
L’imprenditore avrebbe versato 73.000 euro di tangente all’assessore Renato Boraso per abbattere il prezzo di un palazzo. Ma per i pm è credibile. Al sindaco si contestano «conflitti di interesse tra politica e affari».Indagato il supertestimone dell’inchiesta sulle presunte mazzette al Comune di Venezia. L’imprenditore che ha denunciato alla Finanza supposte manovre corruttive, che hanno portato all’arresto dell’assessore alla Mobilità, Renato Boraso, e all’iscrizione nel registro degli indagati del sindaco, Luigi Brugnaro, è finito a sua volta nei guai per gli stessi reati contestati agli altri. Deve rispondere di corruzione, Claudio Vanin. Dirigente d’azienda di 56 anni, molto noto in Laguna, con un ricco curriculum di attività imprenditoriali avviate negli anni e altrettanti inciampi giudiziari collezionati: l’ultimo dei quali è la richiesta di rinvio a giudizio per estorsione a valle di una causa civile per concorrenza sleale legata alla compravendita di Palazzo Donà, uno dei tre beni finiti nel mirino delle Fiamme gialle nell’ultimo filone insieme all’area dei Pili e, soprattutto, a Palazzo Papadopoli. Affare, quest’ultimo, al centro degli approfondimenti giudiziari della guardia di finanza sullo stesso businessman. Il quale, stando alle ricostruzioni, avrebbe versato una bustarella di oltre 73.000 euro all’assessore Boraso «su indicazione di Luis Lotti (il manager italiano del magnate di Singapore, Chiat Ching Kwong, ndr)» per oliare e facilitare il passaggio di mano dello storico edificio che affaccia sul Canal Grande. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, l’immobile sarebbe stato ceduto a un prezzo inferiore a quello di mercato grazie all’interessamento degli amministratori comunali. C’è scritto nel decreto di perquisizione, eseguito alcuni giorni fa, che Brugnaro, Ceron (Morris, suo capo di gabinetto, ndr) e Donadini (Derek, vica di Ceron, ndr) «concordavano con Ching e Luis Lotti (il rappresentante in Italia di Ching, a sua volta indagato, ndr) la cessione dell’immobile comunale Palazzo Poerio Papadopoli al prezzo di oltre 10 milioni di euro, inferiore al valore di 14 milioni, attraverso l’esercizio dei loro poteri amministrativi volti alla riduzione del suo valore di stima e ciò al fine di facilitare le trattative con Ching e Lotti per la cessione del terreni di proprietà del Brugnaro denominati «I Pili»».La presunta mazzetta sarebbe stata pagata, si legge nella richiesta di misura cautelare firmata dai pm di Venezia, «a Boraso dal Vanin su indicazione di Lotti e Pasqualetto (l’architetto Fabiano Pasqualetto, ndr) attraverso il pagamento di due fatture dell’importo ciascuna di 30.000 euro più Iva emesse dalla Stella Consulting di Boraso per una consulenza mai eseguita», e indirizzate all’azienda Falc immobiliare gestita proprio da Vanin e Lotti.La posizione del supertestimone è stata però stralciata dal procedimento principale come «gesto di attenzione» da parte della Procura per un soggetto che, spiegano fonti giudiziarie, ha dato un eccezionale contributo a livello informativo per strutturare l’indagine su Brugnaro. Vanin, spiegano i magistrati, è un teste credibile. «Il suo racconto è risultato attendibile, spontaneo e preciso…», hanno scritto negli atti giudiziari, di una «attendibilità oggettiva», che non lo ha visto «in alcun modo sottrarsi al riferire anche aspetti potenzialmente dannosi per la sua stessa posizione».Atteggiamento che, al contrario, i sostituti procuratori non riconoscono al primo cittadino del capoluogo, la cui attività imprenditoriale (affidata a un «blind trust» statunitense) si sarebbe spesso sovrapposta a quella politica creando «ripetuti conflitti d’interesse». Per i pm, Roberto Terzo e Federica Baccaglini, i vertici comunali apparirebbero «scelti tra i più intimi dipendenti delle imprese private, gestite di fatto dal sindaco stesso pur dopo la costituzione di un trust». Una scelta «pubblicamente rivendicata dallo stesso Brugnaro come strumento per migliorare l’efficienza della «macchina»»; solo che - osservano i magistrati - ci vorrebbero «una condizione di reale distacco tra l’ambito operativo delle società private e quello dell’ente territoriale» o «accorgimenti che impediscano in radice ogni commistione». Per i pm «così non è stato, e questo ha avuto sicura rilevanza nelle vicende illecite poi emerse». Non solo per la vendita, che avrebbe fruttato 150 milioni, dei terreni dei «Pili» ma anche per il piano urbanistico «Pums» che prevedeva due centri di interscambio tra il centro storico di Venezia e la terraferma, uno dei quali proprio ai «Pili», con una «cospicua rivalutazione» dei terreni effettuata nel 2020 dalla società proprietaria «Porte di Venezia» - detenuta dal cosiddetto blind trust - da 14 a 70,3 milioni di euro, giustificata da Brugnaro con la presenza dell’area in altri due progetti urbanistici precedenti, che però, a detta dei pm, contenevano solo «una valutazione preliminare e non potevano essere attuati perché restava da fare la bonifica».Fin qui le accuse: nei prossimi giorni, gli indagati potranno avere la possibilità di farsi ascoltare dai magistrati e di depositare memoria difensive per spiegare il loro operato e fare chiarezza su un lavoro investigativo che ha provocato uno tsunami in Laguna.
