2024-04-17
A Roma i pro Hamas assaltano la polizia
Il «no al boicottaggio di Israele» deciso dalla Sapienza scatena la rabbia. I collettivi attaccano gli agenti, prendono a calci e pugni un dirigente e circondano il commissariato. Matteo Piantedosi: «Solidarietà alle forze dell’ordine». Diversi i feriti, due gli arrestati.Nuovo pomeriggio di follia ieri all’università La Sapienza di Roma, dove è andata in scena l’ennesima protesta in occasione della seduta del Senato accademico che si è rifiutato di boicottare le università israeliane. Bandiere e cartelloni contro il governo e la rettrice, Antonella Polimeni, al grido di: «Fuori la guerra dall’università» e immagini di Giorgia Meloni e Benjamin Netanyahu con le mani sporche di sangue. Il delirio è proseguito al commissariato di San Lorenzo, che è stato prima circondato e poi assaltato da circa mille manifestanti che reclamavano il rilascio immediato di uno dei due individui arrestati per gli scontri e qui un dirigente è stato addirittura preso a calci e pugni. Altri scontri si sono verificati in via Cesare De Lollis, dove sono stati arrestati un uomo e una donna. Evidente come la saldatura tra gruppi di estrema sinistra e attivisti pro palestinesi è sempre più un pericolo anche in Italia. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha sentito personalmente il capo della polizia, Vittorio Pisani, per sincerarsi delle condizioni di salute degli operatori delle forze di polizia aggrediti durante gli scontri avvenuti nel pomeriggio alla Sapienza, esprimendo loro la propria vicinanza e solidarietà. Gli agenti infatti hanno dovuto resistere all’attacco violento dei collettivi e hanno fatto da scudo umano per proteggere il commissariato, registrando alcuni feriti tra le loro file.A molti chilometri distanza invece si continua a combattere la guerra vera e quella delle parole. «I sionisti farebbero meglio a comportarsi razionalmente, perché se dovessero intraprendere un’azione militare contro Teheran in risposta all’attacco dell’Iran contro Israele, siamo pronti a usare un’arma che non abbiamo mai usato prima». Queste le parole del portavoce della Commissione per la sicurezza nazionale del Parlamento iraniano Abolfazl Amouei. Il funzionario iraniano ha risposto al portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, che ha ricordato come quanto accaduto sabato notte avrà delle conseguenze: «L’Iran non la passerà liscia per l’attacco di sabato scorso a Israele. Non possiamo restare fermi davanti a questo tipo di aggressione, l’Iran non ne uscirà impunemente». Che qualcosa sia in itinere lo dimostra il fatto che ieri era in programma una riunione del gabinetto di guerra (la terza volta dopo l’attacco), ma alla stampa non è stato comunicato l’orario della riunione: un segno evidente di come Israele in questa fase ha scelto il basso profilo in modo da evitare ogni possibile fuga di notizie che potrebbero avvantaggiare il nemico. Impossibile sapere che tipo di risposta militare ci sarà, tuttavia, è certo che non ci saranno operazioni eclatanti come quella tentata e miseramente fallita da parte degli iraniani che ora fanno anche i conti con la rabbia della popolazione che ha visto intere zone distrutte dai missili e dai droni che sono caduti in Iran invece che su Israele. Non è nemmeno certo che Israele colpirà in territorio iraniano dato che ha diverse opzioni sul tavolo; ad esempio, potrebbe concentrarsi sulle milizie filoiraniane in Siria e in Iraq, così come potrebbe colpire con forza gli Huthi o gli Hezbollah, oppure potrebbe accelerare le operazioni per l’entrata a Rafah. Intanto non si fermano gli omicidi mirati, ieri è stato eliminato l’ennesimo alto dirigente degli Hezbollah, Ismail Yousef Baz incenerito da un missile lanciato da un drone mentre si trovava nella sua auto. Sembra improbabile che almeno in questa fase Israele possa attaccare i luoghi dove l’Iran arricchisce l’uranio che serve allo sviluppo del suo pericolosissimo programma nucleare. La possibilità che l’Iran si doti dell’arma nucleare è una minaccia per lo Stato ebraico, ma non solo. Anche l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti (che a loro volta stanno facendo passi importanti verso il nucleare) vedono i progressi iraniani come una minaccia e condividere le medesime preoccupazioni per Israele può essere un’opportunità della quale tenere conto e un vantaggio tattico da non sprecare. Di questo e altro hanno parlato al telefono ieri il ministro della Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, e il suo omologo israeliano, Yoav Gallant, che hanno affrontato la questione della sicurezza nel Medio Oriente. I due ministri hanno esaminato le implicazioni dell’attacco iraniano di sabato scorso contro Israele, che ha portato i due paesi e altre nazioni a coordinare un’azione difensiva congiunta. Austin ha confermato il forte impegno degli Stati Uniti nella difesa di Israele e ha sottolineato l’importanza cruciale della stabilità nella regione. Anche Vladimir Putin è intervenuto sulla possibilità che Israele reagisca durante una conversazione telefonica con presidente iraniano Ebrahim Raisi, il quale ha ribadito che il suo Paese «risponderà fermamente e in modo più feroce, esteso e doloroso di prima a qualsiasi azione contro gli interessi nazionali». Nemmeno il tempo di registrare la presa di posizione di Teheran che il ministro del gabinetto di guerra israeliano Benny Gantz, durante ha chiarito che non ci saranno fughe in avanti: «Israele risponderà all’attacco dell’Iran nel momento e nel luogo che riterrà opportuni, collaborando con gli Stati Uniti per costruire un’alleanza globale e regionale contro Teheran. L’Iran è un problema globale e regionale, e anche una minaccia per Israele. Per questo il mondo dovrebbe agire militarmente contro Teheran e imporre sanzioni per fermare la sua aggressione». Infine, in serata il vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha affermato: «Siamo amici di Israele ma vogliamo lavorare per la pace, compreso l’invio eventuale di truppe qualora si volesse creare uno Stato palestinese con forze di altri Paesi».
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