altro tema molto delicato. «Ecco, in quel caso per me è come giocherellare con i fili dell’alta tensione. Non mi pongo limiti: migranti, gay, arcobaleni. Tutto merita di essere caricaturizzato». E perché?«Perché la satira vera deve perlomeno provare, ogni tanto, senza fare gli eroi, a spernacchiare il potere. E il potere oggi altro non è che il politicamente corretto, e chi lo impone». Conseguenze? «Mi becco ogni volta del nazista e dello xenofobo. Ma continuo a pensarla così: oggi non c’è più satira di destra e sinistra. Il discrimine è un altro: chi fa satira deve inchinarsi a certi totem, oppure no?». Mi dica chi si inchina. «Quelli che alla fine disegnano le solite lagne. Prendi Biani, su Repubblica. Non si propone di divertire, o di dileggiare il sistema: semplicemente è satira lacrimevole». Lacrimevole?«Madri con bambini che affondano sui barconi. Non punta a far ridere, semmai a far piangere». Dunque? «Dunque è satira di partito, più che di parte. Sono messaggi politici su carta da disegno».Lei ha sempre avuto il pallino della politica estera. Un tema non esattamente popolare. «Sono nato a Fiume, figlio di profughi. Sulle foibe ci sono ancora tanti libri da scrivere. In quella tragedia ho conosciuto gente che ha vissuto nell’ombra, vergognandosi di dire anche dov’era nata».I suoi disegni sulle foibe hanno sempre fatto scandalo. «Napolitano era in visita in Croazia. Lo disegnai sopra la foiba vestito da partigiano, insieme al soldato titino. Titolo: “Album di famiglia”». Risultato?«Dovevo fare una mostra a Firenze, e il Pd del quartiere Ztl fece saltare tutto. Dopo tanti anni, la sinistra ha inghiottito a forza il boccone amaro delle foibe. Ma quel pasto pesante crea ogni anno reflussi gastrici dolorosi».Ma oggi è più facile fare satira politica rispetto a vent’anni fa?«Al contrario, è più difficile. Oggi i politici si prendono già in giro da soli. Per un umorista diventa complicato satireggiare». Solo questo? «La Schlein, per dire, mi stuzzica molto. Ma per giocare su qualcuno devo prima capirlo. E solo per tradurre le frasi involute di Elly ci impiego una giornata». Però? «Però la segretaria ha comunque una figura riconoscibile, veste stravagante, porta i pantaloni scampanati. È una buona base». E Giorgia Meloni? «Non gradisco quando si stende troppo sulla linea atlantica. Deve ricordarsi da dove arriva, e risfoderare l’anima sovranista». È mai stato censurato? «Ogni tanto. A volte, per evitare guai, quasi mi autocensuro. Anche perché come con la frizione, ogni tanto mi scappa la matita. Comunque ci sono episodi esilaranti». Raccontiamone uno. «Parata del 2 giugno, tutti i leader sfilavano davanti all’allora presidente Carlo Azeglio Ciampi. Disegno Gianfranco Fini alto alto, poi Bossi, D’Alema, e infine Berlusconi, come sempre, un po’ meno alto». E poi?«Mi arriva una telefonata dalla redazione: “Alfio, la vignetta è bellissima. Solo una cortesia: non è che potresti allungare Berlusconi?”». Il Cav l’ha mai conosciuto? «Mai di persona. È stato senza dubbio l’alfa e l’omega della satira italiana degli ultimi trent’anni. Ed è stato anche il più grande bersaglio degli umoristi, che su di lui si sono accaniti senza sosta, sul pubblico e sul privato». Ma i politici le telefonano mai?«Telefonate dei politici ne arrivano poche: querelano direttamente. Ma fortunatamente, alla fine in qualche modo mi salvo sempre». Estimatori?«Antonio Fazio, l’ex governatore della Banca d’Italia, mi chiamava sempre ogni volta che appariva nelle vignette. Voleva gli originali per appenderseli in casa». Come ha cominciato? «Pagine semiclandestine, negli anni Settanta. C’era La voce della fogna di Marco Tarchi, un gruppuscolo di artisti e poeti maledetti, tra cui Franco Cardini». Vicini alla politica?«Orientati verso il Msi, ma di fatto eravamo anarchici, punzecchiavamo anche a destra. Della linea del partito non ce ne fregava niente. E infatti ci cacciarono dopo pochi mesi». Perché? «Avevamo il vizio di amare la monarchia di diritto divino. Cioè, in pratica pensavamo che la rivoluzione francese fosse stata un tragico errore». Leggermente fuori dall’arco costituzionale, insomma. «Eravamo tradizionalisti, antirisorgimentali, non incasellabili. Figuriamoci la reazione dei dirigenti dell’epoca». E il salto quando avvenne?«Conobbi Giano Accame, il direttore del Secolo, che mi propose di disegnare. Ma la svolta vera arrivò quando Feltri mi chiamò all’Indipendente. Un quotidiano epico». Si ricorda la prima vignetta in quella vetrina nazionale? «Sul caso Sofri. C’era una padella con verdure che ribollivano. Titolo: “Sofritto”». E il debutto a Il Giornale?«Ricordo che mi telefonò Maurizio Belpietro per commissionarmi una vignetta di stampo economico, sui Btp. Il caso vuole che siano ancora d’attualità. Iniziò per me un’avventura appassionante». Davvero?«Sono stato sempre bene, anche se negli ultimi tempi i miei lavori erano un po’ “occultati”…».Come mai è finita l’esperienza al Giornale, dopo trent’anni? «A fine agosto mi dicono che rientro nei tagli al personale. Poi mi arriva una raccomandata dell’amministrazione molto scarna. Tutto qui». Si aspettava altro? «Non dico incassare una buonuscita, ma in effetti, dopo tanti anni di lavoro, un saluto affettuoso mi avrebbe fatto piacere». Come si spiega la rottura? «Ho visto che al mio posto c’è “Osho”. Probabilmente volevano un’altra impronta satirica. Ma non porto rancore».Magari Krancic era troppo scomodo? «Forse è anche colpa di una mia vignetta su Michela Murgia di qualche giorno fa, quando la scrittrice era ancora in vita». Quale vignetta?«Il sindaco leghista di Ventimiglia assume dei guardiani per evitare che i migranti dormano nei cimiteri. La Murgia protesta. E io la ritraggo su una lapide, con la scritta “Dopo i porti aperti, cimiteri aperti”». Un po’ forte, in effetti. «Qualche giorno dopo Michela Murgia scompare, e peraltro mi sono molto dispiaciuto.. Resto fermo diversi giorni, Augusto Minzolini mi chiama per dirmi che c’era perplessità su quella mia vignetta. E lì capisco che forse qualcosa si è rotto». Pentito per quel disegno? «No. L’umorismo nero esiste in tutti i Paesi europei. È un cazzotto nello stomaco per chi legge, ma fa parte del mestiere. Berlusconi è stato dileggiato anche post mortem, e nessuno ha avuto da ridire». E adesso?«E adesso, alla mia età, sono orgogliosamente sul mercato». E nel frattempo?«Continuo a disegnare, tutti i giorni, ma per me stesso. D’altra parte, è la mia vita».