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2021-05-15
Al via il valzer delle fusioni bancarie Parigi schiera l’ex dem di Vedrò
Daniele Franco (Ansa)
«Lo Stato italiano con le Dta ha creato sicuramente un ambiente favorevole e l'ulteriore revisione del decreto conferma che c'è un supporto tecnico per l'attività di fusioni e acquisizioni a livello bancario che continuerà», ha detto qualche giorno fa l'ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ipotizzando nei prossimi 12 mesi «altre operazioni» favorite dalla conversione in crediti d'imposta delle cosiddette imposte differite attive. Ma un anno è lungo, soprattutto ai tempi del post Covid, ovvero quando si manifesteranno sui conti di molte aziende gli effetti devastanti delle chiusure. E l'ex banchiere centrale, Mario Draghi, nella sua veste di presidente del Consiglio, non ha ancora messo mano ufficialmente ai dossier più stringenti come quello del Monte dei Paschi, di cui il Tesoro possiede ancora il 67%. Anzi, nelle ultime conferenze stampa ogni qual volta viene toccato il tema, il premier svicola: «Non so rispondere. È un dossier che non ho ancora visto. Non c'è nessuna strada decisa», aveva detto Draghi lo scorso 8 aprile. Tace anche il ministro dell'Economia, Daniele Franco, assai più riservato e parco di dichiarazioni del suo predecessore Roberto Gualtieri.
A tenere vivo il dibattito nelle sale operative restano, quindi, solo i rumor di mercato che per altro non riportano alternative nuove rispetto ai possibili scenari delineati negli ultimi mesi per il futuro di Siena. Ieri, ad esempio, Repubblica è tornata a parlare dell'ipotesi spezzatino: l'ad di Unicredit Andrea Orcel non sarebbe infatti propenso ad accollarsi tutto il Monte di Stato. Di conseguenza, in attesa degli stress test con cui il 31 luglio la vigilanza dell'Eba (l'Autorità bancaria europea) scoperchierà un deficit patrimoniale su Mps fino a 2,5 miliardi, il socio pubblico inizia a valutare una seconda opzione possibile per rispettare l'impegno preso con la Ue di scendere da Rocca Salimbeni entro aprile 2022. Ovvero mettere sul mercato pezzetti del Monte come alcune attività in Toscana e nel Nord Est, che potrebbero interessare a Orcel. Mentre per le filiali del Sud potrebbe farsi avanti Mcc, la banca pubblica già dotata di 900 milioni a fine 2019 dal governo Conte per salvare la Popolare di Bari e creare un polo bancario nel Mezzogiorno (ma servirebbe un'altra iniezione di liquidità).
Chiusa la pratica Pnrr, però, il cantiere del credito dovrebbe essere aperto. E dalla politica arriva qualche segnale che i motori cominciano a scaldarsi. Il primo, è appunto quello rilevato dall'ad di Mediobanca, ovvero la proroga al giugno 2022 degli incentivi sulla fiscalità differita (le Dta) per le banche che si fondono, inserita dal governo nel decreto Sostegni bis al varo. Proroga che per Mps può valere fino a 3,4 miliardi in capitale. Secondo una simulazione degli analisti di Citi, con un merger Unicredit-Mps il beneficio fiscale sulle Dta atteso è pari allo 0,5%, con una creazione di valore a livello di utile per azione per l'acquirente dell'11%. Mentre con una fusione Unicredit-Mps-Banco Bpm il beneficio fiscale sulle Dta atteso è pari all'1,1%, con una creazione di valore a livello di utile per azione per l'acquirente del 17%. Infine, nel caso di integrazione tra Bper e Mps, il beneficio fiscale sulle Dta è stimato all'1,8% con una creazione di valore a livello di utile per azione per l'acquirente del 18%.
