2024-10-05
Solo in una società ipocrita e perversa sopprimere un bimbo non è un omicidio
Ecografie di un nascituro (iStock)
Sui dottori pro aborto, Bergoglio dice la verità. Il feto non è un’appendice della madre.«Dire la verità nel tempo dell’inganno universale è un atto rivoluzionario», scriveva George Orwell quasi 100 anni fa. Ne abbiamo la riprova proprio in questi giorni, in occasione delle parole di Papa Francesco sui temi della difesa della vita umana, sempre e in ogni circostanza. Ovviamente, come c’era da aspettarsi, la grancassa del politicamente corretto - che inneggia alla democrazia e alla libertà di pensiero e di parola quando di tratta di ripetere come scolaretti gli slogan della dittatura del pensiero unico, censurando tutto ciò che non è succube - si è scatenata sul tema dell’aborto, ignorando altri aspetti di grande valore umano come i genocidi, le vittime delle guerre, la tratta di esseri umani, lo sfruttamento degli immigrati che il Papa aveva pure trattato. Viviamo in un contesto culturale che oserei definire «perverso», ove la verità non può essere nemmeno sfiorata, per lasciare posto all’ideologia. Vi sono argomenti «tabù» e dogmi ideologici, che è «severamente vietato» toccare e se la verità dimostra esattamente il contrario, tanto peggio per la verità: questa va contrastata con tutta la forza d’urto dello strapotere mediatico, culturale e politico, a disposizione. Proprio ieri, il presidente Sergio Mattarella, rivolgendosi ai giornalisti ha voluto sottolineare due aspetti della loro professione: stare coraggiosamente ancorati alla verità dei fatti (evitando ogni manipolazione) e contrastare ogni tentativo di «mettere il bavaglio» alla libertà di parola (fondamento e sale della democrazia). Tutto molto vero e bello, ma c’è un limite: guai a chiunque - Papa compreso - osi dire che la soppressione di un bimbo nel grembo materno è un atto di radicale e profonda ingiustizia e disumanità, perché si tratta di un omicidio. Scandalo! Intollerabile! Immediate scuse pubbliche! Ritrattazione! Il vero problema è che - malauguratamente per gli adepti del «diritto» d’aborto, libero, assoluto, giungendo fino al nono mese e magari post-nascita - quella è la pura, semplice, inequivocabile, razionale, incontestabile verità! Sopprimere un essere umano è sempre un omicidio... oppure dipende dalla sua età, dalle sue capacità fisiche o intellettuali e - perché no - dalla sua etnia o dal colore della sua pelle? È drammaticamente accaduto e sta ancora tragicamente accadendo. Pensiamo ad un bimbo Down: è assolutamente legittimo e legale eliminarlo. Perché? Perché è Down, imperfetto, non rientra nei canoni della normalità e la sua mamma è libera di decidere sul proprio corpo, al punto di decidere sul corpo del suo bimbo, negandogli la vita. Va ripetuto a chiare lettere, smascherando la vergognosa ipocrisia che sta dietro affermazioni del tipo «la donna è libera di decidere sul suo corpo»: il bimbo non è un’appendice del corpo materno, non è un ammasso di cellule (quasi fosse un polipo uterino) da estirpare. Tutta la scienza - quella vera, non manipolata ad arte, con distinguo ideologici che di scientifico non hanno proprio nulla - ci dice che si tratta di un piccolo essere umano che va formandosi progressivamente, se solo si ha la decenza di rispettarlo. L’aborto esiste da sempre e le donne che abortiscono sono spesso, loro stesse, vittime di drammi personali e sociali che ci spingono a sentimenti di comprensione, compassione (dal latino: soffrire insieme), solidarietà come ha magistralmente scritto San Giovanni Paolo II nella Enciclica Evangelium Vitae. Solidarietà concreta ed operosa, che si muove nella direzione di un’accoglienza umana e sociale calorosa e di un aiuto che sostenga la mamma nella difficile impresa di portare a termine la sua gravidanza e di salvare il suo figlioletto. Lo vuole anche la Legge 194, ma chiunque si muove in quella direzione va immediatamente bloccato: non può che essere un «odiatore» delle donne. Vergognosa menzogna, palesemente contraddetta dai fatti: chi è più solidale? Chi si prende cura della mamma nella totalità della sua vita (anche economicamente, a spese proprie), o chi sa dirle solo dove può procurarsi la pillola abortiva e poi arrangiarsi? Chi di fronte alla sofferenza, che sempre si accompagna alla decisione estrema di abortire, le indica possibilità concrete di salvare il suo bimbo (parto in anonimato, culle per la vita, adozione) o chi si riempie la bocca di «diritto» e poi non fa nulla per aiutare le vite in gioco? Papa Francesco non è un capo di stato, né un politico che deve fare i conti con i dogmi del politicamente corretto: è il servitore di una verità che non gli appartiene e che gli è stata affidata, per il bene e la felicità di ogni uomo e di tutti gli uomini. Ha la forza ed il coraggio di parlare con chiarezza e onestà perché questo è il suo dovere e il suo compito: l’Abc della «vita buona e felice» è il rispetto della vita, sempre e di chiunque, e questo vale per tutti, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, agnostici e atei. E a proposito dei «sicari»: il medico cura la malattia, difende la vita, lenisce il dolore e la sofferenza, tutto nei limiti delle umane possibilità. Ma, certamente non uccide, mai, anche se la legge lo consente.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
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