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2024-01-07
Al MART di Rovereto, Albrecht Dürer dialoga con l’arte del Novecento
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Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e curata da Daniela Ferrari e Stefano Roffi, la tradizionale mostra invernale del MART parte da Albrecht Dürer (1471-1528) e da alcuni suoi celebri capolavori – lo straordinario dipinto Madonna col bambino in primis, seguito da una serie di incisioni, tra le quali spiccano Adamo ed Eva e Melencolia I, senza dubbio la più conosciuta ed enigmatica tra quelle realizzate dal «Maestro di Norimberga» - per indagare due tematiche di portata universale, da sempre soggetti prediletti di studio di filosofi e pensatori : la maternità e la malinconia. Due leitmotiv di grande interesse, che quest’esposizione indaga mettendo «in dialogo» i lavori di Dürer, senza ombra di dubbio il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale, con quelli dei grandi Maestri del ‘900: il risultato è un percorso espositivo di grande originalità, un viaggio nel tempo (oltre che nella storia dell’arte) che regala al visitatore il privilegio di ammirare - partendo proprio dai capolavori di Dürer - pietre miliari dell’arte italiana moderna e contemporanea.
A cominciare da due preziose incisioni di Giorgio Morandi (Natura morta con pane e limone del 1921 e Grande natura morta scura, del 1934) e dallo straordinario Autoritratto con il fratello di Giorgio de Chirico, opera eseguita nel 1924, non esposta al pubblico per decenni e solo recentemente entrata a far delle Collezioni del Mart. Altro gioiello in mostra - e splendida «declinazione» del tema della maternità - è la scultura, levigata e perfetta, di Adolfo Wildt Madre (Madre Ravera,1929), che concentra nell’espressività dolente del volto il ritratto della rassegnazione disperata e impotente di fronte alla morte: un’opera magistrale, in cui il chiaro richiamo all’iconografia cristiana - la donna ritratta sembra una Madonna rinascimentale - assume un valore più umano, spirituale e terreno.
Una Vergine moderna, a metà fra il sacro e il profano, è invece la madre ritratta da Gino Severini in Maternità (1916): la modella, di una bellezza straniante e atemporale, è la moglie Jeanne, che nell’ amorevole atto di allattare il figlioletto diventa incarnazione di una Madonna contemporanea. Anche in Felice Casorati , che di Severini è amico e contemporaneo, ricorre spesso il tema degli affetti familiari, materni soprattutto e le sue madri - nell’ampia parabola della sua ricerca artistica - assumono una dimensione quasi sacra, pur nella loro compostezza e semplicità. Come la donna raffigurata in L’attesa (1918), un’opera che ha molti significati e che, in questa mostra in particolare, può essere anche vista come il trait d'union fra il tema della mater e quello della melancholia, quella malinconia che, in un tuttuno con la nostalgia, la solitudine e la fascinazione del mistero, per Giorgio de Chirico (ma anche per Severini, Morandi, Casorati, Martini e altri esponenti delle avanguardie del primo Novecento) diventa una condizione esistenziale, di vita e di arte.
Una malinconia che è tensione interiore, che può albergare in noi stessi e negli ambienti silenti, che può essere anche nostalgia associata alla partenza (come in un busto di Arturo Martini, che modella in terracotta il volto della figlia Maria, chiamata affettuosamente Nena) o profondo, muto, doloroso sconforto, come ben rappresentato ne Il solitario (1937) di Emanuele Cavalli. Una malinconia «avvolgente » e cupa, la stessa che si ritrova nelle due tele he chiudono il percorso espositivo: Chiaro di luna (1891) di Gaetano Previati e Vertigine (2023) dell’artista contemporaneo Michele Parisi.