In ballo c'è infatti anche la nascita di un terzo polo bancario, a fianco delle due big Intesa e Unicredit, di cui si parla ormai dai anni per consolidare il sistema con il coinvolgimento delle Popolari come il Banco Bpm. Resta da capire se nelle prossime mosse del risiko avranno un ruolo attori stranieri, e in particolare francesi. A cominciare dal Crédit Agricole che però è reduce dall'Opa sul Creval e non guarda per ora ad altre operazioni in Italia, ha detto il 7 maggio il cfo, Jérôme Grivet, aggiungendo che la banca «prenderà le opportunità quando si presenteranno». Agli appassionati di poltrone, non è comunque passata inosservata la nomina nel cda della cosiddetta «Banque verte» di Alessia Mosca in sostituzione della consigliera Caroline Catoire. Ex deputata Pd, vicina a Vedrò, autrice della legge del 2011 sulle quote di genere nei consigli di amministrazione, (Legge Golfo Mosca), ex parlamentare europea, la Mosca oggi è visiting professor all'università Sciences Po di Parigi, dove tiene un corso di Eu trade policy. E soprattutto è una lettiana di ferro dal 2000. Quando a inizio marzo Enrico Letta è stato eletto alla segreteria del Partito democratico, ha lasciato il timone dell'Associazione Italia-Asean (fondata per favorire e stimolare le relazioni con i dieci Paesi del Sud Est asiatico) a Romano Prodi nominando proprio la Mosca - già segretario generale dell'associazione - vicepresidente esecutivo. Sul suo sito personale la neo consigliera di amministrazione dell'Agricole ha scritto: «A Enrico mi legano condivisione di principi, stima e affetto. Lo sostengo e lo sosterrò in questa sfida cruciale per il Paese e per il partito. Sostegno che verrà nelle modalità consentitemi dai ruoli che ricopro e mi troverò a ricoprire».
Bandiera francese su Piazza Affari
Sventola la bandiera della Francia su Piazza Affari e spicca l'assenza degli azionisti italiani, Cdp in testa, e di un'azione del governo per tutelare la piazza finanziaria italiana. In seguito all'acquisizione di Euronext - i nuovi proprietari di Borsa italiana dopo un acquisto da 4,3 miliardi di euro - si sono insediati i nuovi consigli di amministrazione anche delle partecipate della società che gestisce il mercato finanziario italiano. E come negli altri listini federati con il gruppo francese, c'è stato un ingresso massiccio di manager transalpini. C'era da aspettarselo, anche perché come nei casi di Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, Oslo e Dublino, l'obiettivo di Euronext è quello di una maggiore europeizzazione del gruppo. Che passa logicamente da una nuova miscelazione all'interno dei board di comando. Eppure c'è già chi in Parlamento inizia a storcere il naso e sembrano concretizzarsi i timori del Copasir. Anche perché nonostante l'investimento di Cassa depositi e prestiti, che vanta il 7,3 % dell'azionariato, la rappresentanza italiana appare ancora molto debole. Negli ambienti finanziari già si sprecano i paragoni con il caso Stellantis, nata dalla fusione tra Psa e Fca. Anche in questo caso la maggior parte dei manager è francese, il doppio di quelli italiani.
Le nomine in Piazza Affari non fanno di sicuro ben sperare i tifosi dell'italianità. Certo, al momento vengono confermati i vertici di Borsa italiana, con il presidente Andrea Sironi, il vice Claudia Parzani e l'amministratore delegato Raffaele Jerusalmi. Ma nel consiglio invece si fa sentire l'ingresso del ceo di Euronext Stéphane Boujnah, insieme con l'attuale cfo della Borsa paneuropea. Un altro posto va a Anne Giviskos, un passato in Pwc, da sette anni in Euronext come chief risk & compliance officer. Ci sarà anche Giorgio Modica, come amministratore con delega alla Finanza, quindi Barbara Alemanni, che è anche nel consiglio di amministrazione di Fincantieri, Gianluca Garbi, che vanta una lunga esperienza di mercati, e Paolo Marchesini. Escono Barbara Lunghi, Lorenzo Guasco, Massimo Mocio, Francesco Perilli.
