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2024-03-13
Macron fa campagna contro la vita: ai macroniani d’Italia va tutto bene?
Emmanuel Macron (Ansa)
Davanti alla morte, la scelta migliore è il silenzio. Devono aver pensato qualcosa di molto simile i macroniani d’Italia, a partire da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, di fronte alla parabola necrofila del presidente francese. Negli ultimi giorni, Emmanuel Macron ha allungato un’ombra nera sull’Europa proponendo di mandare al fronte ucraino i nostri soldati. Non pago di aver costituzionalizzato l’aborto e di aver annunciato la volontà di favorire l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito. La vita, almeno ultimamente, gli fa improvvisamente orrore e a guardare i sondaggi del suo partito in Francia, forse, si può anche capire il momento cupo di Macron.
In Italia sono ormai decenni che i voti della Chiesa non riempiono le urne, ma con l’affluenza media al 50% anche i consensi dei cattolici possono risultare, se non decisivi, quantomeno vitali per superare una soglia di sbarramento. Specie se si guarda alle formazioni centriste dei vari Renzi e alle ambizioni di un cattolico come Gentiloni, il commissario Ue agli Affari economici che sogna un rientro in Italia in grande stile e all’insegna del moderatismo filofrancese. Solo che di questi tempi Macron è scatenato e sembra quasi un antipapa.
In difficoltà nella campagna elettorale per le Europee, marcato stretto dalle opposizioni sui fallimenti del suo governo nella lotta all’immigrazione clandestina e alle diseguaglianze sociali, il leader di En Marche! ha fatto inserire il diritto all’aborto nella Costituzione francese. Poi, quattro giorni fa, ha dichiarato che vuole iscrivere «la libertà di ricorrere all’aborto» anche «nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove più nulla è acquisito e tutto è da difendere». Una sottolineatura che riflette la sua paura di fronte alle posizioni dell’Ungheria e non solo. «Noi condurremo questa battaglia sul nostro continente», ha annunciato in una cerimonia pubblica in place Vendome, «dove le forze reazionarie attaccano prima e sempre i diritti delle donne prima di rivolgersi contro i diritti delle minoranze, di tutti gli oppressi, di tutte le libertà». Quindi, domenica scorsa, l’inquilino dell’Eliseo ha chiuso il cerchio (della morte) spiegando che vuole portare Bruxelles a facilitare l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito. Ovviamente non ha usato termini così crudi, ma si è trincerato dietro formule ipocrite come «aiuto attivo a morire». Dopo aver sistemato vecchi e bambini, ha pensato anche ai giovani del Vecchio continente, che vuole mandare a morire al fronte in Ucraina. Due settimane fa, dopo che aveva già ipotizzato l’invio di militari un mese prima, Macron ha di nuovo buttato un sasso nello stagno, affermando di «non escludere» l’opzione dell’impiego diretto dei soldati a disposizione di Volodymyr Zelensky.
E così, mentre il Pontefice suggeriva al presidente ucraino di rivalutare la saggezza della «bandiera bianca», i sostenitori italiani di Macron piombavano nel mutismo di fronte alla sua micidiale tripletta aborto-eutanasia-guerra. Manca un bell’appello a favore delle droghe e poi il catalogo delle pompe funebri è completo.
Ok, Renzi è notoriamente un «cattolico adulto», per dirla alla Romano Prodi, e nel 2016, da premier, andò in Rai da Bruno Vespa a dispensare lezioni di laicità: «Io sono cattolico ma ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo». Eravamo prima della sue derive saudita ed emiratine, Stati dove il diritto alla vita è tutelato in modo assai originale. In ogni caso, in Italia, l’ex sindaco di Firenze sta molto attento a esprimersi su certi temi. Di Macron è sollecito sodale e sogna di sbancare in Europa grazie a un’alleanza con Renew Europe, tagliando la strada all’inciucione tra Popolari e Socialisti, che vogliono confermare Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Ma la svolta pro morte di Macron, almeno per ora, lo ha lasciato silente.