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Sino al 3 marzo 2024, in mostra al MART di Rovereto la celebre Madonna col Bambino e una serie di incisioni di Albrecht Dürer - tutte provenienti dalla prestigiosa collezione della Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo - in un dialogo appassionante con le opere di grandi artisti del XX secolo, da Boccioni a Casorati, da De Chirico a Wildt. Filo conduttore: mater et melancholia, la maternità e la melanconia.Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi e curata da Daniela Ferrari e Stefano Roffi, la tradizionale mostra invernale del MART parte da Albrecht Dürer (1471-1528) e da alcuni suoi celebri capolavori – lo straordinario dipinto Madonna col bambino in primis, seguito da una serie di incisioni, tra le quali spiccano Adamo ed Eva e Melencolia I, senza dubbio la più conosciuta ed enigmatica tra quelle realizzate dal «Maestro di Norimberga» - per indagare due tematiche di portata universale, da sempre soggetti prediletti di studio di filosofi e pensatori : la maternità e la malinconia. Due leitmotiv di grande interesse, che quest’esposizione indaga mettendo «in dialogo» i lavori di Dürer, senza ombra di dubbio il massimo esponente della pittura tedesca rinascimentale, con quelli dei grandi Maestri del ‘900: il risultato è un percorso espositivo di grande originalità, un viaggio nel tempo (oltre che nella storia dell’arte) che regala al visitatore il privilegio di ammirare - partendo proprio dai capolavori di Dürer - pietre miliari dell’arte italiana moderna e contemporanea. A cominciare da due preziose incisioni di Giorgio Morandi (Natura morta con pane e limone del 1921 e Grande natura morta scura, del 1934) e dallo straordinario Autoritratto con il fratello di Giorgio de Chirico, opera eseguita nel 1924, non esposta al pubblico per decenni e solo recentemente entrata a far delle Collezioni del Mart. Altro gioiello in mostra - e splendida «declinazione» del tema della maternità - è la scultura, levigata e perfetta, di Adolfo Wildt Madre (Madre Ravera,1929), che concentra nell’espressività dolente del volto il ritratto della rassegnazione disperata e impotente di fronte alla morte: un’opera magistrale, in cui il chiaro richiamo all’iconografia cristiana - la donna ritratta sembra una Madonna rinascimentale - assume un valore più umano, spirituale e terreno. Una Vergine moderna, a metà fra il sacro e il profano, è invece la madre ritratta da Gino Severini in Maternità (1916): la modella, di una bellezza straniante e atemporale, è la moglie Jeanne, che nell’ amorevole atto di allattare il figlioletto diventa incarnazione di una Madonna contemporanea. Anche in Felice Casorati , che di Severini è amico e contemporaneo, ricorre spesso il tema degli affetti familiari, materni soprattutto e le sue madri - nell’ampia parabola della sua ricerca artistica - assumono una dimensione quasi sacra, pur nella loro compostezza e semplicità. Come la donna raffigurata in L’attesa (1918), un’opera che ha molti significati e che, in questa mostra in particolare, può essere anche vista come il trait d'union fra il tema della mater e quello della melancholia, quella malinconia che, in un tuttuno con la nostalgia, la solitudine e la fascinazione del mistero, per Giorgio de Chirico (ma anche per Severini, Morandi, Casorati, Martini e altri esponenti delle avanguardie del primo Novecento) diventa una condizione esistenziale, di vita e di arte. Una malinconia che è tensione interiore, che può albergare in noi stessi e negli ambienti silenti, che può essere anche nostalgia associata alla partenza (come in un busto di Arturo Martini, che modella in terracotta il volto della figlia Maria, chiamata affettuosamente Nena) o profondo, muto, doloroso sconforto, come ben rappresentato ne Il solitario (1937) di Emanuele Cavalli. Una malinconia «avvolgente » e cupa, la stessa che si ritrova nelle due tele he chiudono il percorso espositivo: Chiaro di luna (1891) di Gaetano Previati e Vertigine (2023) dell’artista contemporaneo Michele Parisi.
Il motore è un modello di ricavi sempre più orientato ai servizi: «La crescita facile basata sulla forbice degli interessi sta inevitabilmente assottigliandosi, con il margine di interesse aggregato in calo del 5,6% nei primi nove mesi del 2025», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert Scf. «Il settore ha saputo, però, compensare questa dinamica spingendo sul secondo pilastro dei ricavi, le commissioni nette, che sono cresciute del 5,9% nello stesso periodo, grazie soprattutto alla focalizzazione su gestione patrimoniale e bancassurance».
