2019-02-11
Ai renziani si perdona pure il conflitto di interessi
Nell'ultimo quarto di secolo siamo stati accompagnati da un ricorrente argomento: il conflitto d'interessi. Da quando, nel 1994, Silvio Berlusconi si affacciò sulla scena politica, la sinistra ha infatti usato contro di lui la questione degli affari, brandendola come arma per fermarne l'avanzata.La tesi principale, ripetuta a rullo affinché entrasse nella testa di ogni italiano, era che a Palazzo Chigi non potesse esserci un presidente del Consiglio con interessi diversi da quelli politici. In particolare, al Cavaliere doveva essere proibita qualsiasi distrazione imprenditoriale. Nel rosario di soluzioni proposte per ovviare all'inconveniente di un leader in affari con varie società, negli ultimi 25 anni sono state suggerite l'ineleggibilità dello stesso Berlusconi, il blind trust (ossia la cessione a una amministrazione terza delle sue aziende) e perfino la vendita coatta del patrimonio del fondatore di Forza Italia.L'argomento, giudicato tanto urgente da occupare per anni il dibattito politico, da qualche tempo però non è più ritenuto di stretta attualità: guarda caso, proprio in coincidenza con la cacciata del Cavaliere dal Parlamento. Eppure il conflitto di interessi è una questione che riguarda anche persone che non sono direttamente concessionari dello Stato, come lo è il capo di Forza Italia, ma anche chi, oltre all'attività politica, ne svolga una professionale. È il caso che il nostro Giacomo Amadori racconta oggi su La Verità. La vicenda è venuta alla luce insieme con l'arresto di Luca Parnasi, il costruttore romano accusato di essere eccessivamente disinvolto e soprattutto di aver finanziato una fondazione vicina al Pd e un'altra molto cara alla Lega, operazione per la quale è stato chiesto il rinvio a giudizio dell'imprenditore. Per la faccenda dei soldi «donati» ai due enti sono finiti indagati sia il tesoriere del Partito democratico che quello del Carroccio. Ma fin qui siamo alla cronaca giudiziaria degli ultimi mesi. Ciò che il nostro Amadori ha scoperto è però altro. Tempo fa le aziende di Parnasi hanno avuto qualche guaio con il fisco. Sono ovviamente cose che capitano a molti imprenditori i quali, a torto o a ragione, si vedono contestate fatture e adempimenti e, spesso, sono condannati a restituire allo Stato una montagna di quattrini a cui si sommano penali e interessi. Il costruttore, che ha di recente ottenuto di edificare il nuovo stadio della Roma, però, quando si è trovato nei guai con il fisco ha potuto contare su un consulente d'eccezione. Già, perché mentre la maggioranza degli imprenditori è costretta a trovarsi in fretta e furia un fiscalista che sia in grado di dialogare con l'Agenzia delle entrate, fermando la macchina infernale del fisco, Parnasi ha avuto la fortuna di incontrare Francesco Bonifazi. Vi chiedete chi sia questo unto del Signore capace di trattare con i temibili esattori delle tasse? Semplice: Bonifazi è un avvocato fiorentino che incidentalmente è anche il tesoriere del Pd, oltre che l'anima della fondazione finanziata da Parnasi. Di lui si sa che in passato è stato il fidanzato di Maria Elena Boschi e che attualmente ha come socio nel suo studio il fratello dell'ex ministro delle riforme, ovvero un ex funzionario di Banca Etruria. Ah, dimenticavamo: Bonifazi, che è ritenuto un esponente del Giglio magico, ossia dell'entourage che ruota intorno all'ex presidente del Consiglio Matteo Renzi, nella scorsa legislatura ha anche ricoperto l'incarico di commissario nella Bicamerale che si occupò di indagare sui crac bancari, tra i primi quello della Popolare dell'Etruria.Insomma, mesi fa, quando all'improvviso l'Agenzia delle entrate ha reclamato imposte non pagate per decine di milioni, minacciando di far fallire l'azienda, l'imprenditore finito al gabbio a chi poteva rivolgersi per convincere il fisco a non essere troppo rigido se non a Bonifazi? Infatti Parsitalia, per intrattenere le relazioni con l'Agenzia delle entrate e il suo braccio armato Equitalia, si è rivolta allo studio Bl di Firenze, ovvero Bonifazi e Lovandina. Per fortuna di Parnasi, di fronte alle solide argomentazioni dello studio di professionisti toscani fondato dal tesoriere del Pd, il fisco ha messo da parte le sue pretese, rinunciando a far fallire l'azienda del costruttore, come all'inizio pareva nelle sue intenzioni.Certo, qualcuno potrebbe obiettare che il tesoriere del Pd, ovvero colui che nel passato si occupò del crac di Banca Etruria, ossia dell'istituto di cui era vicepresidente il papà della Boschi, interpreta un po' troppe parti in commedia. A volte è il cassiere del Partito democratico, altre è il punto di riferimento della fondazione vicina al Pd che riceve finanziamenti da Parnasi, altre ancora è il commissario che indaga sui fallimenti bancari e poi trova pure il tempo di perorare le cause fiscali dell'azienda che ha finanziato la sua fondazione. Non vi dovete però stupire. Il conflitto di interessi era una questione vitale solo quando c'era Berlusconi. Con Renzi e compagni non ci sono conflitti, ma solo interessi. Ovviamente a favore dell'Italia. Perché nel Pd pensano solo a far crescere il Paese, mica ad altro.