Un altro che cammina rasente i muri, di questi tempi, è Paolo Gentiloni, che con Macron scrisse il famigerato Trattato del Quirinale. L’ex premier del Pd, come Enrico Letta, è un sostenitore del presidente francese, ma ama tenere buoni rapporti con le gerarchie vaticane. A Bruxelles molti segnalano che il piano di Macron per il dopo elezioni sia di giocare la carta Mario Draghi per la presidenza del Consiglio europeo (o addirittura per la Commissione) e di spedire l’amico Paolo a Roma, a guidare le nuove brigate internazionali contro Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Immaginare il curiale Gentiloni candidarsi premier con un programma sui «diritti» alla Macron è pura fantascienza. Il 17 febbraio, Gentiloni ha lodato la sua proposta di un esercito europeo, ma poi si è ammutolito. Inutile dire che anche Sandro Gozi, ex prodiano eletto parlamentare europeo in Francia, ha perso la parola di fronte alle ultime sortite dark dell’amato Emmanuel. Idem, per dire, un’altra simpatizzante come l’ex berlusconiana Mariastella Gelmini, oggi vicesegretario di Azione, guidata da Carlo Calenda. Forse sperano che l’amato Macron torni a concentrarsi sull’economia, sulla finanza e sulle banche.
Parigi ora è una minaccia per tutti
Il nostro tempo è contrassegnato da tanti deficit - economici, finanziari, energetici, medici, ecologici e altro ancora - ma il più diffuso e pericoloso è in assoluto il «deficit di buon senso». Se un dubbio poteva ancora esserci, la decisione del Parlamento francese di elevare a rango costituzionale la libertà di abortire - il che significa, in buona sostanza, il diritto d’aborto - ha fugato ogni incertezza: il furore ideologico ha cancellato la naturale dote del buon senso, che ci deve insegnare ad affrontare una questione così delicata come l’aborto, con il valore aggiunto della prudenza, nello sforzo di trovare un delicatissimo equilibrio fra «diritti» in gioco: il diritto alla vita del bimbo e il diritto di scelta della madre.
Ora, in Francia, la ruspa ideologica ha fatto piazza pulita del diritto alla vita: il bambino non conta nulla, non ha alcun diritto, può e deve essere «smaltito» come materiale organico indesiderato, non deve neppure entrare nel dibattito culturale. La vita del bimbo non c’è, non esiste: punto e basta! Smettiamola con questi piagnistei sul bimbo indifeso e innocente, sulla creatura la cui unica colpa è di esistere; un bel colpo di spugna su ogni sentimento di naturale umanità e pietà: questo è il messaggio, nudo e crudo, che viene a infettare, prima che i Parlamenti di tutto il mondo, le coscienze di tutti gli uomini. Ma è anche un vergognoso colpo di spugna sul sentimento di civiltà di ogni popolo: una nazione che non sa prendersi cura dei suoi cittadini più deboli, al punto di considerare «diritto» la loro eliminazione, è indegna dell’appellativo «civile».
Nel dicembre 2007, l’Assemblea generale dell’Onu, a grande maggioranza, votò la moratoria sulla pena di morte. La ragione di fondo fu che è da considerarsi inaccettabile che un uomo dia la morte a un altro uomo, anche se colpevole di crimini o delitti. A distanza di poco meno di 17 anni, mentre sono in corso terribili guerre e massacri, il Parlamento di uno Stato, civile ed europeo, pone come valore prioritario l’interruzione volontaria di gravidanza, cancellando la possibilità - anche solo remota - che si possa (e si debba) fare qualche tentativo per consentire a quel bimbo di poter vedere la luce. Di più: trattandosi di un diritto costituzionale, è categoricamente abolita ogni possibilità di obiezione di coscienza, da parte di chi quel «diritto» ha il «dovere» di renderlo concreto! Potrà un medico rifiutarsi di praticare aborti, perché in conflitto con la propria coscienza? Purtroppo è facile rispondere: assolutamente no, perché trattasi di diritto costituzionalmente protetto.