La crescita delle commissioni riflette un’evoluzione strutturale: le banche agiscono sempre più come collocatori di prodotti finanziari e assicurativi. «Questo modello, se da un lato genera profitti elevati e stabili per gli istituti con minori vincoli di capitale e minor rischio di credito rispetto ai prestiti, dall’altro espone una criticità strutturale per i risparmiatori», dice Gaziano. «L’Italia è, infatti, il mercato in Europa in cui il risparmio gestito è il più caro», ricorda. Ne deriva una redditività meno dipendente dal credito, ma con un tema di costo per i clienti. La «corsa turbo» agli utili ha riacceso il dibattito sugli extra-profitti. In Italia, la legge di bilancio chiede un contributo al settore con formule che evitano una nuova tassa esplicita.
«È un dato di fatto che il governo italiano stia cercando una soluzione morbida per incassare liquidità da un settore in forte attivo, mentre in altri Paesi europei si discute apertamente di tassare questi extra-profitti in modo più deciso», dice l’esperto. «Ad esempio, in Polonia il governo ha recentemente aumentato le tasse sulle banche per finanziare le spese per la Difesa. È curioso notare come, alla fine, i governi preferiscano accontentarsi di un contributo una tantum da parte delle banche, piuttosto che intervenire sulle dinamiche che generano questi profitti che ricadono direttamente sui risparmiatori».
Come spiega David Benamou, responsabile investimenti di Axiom alternative investments, «le banche italiane rimangono interessanti grazie ai solidi coefficienti patrimoniali (Cet1 medio superiore al 15%), alle generose distribuzioni agli azionisti (riacquisti di azioni proprie e dividendi che offrono rendimenti del 9-10%) e al consolidamento in corso che rafforza i gruppi leader, Unicredit e Intesa Sanpaolo. Il settore in Italia potrebbe sovraperformare il mercato azionario in generale se le valutazioni rimarranno basse. Non mancano, tuttavia, rischi come un moderato aumento dei crediti in sofferenza o gli choc geopolitici, che smorzano l’ottimismo».
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Il 29 luglio del 2024, infatti, Axel Rudakubana, cittadino britannico con genitori di origini senegalesi, entra in una scuola di danza a Southport con un coltello in mano. Inizia a colpire chiunque gli si pari davanti, principalmente bambine, che provano a difendersi come possono. Invano, però. Rudakubana vuole il sangue. Lo avrà. Sono 12 minuti che durano un’eternità e che provocheranno una carneficina. Rudakubana uccide tre bambine: Alice da Silva Aguiar, di nove anni; Bebe King, di sei ed Elsie Dot Stancombe, di sette. Altri dieci bimbi rimarranno feriti, alcuni in modo molto grave.
Nel Regno Unito cresce lo sdegno per questo ennesimo fatto di sangue che ha come protagonista un uomo di colore. Anche Michael dice la sua con un video di 12 minuti su Facebook. Viene accusato di incitamento all’odio razziale ma, quando va davanti al giudice, viene scagionato in una manciata di minuti. Non ha fatto nulla. Era frustrato, come gran parte dei britannici. Ha espresso la sua opinione. Tutto è bene quel che finisce bene, quindi. O forse no.
Due settimane dopo, infatti, il consiglio di tutela locale, che per legge è responsabile della protezione dei bambini vulnerabili, gli comunica che non è più idoneo a lavorare con i minori. Una decisione che lascia allibiti molti, visto che solitamente punizioni simili vengono riservate ai pedofili. Michael non lo è, ovviamente, ma non può comunque allenare la squadra della figlia. Di fronte a questa decisione, il veterano prova un senso di vergogna. Decide di parlare perché teme che la sua comunità lo consideri un pedofilo quando non lo è. In pochi lo ascoltano, però. Quasi nessuno. Il suo non è un caso isolato. Solamente l’anno scorso, infatti, oltre 12.000 britannici sono stati monitorati per i loro commenti in rete. A finire nel mirino sono soprattutto coloro che hanno idee di destra o che criticano l’immigrazione. Anche perché le istituzioni del Regno Unito cercano di tenere nascoste le notizie che riguardano le violenze dei richiedenti asilo. Qualche giorno fa, per esempio, una studentessa è stata violentata da due afghani, Jan Jahanzeb e Israr Niazal. I due le si avvicinano per portarla in un luogo appartato. La ragazza capisce cosa sta accadendo. Prova a fuggire ma non riesce. Accende la videocamera e registra tutto. La si sente pietosamente dire «mi stuprerai?» e gridare disperatamente aiuto. Che però non arriva. Il video è terribile, tanto che uno degli avvocati degli stupratori ha detto che, se dovesse essere pubblicato, il Regno Unito verrebbe attraversato da un’ondata di proteste. Che già ci sono. Perché l’immigrazione incontrollata sull’isola (e non solo) sta provocando enormi sofferenze alla popolazione locale. Nel Regno, certo. Ma anche da noi. Del resto è stato il questore di Milano a notare come gli stranieri compiano ormai l’80% dei reati predatori. Una vera e propria emergenza che, per motivi ideologici, si finge di non vedere.