Per Elite, invece, il programma di Borsa italiana per la formazione e il tutoring delle imprese, quindi a stretto contatto con le nostre realtà industriali, il nuovo presidente sarà Anthony Attia, responsabile mercati di Euronext. Come amministratore delegato viene confermata Marta Testi. Altri consiglieri sono Ghislain Bardon, manager di Euronext, Orla O'Gorman della federata irlandese, quindi Luca Lo Piccolo per Cdp (già presente e riconfermato) e Tommaso Paoli. Anche in Monte titoli arriva come presidente un francese. È Pierre Davoust, già nel board della capogruppo, quindi Mauro Dognini, Modica, Paolo Cittadini, Maria Cannata e Francesca Fiore.
Spinoso pure il capitolo Mts. Il capitale del mercato dei nostri titoli di Stato è diviso tra il 60% Euronext e il 40% delle banche (di cui Jp Morgan, Imi, Dd, Citibank, Barclays e le banche francesi Bnp-Socgen-calyon insieme con quote pari o superiori al 5%). Per statuto, le banche che hanno una partecipazione pari o superiore al 5% hanno diritto a un posto nel board. Il consiglio di amministrazione è composto da 15 membri di cui Euronext ne ha nominati sette. Fabrizio Testa viene confermato ad, dall'Olanda arriva Simone Huis In't Veld, quindi ancora Attia, la francese Delphine d'Amarzit (attuale ceo Borsa di Parigi), Chris Topple e Georges Lauchard. I sei nominati dalle banche vengono tutti riconfermati. Mentre restano i due indipendenti, Cannata come presidente indicata dal Mef e Mario Quarti. I membri nominati da Euronext, a eccezione di Testa, sono nuovi e sostituiscono Jerusalmi, Pietro Poletto, Valentina Sidoti, Lorenzo Guasco e due consiglieri inglesi di London stock exchange, tutti dimissionari.
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La proroga delle Dta al 2022 spinge alle nozze. I primi nodi riguardano Mps (avanza l'ipotesi spezzatino) e terzo polo, con il coinvolgimento delle Popolari. La lettiana Alessia Mosca entra nel cda di Crédit AgricolePrime nomine in Borsa italiana e nelle controllate dopo l'acquisto da parte di Euronext, con un massiccio arrivo di manager transalpini. I timori del Copasir diventano realtàLo speciale contiene due articoli«Lo Stato italiano con le Dta ha creato sicuramente un ambiente favorevole e l'ulteriore revisione del decreto conferma che c'è un supporto tecnico per l'attività di fusioni e acquisizioni a livello bancario che continuerà», ha detto qualche giorno fa l'ad di Mediobanca, Alberto Nagel, ipotizzando nei prossimi 12 mesi «altre operazioni» favorite dalla conversione in crediti d'imposta delle cosiddette imposte differite attive. Ma un anno è lungo, soprattutto ai tempi del post Covid, ovvero quando si manifesteranno sui conti di molte aziende gli effetti devastanti delle chiusure. E l'ex banchiere centrale, Mario Draghi, nella sua veste di presidente del Consiglio, non ha ancora messo mano ufficialmente ai dossier più stringenti come quello del Monte dei Paschi, di cui il Tesoro possiede ancora il 67%. Anzi, nelle ultime conferenze stampa ogni qual volta viene toccato il tema, il premier svicola: «Non so rispondere. È un dossier che non ho ancora visto. Non c'è nessuna strada decisa», aveva detto Draghi lo scorso 8 aprile. Tace anche il ministro dell'Economia, Daniele Franco, assai più riservato e parco di dichiarazioni del suo predecessore Roberto Gualtieri. A tenere vivo il dibattito nelle sale operative restano, quindi, solo i rumor di mercato che per altro non riportano alternative nuove rispetto ai possibili scenari delineati negli ultimi mesi per il futuro di Siena. Ieri, ad esempio, Repubblica è tornata a parlare dell'ipotesi spezzatino: l'ad di Unicredit Andrea Orcel non sarebbe infatti propenso ad accollarsi tutto il Monte di Stato. Di conseguenza, in attesa degli stress test con cui il 31 luglio la vigilanza dell'Eba (l'Autorità bancaria