2019-06-13
Agli arresti per corruzione Arata, l’imprenditore al centro del caso Siri
Manette anche per uno dei figli: facevano affari con la famiglia di Vito Nicastri, re dell'eolico in Sicilia sospettato di avere legami con Matteo Messina Denaro. Neanche i domiciliari fermarono il loro business. Si è presentato dicendo di essere «Arata, il socio di... di Vito». E, se fino a quel momento i magistrati avevano solo dei sospetti, Paolo Arata, docente universitario, ex deputato di Forza Italia e, nel 1994, presidente del Comitato interparlamentare per lo sviluppo sostenibile, nonché amministratore di società del settore dell'energia rinnovabile, con quelle parole ha firmato la sua ordinanza d'arresto. Che è arrivata ieri mattina. Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia hanno bussato a casa sua e a quella di suo figlio Francesco con un'ordinanza di custodia cautelare in carcere che contiene queste accuse: «Corruzione, autoriciclaggio e intestazione fittizia di beni». Ma hanno bussato anche a casa di Vito Nicastri, re dell'eolico trapanese, ritenuto dai magistrati tra i finanziatori della latitanza del boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. È finito in manette anche il figlio di Nicastri, Manlio, classe 1987. Per Alberto Tinnirello, dirigente pubblico in servizio al Dipartimento energia della Regione Sicilia, sono scattati i domiciliari. E con lo stesso atto, la Procura ha disposto anche il sequestro di otto società che operano nel campo delle energie rinnovabili. Arata e Nicastri, stando alla ricostruzione giudiziaria firmata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, erano soci occulti. E, per questo, quella intercettazione viene ritenuta importantissima. Al pari di un'altra: «Eh... è un bel problema questo... soprattutto per lui, ma anche... insomma... tutte le cose che abbiamo insieme». A parlare è ancora una volta il professore Arata. E per gli investigatori non ci sono dubbi che quello sia un riferimento a Nicastri, che era stato già arrestato. Arata per Nicastri mostrava davvero ammirazione. E in una telefonata si fa scappare: «Ero socio con Vito che era il più bravo del settore... il più bravo in assoluto, lo chiamano il re dell'eolico». Poi, però, nella restante parte della telefonata, svela anche agli investigatori dove andare a mettere il naso: «Abbiamo fatto due società, una nostra... va bene, poi la seconda me l'ha fatta fare con lui e anche con questa abbiamo avuto gli stessi problemi». E la ciliegina sulla torta ce l'hanno messa i figli: esattamente un anno fa, quando i Nicastri scoprirono casualmente che qualcuno aveva fissato una telecamera davanti all'ingresso della loro abitazione, Manlio Nicastri e Francesco Arata si sono sussurrati la necessità di adottare cautele ancora più rigorose. Ma nonostante fossero a conoscenza di essere intercettati e sotto indagine, sostiene il giudice, gli Arata, «lungi dall'astenersi dal continuare a essere la longa manus di Nicastri nelle iniziative che li riguardavano, continuavano a tessere con il detenuto in quel momento agli arresti domiciliari fitte comunicazioni e continue interlocuzioni, al punto da essere colti in flagranza della violazione delle prescrizioni della misura cautelare». E, così, Nicastri passò dai domiciliari al carcere. Quel cognome, quindi, era diventato troppo ingombrante per poter comparire in un progetto da presentare alla Regione. Ci hanno pensato i funzionari regionali a fornire agli Arata i giusti consigli: bisognava trovare un prestanome. Con Tinnirello «avevano concordato di soprassedere temporaneamente alla trattazione della pratica, fino a quando Manlio Nicastri non fosse stato sostituito». L'intercettazione è questa: «Allora, siccome ancora queste carte non girano... se lui potesse uscire da amministratore, proprio quel nome non deve circolare... sotto nessuna forma!». E il gip lo sottolinea: «Era necessario occultare i possibili collegamenti tra la società e i Nicastri, sostituendo l'amministratore e se necessario anche modificando la sede legale della società». Qui entra in gioco un altro funzionario regionale, Giacomo Causarano, che «raccomandava agli Arata», scrive il gip, «di riferire puntualmente il contenuto delle sue parole a Manlio Nicastri, restando in attesa di incontrarlo al solito posto (un distributore di carburanti nei pressi dello svincolo autostradale di Partinico)». Sistemato quel tassello il gioco era fatto, anche perché alla Regione siciliana gli Arata si sentivano «sponsorizzati». «Domani mi fissano l'appuntamento con Cordaro (assessore regionale al Territorio, ndr) e mercoledì vado invece da Turano quello dell'industria... che è quello che Micciché gli ha dato le disposizioni per... Turano sì, che ci diamo del tu... è importante?». Dall'altra parte del telefono c'era il figlio di Nicastri. E siccome le carte della società ormai erano a posto, il consiglio era quello di pressare proprio su Mimmo Turano, assessore regionale alle Attività produttive. «Tu, là devi forzare sul fatto che Nicastri non c'è». «Si, però, Micciché era preoccupato», replica Arata. «Siccome Gianfranco, però, non è uno stinco di santo... nel senso che... no, ma Gianfranco non sa fare niente... è un incompetente», gli risponde il figlio di Nicastri. E Arata gioca la carta vincente: «Sì però io sono sponsorizzato, stai attento, però, io sono stato portato da Gianfranco, da Dell'Utri (il riferimento è al fratello del senatore Dell'Utri, ndr)». E il gip annota: «Dalle attività di indagine è emerso che Arata della sua precedente militanza politica in Forza Italia, per trovare canali privilegiati di interlocuzione con esponenti politici siciliani (...) e ha portato in dote alle iniziative imprenditoriali con Nicastri gli attuali influenti contatti con esponenti del partito della Lega, effettivamente riscontrati e spesso sbandierati». Una tranche dell'inchiesta, si dà atto nell'ordinanza, nei mesi scorsi è finita a Roma perché stando ad alcune intercettazioni (sbandierate su molti media ma mai effettivamente riscontrate negli atti giudiziari), gli Arata avrebbero pagato una mazzetta da 30.000 euro all'ex sottosegretario Armando Siri che, in cambio, avrebbe presentato un emendamento, poi mai approvato, sugli incentivi connessi al mini eolico. Ma quella è un'altra tranche dell'indagine. Negli atti siciliani, infatti, il nome del sottosegretario compare solo in questa occasione.
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