Papa Leone XIV (Ansa)
Nel commentare la dichiarazione dei vescovi Usa sull’immigrazione, il pontefice ha ribadito il diritto a controllare i confini. I media francesi hanno omesso il passaggio.
Papa Leone XIV ha risposto ai giornalisti che si trovavano a Castel Gandolfo martedì sera e si è espresso su vari argomenti: la pace in Ucraina, le stragi in Nigeria, i suoi progetti di viaggi apostolici per il 2026 e anche delle sue abitudini quando soggiorna a Villa Barberini. Tra temi trattati c’era anche la gestione dell’immigrazione negli Stati Uniti. Come scritto da Vatican News, il Santo Padre ha commentato la dichiarazione sui migranti pubblicata, giovedì scorso, della Conferenza episcopale statunitense.
Ursula von der Leyen (Ansa)
La Commissione prepara nuove regole per la circolazione rapida (massimo tre giorni) di truppe e cingolati tra i Paesi dello spazio Schengen. Un tempo simbolo di pace...
«Vi sono molte cose che contrassegnano l’Ue e la sua storica integrazione, ma due ne esprimono appieno l’anima: Erasmus e Schengen. È poco responsabile mettere a rischio la libertà di movimento degli europei». Firmato Sergio Mattarella. Correva l’anno 2018 e l’Austria in accordo con la Germania aveva proposto di chiudere il confine con l’Italia per non far arrivare i migranti. Sono passati sette anni e la Commissione europea presenta un regolamento per far viaggiare i carri armati senza frontiere. Schengen doveva essere il simbolo della pace e della libertà e ora diventa la Schengen con le stellette che ci costa malcontati 270 miliardi in dieci anni, in modo che le truppe si muovano liberamente e velocemente.
Sergio Mattarella e Giorgia Meloni (Ansa)
Dalla riforma della giustizia alla politica estera: sono molti i temi su cui premier e capo dello Stato dovranno confrontarsi nei prossimi mesi, malgrado le tensioni.
Come in una qualsiasi relazione, quando si insinua nella coppia lo spettro del tradimento, i rapporti si incrinano e non possono più tornare ad essere come erano prima. Lo tsunami che si è abbattuto sul Quirinale a seguito dello scoop della Verità, rischia di avere gravissime ripercussioni a lungo termine, sui legami tra governo e presidente della Repubblica. E anche se il Colle sminuisce la questione, definendola «ridicola», il consigliere per la Difesa del capo dello Stato, Francesco Saverio Garofani, non solo conferma ma aggiunge particolari che mettono a dir poco in imbarazzo i soggetti coinvolti. E hai voglia a dire che quelle fossero solo battute tra amici. La pezza peggiore del buco.
Galeazzo Bignami (Ansa)
Malan: «Abbiamo fatto la cosa istituzionalmente più corretta». Romeo (Lega) non infierisce: «Garofani poteva fare più attenzione». Forza Italia si defila: «Il consigliere? Posizioni personali, non commentiamo».
Come era prevedibile l’attenzione del dibattito politico è stata spostata dalle parole del consigliere del presidente della Repubblica Francesco Saverio Garofani a quelle del capogruppo di Fratelli d’Italia a Montecitorio Galeazzo Bignami. «L’onorevole Bignami e Fratelli d’Italia hanno tenuto sulla questione Garofani un comportamento istituzionalmente corretto e altamente rispettoso del presidente della Repubblica», ha sottolineato il capo dei senatori di Fdi, Lucio Malan. «Le polemiche della sinistra sono palesemente pretestuose e in mala fede. Ieri un importante quotidiano riportava le sorprendenti frasi del consigliere Garofani. Cosa avrebbe dovuto fare Fdi, e in generale la politica? Bignami si è limitato a fare la cosa istituzionalmente più corretta: chiedere al diretto interessato di smentire, proprio per non tirare in ballo il Quirinale e il presidente Mattarella in uno scontro istituzionale. La reazione scomposta del Pd e della sinistra sorgono dal fatto che avrebbero voluto che anche Fdi, come loro, sostenesse che la notizia riportata da La Verità fosse una semplice fake news.