europea) scoperchierà un deficit patrimoniale su Mps fino a 2,5 miliardi, il socio pubblico inizia a valutare una seconda opzione possibile per rispettare l'impegno preso con la Ue di scendere da Rocca Salimbeni entro aprile 2022. Ovvero mettere sul mercato pezzetti del Monte come alcune attività in Toscana e nel Nord Est, che potrebbero interessare a Orcel. Mentre per le filiali del Sud potrebbe farsi avanti Mcc, la banca pubblica già dotata di 900 milioni a fine 2019 dal governo Conte per salvare la Popolare di Bari e creare un polo bancario nel Mezzogiorno (ma servirebbe un'altra iniezione di liquidità). Chiusa la pratica Pnrr, però, il cantiere del credito dovrebbe essere aperto. E dalla politica arriva qualche segnale che i motori cominciano a scaldarsi. Il primo, è appunto quello rilevato dall'ad di Mediobanca, ovvero la proroga al giugno 2022 degli incentivi sulla fiscalità differita (le Dta) per le banche che si fondono, inserita dal governo nel decreto Sostegni bis al varo. Proroga che per Mps può valere fino a 3,4 miliardi in capitale. Secondo una simulazione degli analisti di Citi, con un merger Unicredit-Mps il beneficio fiscale sulle Dta atteso è pari allo 0,5%, con una creazione di valore a livello di utile per azione per l'acquirente dell'11%. Mentre con una fusione Unicredit-Mps-Banco Bpm il beneficio fiscale sulle Dta atteso è pari all'1,1%, con una creazione di valore a livello di utile per azione per l'acquirente del 17%. Infine, nel caso di integrazione tra Bper e Mps, il beneficio fiscale sulle Dta è stimato all'1,8% con una creazione di valore a livello di utile per azione per l'acquirente del 18%.In ballo c'è infatti anche la nascita di un terzo polo bancario, a fianco delle due big Intesa e Unicredit, di cui si parla ormai dai anni per consolidare il sistema con il coinvolgimento delle Popolari come il Banco Bpm. Resta da capire se nelle prossime mosse del risiko avranno un ruolo attori stranieri, e in particolare francesi. A cominciare dal Crédit Agricole che però è reduce dall'Opa sul Creval e non guarda per ora ad altre operazioni in Italia, ha detto il 7 maggio il cfo, Jérôme Grivet, aggiungendo che la banca «prenderà le opportunità quando si presenteranno». Agli appassionati di poltrone, non è comunque passata inosservata la nomina nel cda della cosiddetta «Banque verte» di Alessia Mosca in sostituzione della consigliera Caroline Catoire. Ex deputata Pd, vicina a Vedrò, autrice della legge del 2011 sulle quote di genere nei consigli di amministrazione, (Legge Golfo Mosca), ex parlamentare europea, la Mosca oggi è visiting professor all'università Sciences Po di Parigi, dove tiene un corso di Eu trade policy. E soprattutto è una lettiana di ferro dal 2000. Quando a inizio marzo Enrico Letta è stato eletto alla segreteria del Partito democratico, ha lasciato il timone dell'Associazione Italia-Asean (fondata per favorire e stimolare le relazioni con i dieci Paesi del Sud Est asiatico) a Romano Prodi nominando proprio la Mosca - già segretario generale dell'associazione - vicepresidente esecutivo. Sul suo sito personale la neo consigliera di amministrazione dell'Agricole ha scritto: «A Enrico mi legano condivisione di principi, stima e affetto. Lo sostengo e lo sosterrò in questa sfida cruciale per il Paese e per il partito. Sostegno che verrà nelle modalità consentitemi dai ruoli che ricopro e mi troverò a ricoprire». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/al-via-il-valzer-delle-fusioni-bancarie-parigi-schiera-lex-dem-di-vedro-2652988457.