Risuonano sempre più profetiche le parole di Madre Teresa di Calcutta: l’aborto è il più grande attentato alla pace. Se una nazione, un Parlamento, un popolo, una società attribuiscono all’aborto un valore così alto da richiedere la protezione della legge suprema dello Stato, dobbiamo prendere atto che non solo il buon senso, ma lo stesso senso umano naturale è stato avvelenato. Quel grande uomo che fu Carlo Casini, all’indomani dell’approvazione della legge 194/78, dichiarò che «non ci rassegneremo mai» a una legge che non protegge né il nascituro, né la mamma che non trova, di fatto, nessuno che l’aiuti a portare a termine la sua gravidanza, per quanto difficile sia, negandole la gioia di avere il suo bimbo tra le braccia.
L’altro aspetto, davvero vergognoso del fatto francese, sta proprio qui: chiunque cerchi di aiutare una donna che sta pensando ad abortire, dando sostegni concreti - economici, sociali, lavorativi, contrattuali, assistenziali - per vivere dignitosamente con il suo bimbo, può essere imputato di aver violato nientemeno che la costituzione! Purtroppo il male contagia: dobbiamo tenere gli occhi ben aperti e porre ogni democratica opposizione a chiunque anche solo ventili l’idea di seguire l’esempio francese. Cominciando con il dire a chiare lettere, e numeri alla mano, che in Italia non esiste alcuna lista d’attesa per chi vuole interrompere la gravidanza e il tentativo di porre limiti all’obiezione di coscienza, perché mancherebbe il personale necessario, è assolutamente pretestuoso, perché concretamente infondato. È la strategia tipica della falsa comunicazione, ampiamente sfruttata nel 1978: falsi dati con lo scopo di ottenere quel che si vuole... fino al diritto di aborto in Costituzione.
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Mentre Parigi accelera su aborto, eutanasia e propone di mandare a morire i soldati europei a Kiev, da noi i fan del presidente fingono di non vedere. Ma sulla carta Renzi, Gelmini e Gentiloni ambiscono al voto cattolico.Il furore ideologico dell’Eliseo rischia di contagiare il Continente. Chi fa obiezione di coscienza o prova ad aiutare una donna che pensa di rifiutare suo figlio è in pericolo.Lo speciale contiene due articoli. Davanti alla morte, la scelta migliore è il silenzio. Devono aver pensato qualcosa di molto simile i macroniani d’Italia, a partire da Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, di fronte alla parabola necrofila del presidente francese. Negli ultimi giorni, Emmanuel Macron ha allungato un’ombra nera sull’Europa proponendo di mandare al fronte ucraino i nostri soldati. Non pago di aver costituzionalizzato l’aborto e di aver annunciato la volontà di favorire l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito. La vita, almeno ultimamente, gli fa improvvisamente orrore e a guardare i sondaggi del suo partito in Francia, forse, si può anche capire il momento cupo di Macron. In Italia sono ormai decenni che i voti della Chiesa non riempiono le urne, ma con l’affluenza media al 50% anche i consensi dei cattolici possono risultare, se non decisivi, quantomeno vitali per superare una soglia di sbarramento. Specie se si guarda alle formazioni centriste dei vari Renzi e alle ambizioni di un cattolico come Gentiloni, il commissario Ue agli Affari economici che sogna un rientro in Italia in grande stile e all’insegna del moderatismo filofrancese. Solo che di questi tempi Macron è scatenato e sembra quasi un antipapa. In difficoltà nella campagna elettorale per le Europee, marcato stretto dalle opposizioni sui fallimenti del suo governo nella lotta all’immigrazione clandestina e alle diseguaglianze sociali, il leader di En Marche! ha fatto inserire il diritto all’aborto nella Costituzione francese. Poi, quattro giorni fa, ha dichiarato che vuole iscrivere «la libertà di ricorrere all’aborto» anche «nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dove più nulla è acquisito e tutto è da difendere». Una sottolineatura che riflette la sua paura di fronte alle posizioni dell’Ungheria e non solo. «Noi condurremo questa battaglia sul nostro continente», ha annunciato in una cerimonia pubblica in place Vendome, «dove le forze reazionarie attaccano prima e sempre i diritti delle donne prima di rivolgersi contro i diritti delle minoranze, di tutti gli oppressi, di tutte le libertà». Quindi, domenica scorsa, l’inquilino dell’Eliseo ha chiuso il cerchio (della morte) spiegando che vuole portare Bruxelles a facilitare l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito. Ovviamente non ha usato termini così crudi, ma si è trincerato dietro formule ipocrite come «aiuto attivo a morire». Dopo aver sistemato vecchi e bambini, ha pensato anche ai giovani del Vecchio continente, che vuole mandare a morire al fronte in Ucraina. Due settimane fa, dopo che aveva già ipotizzato l’invio di militari un mese prima, Macron ha di nuovo buttato un sasso nello stagno, affermando di «non escludere» l’opzione dell’impiego diretto dei soldati a disposizione di Volodymyr Zelensky. E così, mentre il Pontefice suggeriva al presidente ucraino di rivalutare la saggezza della «bandiera bianca», i sostenitori italiani di Macron piombavano nel mutismo di fronte alla sua micidiale tripletta aborto-eutanasia-guerra. Manca un bell’appello a favore delle droghe e poi il catalogo delle pompe funebri è completo. Ok, Renzi è notoriamente un «cattolico adulto», per dirla alla Romano Prodi, e nel 2016, da premier, andò in Rai da Bruno Vespa a dispensare lezioni di laicità: «Io sono cattolico ma ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo». Eravamo prima della sue derive saudita ed emiratine, Stati dove il diritto alla vita è tutelato in modo assai originale. In ogni caso, in Italia, l’ex sindaco di Firenze sta molto attento a esprimersi su certi temi. Di Macron è sollecito sodale e sogna di sbancare in Europa grazie a un’alleanza con Renew Europe, tagliando la strada all’inciucione tra Popolari e Socialisti, che vogliono confermare Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione. Ma la svolta pro morte di Macron, almeno per ora, lo ha lasciato silente. Un altro che cammina rasente i muri, di questi tempi, è Paolo Gentiloni, che con Macron scrisse il famigerato Trattato del Quirinale. L’ex premier del Pd, come Enrico Letta, è un sostenitore del presidente francese, ma ama tenere buoni rapporti con le gerarchie vaticane. A Bruxelles molti segnalano che il piano di Macron per il dopo elezioni sia di giocare la carta Mario Draghi per la presidenza del Consiglio europeo (o addirittura per la Commissione) e di spedire l’amico Paolo a Roma, a guidare le nuove brigate internazionali contro Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Immaginare il curiale Gentiloni candidarsi premier con un programma sui «diritti» alla Macron è pura fantascienza. Il 17 febbraio, Gentiloni ha lodato la sua proposta di un esercito europeo, ma poi si è ammutolito. Inutile dire che anche Sandro Gozi, ex prodiano eletto parlamentare europeo in Francia, ha perso la parola di fronte alle ultime sortite dark dell’amato Emmanuel. Idem, per dire, un’altra simpatizzante come l’ex berlusconiana Mariastella Gelmini, oggi vicesegretario di Azione, guidata da Carlo Calenda. 