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Una fotografia limpida e concreta di imprese, giustizia, legalità e creatività come parti di un’unica storia: quella di un Paese, il nostro, che ogni giorno prova a crescere, migliorarsi e ritrovare fiducia.
Un percorso approfondito in cui ci guida la visione del sottosegretario alle Imprese e al Made in Italy Massimo Bitonci, che ricostruisce lo stato del nostro sistema produttivo e il valore strategico del made in Italy, mettendo in evidenza il ruolo della moda e dell’artigianato come forza identitaria ed economica. Un contributo arricchito dall’esperienza diretta di Giulio Felloni, presidente di Federazione Moda Italia-Confcommercio, e dal suo quadro autentico del rapporto tra imprese e consumatori.
Imprese in cui la creatività italiana emerge, anche attraverso parole diverse ma complementari: quelle di Sara Cavazza Facchini, creative director di Genny, che condivide con il lettore la sua filosofia del valore dell’eleganza italiana come linguaggio culturale e non solo estetico; quelle di Laura Manelli, Ceo di Pinko, che racconta la sua visione di una moda motore di innovazione, competenze e occupazione. A completare questo quadro, la giornalista Mariella Milani approfondisce il cambiamento profondo del fashion system, ponendo l’accento sul rapporto tra brand, qualità e responsabilità sociale. Il tema di responsabilità sociale viene poi ripreso e approfondito, attraverso la chiave della legalità e della trasparenza, dal presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Giuseppe Busia, che vede nella lotta alla corruzione la condizione imprescindibile per la competitività del Paese: norme più semplici, controlli più efficaci e un’amministrazione capace di meritarsi la fiducia di cittadini e aziende. Una prospettiva che si collega alla voce del presidente nazionale di Confartigianato Marco Granelli, che denuncia la crescente vulnerabilità digitale delle imprese italiane e l’urgenza di strumenti condivisi per contrastare truffe, attacchi informatici e forme sempre nuove di criminalità economica.
In questo contesto si introduce una puntuale analisi della riforma della giustizia ad opera del sottosegretario Andrea Ostellari, che illustra i contenuti e le ragioni del progetto di separazione delle carriere, con l’obiettivo di spiegare in modo chiaro ciò che spesso, nel dibattito pubblico, resta semplificato. Il suo intervento si intreccia con il punto di vista del presidente dell’Unione Camere Penali Italiane Francesco Petrelli, che sottolinea il valore delle garanzie e il ruolo dell’avvocatura in un sistema equilibrato; e con quello del penalista Gian Domenico Caiazza, presidente del Comitato «Sì Separa», che richiama l’esigenza di una magistratura indipendente da correnti e condizionamenti. Questa narrazione attenta si arricchisce con le riflessioni del penalista Raffaele Della Valle, che porta nel dibattito l’esperienza di una vita professionale segnata da casi simbolici, e con la voce dell’ex magistrato Antonio Di Pietro, che offre una prospettiva insolita e diretta sui rapporti interni alla magistratura e sul funzionamento del sistema giudiziario.
A chiudere l’approfondimento è il giornalista Fabio Amendolara, che indaga il caso Garlasco e il cosiddetto «sistema Pavia», mostrando come una vicenda giudiziaria complessa possa diventare uno specchio delle fragilità che la riforma tenta oggi di correggere. Una coralità sincera e documentata che invita a guardare l’Italia con più attenzione, con più consapevolezza, e con la certezza che il merito va riconosciuto e difeso, in quanto unica chiave concreta per rendere migliore il Paese. Comprenderlo oggi rappresenta un'opportunità in più per costruire il domani.
Per scaricare il numero di «Osservatorio sul Merito» basta cliccare sul link qui sotto.
Merito-Dicembre-2025.pdf
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