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="bandiera-francese-su-piazza-affari" data-post-id="2652988457" data-published-at="1621016721" data-use-pagination="False"> Bandiera francese su Piazza Affari Sventola la bandiera della Francia su Piazza Affari e spicca l'assenza degli azionisti italiani, Cdp in testa, e di un'azione del governo per tutelare la piazza finanziaria italiana. In seguito all'acquisizione di Euronext - i nuovi proprietari di Borsa italiana dopo un acquisto da 4,3 miliardi di euro - si sono insediati i nuovi consigli di amministrazione anche delle partecipate della società che gestisce il mercato finanziario italiano. E come negli altri listini federati con il gruppo francese, c'è stato un ingresso massiccio di manager transalpini. C'era da aspettarselo, anche perché come nei casi di Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, Oslo e Dublino, l'obiettivo di Euronext è quello di una maggiore europeizzazione del gruppo. Che passa logicamente da una nuova miscelazione all'interno dei board di comando. Eppure c'è già chi in Parlamento inizia a storcere il naso e sembrano concretizzarsi i timori del Copasir. Anche perché nonostante l'investimento di Cassa depositi e prestiti, che vanta il 7,3 % dell'azionariato, la rappresentanza italiana appare ancora molto debole. Negli ambienti finanziari già si sprecano i paragoni con il caso Stellantis, nata dalla fusione tra Psa e Fca. Anche in questo caso la maggior parte dei manager è francese, il doppio di quelli italiani. Le nomine in Piazza Affari non fanno di sicuro ben sperare i tifosi dell'italianità. Certo, al momento vengono confermati i vertici di Borsa italiana, con il presidente Andrea Sironi, il vice Claudia Parzani e l'amministratore delegato Raffaele Jerusalmi. Ma nel consiglio invece si fa sentire l'ingresso del ceo di Euronext Stéphane Boujnah, insieme con l'attuale cfo della Borsa paneuropea. Un altro posto va a Anne Giviskos, un passato in Pwc, da sette anni in Euronext come chief risk & compliance officer. Ci sarà anche Giorgio Modica, come amministratore con delega alla Finanza, quindi Barbara Alemanni, che è anche nel consiglio di amministrazione di Fincantieri, Gianluca Garbi, che vanta una lunga esperienza di mercati, e Paolo Marchesini. Escono Barbara Lunghi, Lorenzo Guasco, Massimo Mocio, Francesco Perilli. Per Elite, invece, il programma di Borsa italiana per la formazione e il tutoring delle imprese, quindi a stretto contatto con le nostre realtà industriali, il nuovo presidente sarà Anthony Attia, responsabile mercati di Euronext. Come amministratore delegato viene confermata Marta Testi. Altri consiglieri sono Ghislain Bardon, manager di Euronext, Orla O'Gorman della federata irlandese, quindi Luca Lo Piccolo per Cdp (già presente e riconfermato) e Tommaso Paoli. Anche in Monte titoli arriva come presidente un francese. È Pierre Davoust, già nel board della capogruppo, quindi Mauro Dognini, Modica, Paolo Cittadini, Maria Cannata e Francesca Fiore. Spinoso pure il capitolo Mts. Il capitale del mercato dei nostri titoli di Stato è diviso tra il 60% Euronext e il 40% delle banche (di cui Jp Morgan, Imi, Dd, Citibank, Barclays e le banche francesi Bnp-Socgen-calyon insieme con quote pari o superiori al 5%). Per statuto, le banche che hanno una partecipazione pari o superiore al 5% hanno diritto a un posto nel board. Il consiglio di amministrazione è composto da 15 membri di cui Euronext ne ha nominati sette. Fabrizio Testa viene confermato ad, dall'Olanda arriva Simone Huis In't Veld, quindi ancora Attia, la francese Delphine d'Amarzit (attuale ceo Borsa di Parigi), Chris Topple e Georges Lauchard. I sei nominati dalle banche vengono tutti riconfermati. Mentre restano i due indipendenti, Cannata come presidente indicata dal Mef e Mario Quarti. I membri nominati da Euronext, a eccezione di Testa, sono nuovi e sostituiscono Jerusalmi, Pietro Poletto, Valentina Sidoti, Lorenzo Guasco e due consiglieri inglesi di London stock exchange, tutti dimissionari.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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