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Se un dubbio poteva ancora esserci, la decisione del Parlamento francese di elevare a rango costituzionale la libertà di abortire - il che significa, in buona sostanza, il diritto d’aborto - ha fugato ogni incertezza: il furore ideologico ha cancellato la naturale dote del buon senso, che ci deve insegnare ad affrontare una questione così delicata come l’aborto, con il valore aggiunto della prudenza, nello sforzo di trovare un delicatissimo equilibrio fra «diritti» in gioco: il diritto alla vita del bimbo e il diritto di scelta della madre. Ora, in Francia, la ruspa ideologica ha fatto piazza pulita del diritto alla vita: il bambino non conta nulla, non ha alcun diritto, può e deve essere «smaltito» come materiale organico indesiderato, non deve neppure entrare nel dibattito culturale. La vita del bimbo non c’è, non esiste: punto e basta! Smettiamola con questi piagnistei sul bimbo indifeso e innocente, sulla creatura la cui unica colpa è di esistere; un bel colpo di spugna su ogni sentimento di naturale umanità e pietà: questo è il messaggio, nudo e crudo, che viene a infettare, prima che i Parlamenti di tutto il mondo, le coscienze di tutti gli uomini. Ma è anche un vergognoso colpo di spugna sul sentimento di civiltà di ogni popolo: una nazione che non sa prendersi cura dei suoi cittadini più deboli, al punto di considerare «diritto» la loro eliminazione, è indegna dell’appellativo «civile». Nel dicembre 2007, l’Assemblea generale dell’Onu, a grande maggioranza, votò la moratoria sulla pena di morte. La ragione di fondo fu che è da considerarsi inaccettabile che un uomo dia la morte a un altro uomo, anche se colpevole di crimini o delitti. A distanza di poco meno di 17 anni, mentre sono in corso terribili guerre e massacri, il Parlamento di uno Stato, civile ed europeo, pone come valore prioritario l’interruzione volontaria di gravidanza, cancellando la possibilità - anche solo remota - che si possa (e si debba) fare qualche tentativo per consentire a quel bimbo di poter vedere la luce. Di più: trattandosi di un diritto costituzionale, è categoricamente abolita ogni possibilità di obiezione di coscienza, da parte di chi quel «diritto» ha il «dovere» di renderlo concreto! Potrà un medico rifiutarsi di praticare aborti, perché in conflitto con la propria coscienza? Purtroppo è facile rispondere: assolutamente no, perché trattasi di diritto costituzionalmente protetto. Risuonano sempre più profetiche le parole di Madre Teresa di Calcutta: l’aborto è il più grande attentato alla pace. Se una nazione, un Parlamento, un popolo, una società attribuiscono all’aborto un valore così alto da richiedere la protezione della legge suprema dello Stato, dobbiamo prendere atto che non solo il buon senso, ma lo stesso senso umano naturale è stato avvelenato. Quel grande uomo che fu Carlo Casini, all’indomani dell’approvazione della legge 194/78, dichiarò che «non ci rassegneremo mai» a una legge che non protegge né il nascituro, né la mamma che non trova, di fatto, nessuno che l’aiuti a portare a termine la sua gravidanza, per quanto difficile sia, negandole la gioia di avere il suo bimbo tra le braccia. L’altro aspetto, davvero vergognoso del fatto francese, sta proprio qui: chiunque cerchi di aiutare una donna che sta pensando ad abortire, dando sostegni concreti - economici, sociali, lavorativi, contrattuali, assistenziali - per vivere dignitosamente con il suo bimbo, può essere imputato di aver violato nientemeno che la costituzione! Purtroppo il male contagia: dobbiamo tenere gli occhi ben aperti e porre ogni democratica opposizione a chiunque anche solo ventili l’idea di seguire l’esempio francese. Cominciando con il dire a chiare lettere, e numeri alla mano, che in Italia non esiste alcuna lista d’attesa per chi vuole interrompere la gravidanza e il tentativo di porre limiti all’obiezione di coscienza, perché mancherebbe il personale necessario, è assolutamente pretestuoso, perché concretamente infondato. È la strategia tipica della falsa comunicazione, ampiamente sfruttata nel 1978: falsi dati con lo scopo di ottenere quel che si vuole... fino al diritto di aborto in Costituzione.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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