2023-07-31
Alberto Veronesi: «A teatro domina il pensiero unico»
Parla il direttore d’orchestra licenziato per aver diretto bendato: «“La Bohème” ambientata nel ’68 con canne e pugni chiusi? Era imbarazzante. Governasse il Pd sarebbe una catastrofe per l’Italia».È a Vibo Valentia, ha diretto l’orchestra sinfonica della Calabria sulle note della Traviata. Ancora Giacomo Puccini, l’autore che più ama. Sul palco anche questa volta è salito bendato. Con lui, pure l’orchestra e i cantanti. Quella benda, l’altro ieri, se la sono però tutti tolta prima iniziare. «Sono qui per costruire, per proporre, per dire basta a continui attacchi», assicura Alberto Veronesi.Terzogenito di Umberto, oncologo ed ex ministro, è maestro d’orchestra «da 35 anni». L’antefatto è il suo licenziamento dopo che ha scelto di dirigere la Bohème a Torre del Lago bendato, in protesta contro le scelte «politicizzate e ideologiche» della regia. Sabato scorso avrebbe dovuto far danzare la bacchetta per la replica, ma la Fondazione lo ha sollevato dall’incarico. «Prendo atto, e non ne parlerei nemmeno più, non fosse che mi continuano a criticare in modo pretestuoso e mi tocca querelare», ribadisce.Perché questa volta si è tolto la benda?«Perché non mi basta aver criticato, voglio indicare un’alternativa. Qui a Vibo dove è nato il principale critico di Puccini, Fausto Torrefranca, ho voluto aprire gli occhi davanti alla bellezza del testo dell’autore. Vorrei che tutti la guardassero con occhi nuovi, così come che ci si aprisse alla bellezza della città, della poesia della musica».Il suo salire sul palco bendato in Toscana è stato un gesto forte. «Preannunciato da una lettera che chiedeva di rispettare Puccini, e poi raccontato con molte bugie».Facciamo chiarezza? In previsione dello spettacolo sulle note della Bohème di due settimane fa, lei incontra il regista francese Cristophe Gayral, a Torre del Lago in provincia di Lucca.«Entrambi siamo stati scritturati per quella data, glielo dico per chiarire che non ci siamo scelti. L’incontro è stato cordiale, ed è terminato con l’impegno da parte sua di non inserire propaganda politico-ideologica nell’opera, di rispettare il libretto».Gayral ha poi detto che lei sapeva che avrebbe collocato la Bohème nel Sessantotto.«Sì, ma mai avrei immaginato una Mimì in minigonna che si rolla una canna in scena. E le scenografie con bandiere con stelle a cinque punte e cartelli molto di parte. Quando la protagonista muore, il regista ha scelto di non riflettere sulla fine della vita ma di mandare tutti i personaggi in manifestazione. D’altra parte dopo lo spettacolo ha salutato il pubblico - tra i fischi - con il pugno chiuso: non fa certo mistero del suo schieramento politico».E così lei ha deciso di non voler guardare.«Ho diretto in modo impeccabile dal punto di vista tecnico. Non sa quante volte l’ho fatto a occhi chiusi e nessuno se ne è accorto. Vedevo montare le scenografie nei giorni prima dell’evento e le trovavo imbarazzanti. Qui in Calabria siamo andati in scena invece con un impianto essenziale e semplice. Altro che le spese per impianti scenografici immensi e registi dai cachet da star del cinema, per altro dimenticati dopo tre anni. È ora di cambiare. Se me lo permette vorrei rivolgere un appello al ministro Sangiuliano».Per chiedere cosa?«Occorre mettere dei tetti alle spese per scenografie e registi, così da fare in modo che i fondi statali vadano ad aiutare i tanti giovani che escono dai conservatori dopo 15, 20 anni di studio e non trovano lavoro. È fondamentale aiutare le orchestre, tantissime, del Mezzogiorno. I 180.000 suonatori di bande di questo Paese. I ballerini. Le maestranze. È una scelta di civiltà e crescita, investire in tecnici, artisti lirici, gente che valga. Ne beneficerà il turismo e l’immagine dell’Italia. Si dica basta a tutte queste risorse per sedicenti registi che fanno parlare di sé con provocazioni».Il problema è Mimì in minigonna?«Come pure gli aborti in scena o l’Attila di Verdi vestito da nazista. La Norma di Vincenzo Bellini vestita da palestinese».Attualizzare la tradizione…«Ma per favore, anche gli spettatori sono stufi. Bisogna rispettare il libretto e smettere di sperperare denaro pubblico. Facciamo un danno all’Erario e snaturiamo il pensiero di chi ha composto. Possibile che al Maggio fiorentino si abbiano 8 milioni di euro di deficit su un solo anno di programmazione, e poi ci sia chi non ha possibilità di acquistarsi uno strumento? Che ci sia chi prova quasi vergogna a fare musica, invece che gratificazioni?».Puccini lei lo conosce bene, è il presidente del Comitato per le celebrazioni fino a dicembre dell’anno prossimo. Era schierato?«Oggi lo definiremmo qualunquista, forse. Le sue simpatie - ma lo si evince solo dalle lettere, non dalle opere - erano per Bismarck e Crispi. Era un moderato di destra, ecco. Non certamente un rivoluzionario e non un comunista. Nel suo pensiero in musica ci sono le piccole cose, i risvolti della vita, senza eroi o battaglie. Forse politicizzare Verdi sarebbe più sensato, ma con Puccini si fa un crimine, perché non ha scelto di aderire ad alcuna lotta culturale. Tutti sono vittime, in scena».Ma è vero che ha parlato di «purghe staliniane» nei suoi confronti dopo il licenziamento?«E che le devo dire, di fatto sono stato zittito. Non ho alzato alcun pugno al cielo e neanche ho dato segnali politici. Il regista lo ha fatto, e per carità è pure legittimo, ma forse non interessano granché le sue idee in un teatro. Mi sono semplicemente permesso di dissentire con il gesto della maschera sugli occhi, e sono stato licenziato».Sorpreso dalle polemiche?«Non serve più nascondersi dietro a un dito: i teatri sono governati da una vocazione di pensiero che appartiene alla sinistra. Un pensiero unico. Se non hai certe simpatie e non fai parte di un certo mondo, non vieni considerato. C’è una barriera ideologica da anni, che non prevede chi non è allineato. Un ambiente a cui fanno parte i critici musicali in primis, e pure tanti sovrintendenti. Una cerchia, un sistema. Se vuoi farne parte, devi avere certe caratteristiche e tra queste c’è l’adesione a un pensiero di sinistra».Se però il pubblico apprezza…«Il pubblico fischia, invece. O non va più all’opera. Si è arrivati agli eccessi. Vince la volontà di stupire e del “purché se ne parli”: con le provocazioni i cachet aumentano e si viene chiamati da più parti».A scandalizzare molti è stato pure un suo passaggio dal Pd a Fdi: per il partito di Giorgia Meloni si è candidato alle regionali lombarde.«Sono stato nel Pd per anni, sì: mi sono anche candidato con il partito al consiglio regionale della Toscana».E poi?«Sono stato candidato del Terzo Polo per le amministrative di Lucca. Ma sono considerato la persona che ha determinato la vittoria del centrodestra in città perché poi ho spostato la mia posizione».Fino ad arrivare a Fratelli d’Italia. Per un’amicizia con Daniela Santanchè e Ignazio La Russa, giusto? «E non soltanto loro, con tanti di quel gruppo». Li ha sentiti in questi giorni?«Ho espresso loro la mia vicinanza umana. Sono garantista. Ritengo non siano vicende politiche, ma personali».Fatto sta che da sinistra lei è passato alla destra.«Mi sono scoperto vicino ai valori del centrodestra, sì, però si ricordi che non sono esponente di partito, non ho ruoli e nemmeno tessere, al momento». Non sembra però apolitico. «No, anzi, è un impegno da cui non intendo ritirarmi. Voglio contribuire a un cambiamento in tutti i settori, che porti al miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Anche nella cultura».C’entra qualcosa la passione politica di suo padre con la sua?«Mio padre era libero. Molto libero. Si dimise da senatore del Pd per diventare presidente dell’agenzia per il nucleare voluta da Berlusconi. Lo criticarono molto. Lui però pensava che chi fa politiche giuste che servono al Paese va appoggiato». Così è per lei? «Governasse oggi il Pd sarebbe una catastrofe per l’Italia. Mi sembra evidente che multinazionali e grandi gruppi dettano legge, e che il globalismo va a distruggere gli interessi dei cittadini. La sinistra attuale fa parte del sistema, e per un contestatore come me fin dagli anni del liceo…».Racconti.(Ride) «Le dico solo che fui l’unico dei sette fratelli Veronesi a essere espulso dal Leonardo da Vinci a Milano».Era di sinistra, da ragazzo. «Sì sì, la dissi un po’ troppo grossa quella volta. Contestavo il sistema, e proprio per questo oggi sto con Giorgia Meloni. I grandi giornali appartengono a chi ha enormi interessi economici e guarda caso appoggiano il Pd ed Elly Schlein. Eppure dovrebbe essere l’opposto: la sinistra dalla parte del popolo. Così non è, lo dimostrano le elezioni e il fatto che il presidente del Consiglio attuale combatte per creare ricchezza e contro le continue richieste di sussidi che vengono dall’altra parte. I risultati già si vedono, tra Pil e produzione industriale. Altro che chi fa opposizione con notizie anche false, come è successo a me».
Charlie Kirk (Getty Images). Nel riquadro Tyler Robinson