2024-09-25
A Roma 3 aprono un «laboratorio» per baby trans e ragazzini «fluidi»
Iniziativa choc con l’ok del comitato etico dell’ateneo sui bimbi che cambiano sesso o di «genere creativo». Ira delle femministe. Il ministero avvia «verifiche» sulla compatibilità del progetto con i fondi pubblici ricevuti.In prima pagina e qui, in basso a destra, vedete la locandina del surreale evento che si svolgerà tra tre giorni nella Capitale, con tanto di approvazione del comitato etico dell’Università di Roma 3. Il manifestino è a suo modo eccezionale, perché fa capire bene che cosa siano i bambini per i fautori dell’ideologia trans: un «laboratorio», che mira a scardinare il senso comune in materia di identità sessuale - culturalmente costruita e, quindi, veicolo di oppressione - per introdurre una nuova «narrazione» sulla «varianza di genere».La brochure, prontamente contestata dall’associazione Pro vita & famiglia, si riferisce al «Laboratorio per bambin* trans e gender creative», che dalle 10 di sabato, nella sede dell’ateneo vicino la stazione Termini, aprirà per «ascoltare e accogliere le storie di bambin* e ragazz* (5-14 anni)», sotto la supervisione di «ricercator* della comunità e un’insegnante montessoriana». Povera Maria Montessori. Il suo nome messo a copertura di una rassegna in cui dei bimbi di 5 anni vengono sessualizzati. A loro, con la scusa della libera espressione del diverso, certi programmi che si ha persino il coraggio di chiamare «educativi» insistono a propinare un autentico lavaggio del cervello.Proprio questo mese, su iniziativa della Lega, la commissione Cultura, scienza e istruzione di Montecitorio ha approvato una mozione contro la propaganda gender nelle scuole. «Parliamoci chiaro», aveva tuonato il deputato Rossano Sasso, del Carroccio, «non è opportuno che delle drag queen entrino nelle classi dei nostri figli e li indottrinino dalla più tenera età». Problema risolto? Nemmeno per sogno: se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla montagna. Ovvero, se le iniziative Lgbt, che il ddl Zan aveva tentato di istituzionalizzare nei curricula scolastici, trovano chiusi i portoni di elementari, medie e licei, è sufficiente portare gli studenti direttamente dai predicatori arcobaleno. Magari, convincendo mamme e papà che è loro dovere aprire la mente? E che - recita il ritornello ripetuto dagli psicologi, quasi sempre trans, presenti nei centri per la disforia di genere - «è meglio un figlio che cambia sesso di un figlio che si suicida»?Il Mur di Anna Maria Bernini, nella serata di ieri, ha fatto sapere di aver contattato Roma 3 per acquisire informazioni e «verificare se il progetto corrisponda ai requisiti previsti dal bando che ha consentito all’università di accedere a fondi pubblici». Ovvero, i soldi che provengono direttamente dalle nostre tasse, dai sacrifici di noi contribuenti. Ma la trovata non è piaciuta nemmeno alle attiviste femministe di Radfem e Rete per l’inviolabilità del corpo femminile, che hanno espresso «raccapriccio»: «I bambini trans e gender creative non esistono. I bambini devono essere lasciati liberi di esplorare la propria sessualità e gli adulti non devono interferire».Non la pensa allo stesso modo la responsabile del «laboratorio», Michela Mariotto, assegnista di ricerca al dipartimento di Scienze della formazione (o deformazione?) dell’ateneo. Una sintesi delle sue posizioni la offre una intervista del 2019, sempre sulla questione della «varianza di genere» nei minori. Un processo che, secondo la studiosa, va accompagnato da «specialisti», portato oltre la «banalizzazione» mediatica dei «bambin* che si identificano con il genere opposto a quello assegnato alla nascita». Essi, semmai, «vivono il genere in maniera fluida». Un simile percorso produce anche «una sorta di trasformazione “morale” nei genitori che sentono, attraverso l’esperienza de* propri* figl*, di aver potuto ampliare le proprie prospettive e di aver maturato un migliore rapporto con le diversità in generale». Per la Mariotto, è fondamentale affrontare di petto l’argomento «nell’età evolutiva». Quando, cioè, «si rende necessario intervenire su differenti livelli per creare quelle condizioni che permettano un migliore adattamento e uno sviluppo sereno dell’identità sessuale». È una filosofia chiara nei suoi lineamenti: appena un bimbo presenta comportamenti che un adulto, imbevuto di «teorie critiche», interpreta come segnali di difformità rispetto alle abituali classificazioni di genere, il sedicente esperto «interviene» per spingerlo a rifiutare il binarismo sessuale. Oppure, a diventare un baby trans. Citiamo ancora l’intervista della Mariotto: la somministrazione dei bloccanti della pubertà non andrebbe descritta «con toni fortemente allarmisti», perché gli effetti di quei farmaci sarebbero «completamente reversibili». Una balla sesquipedale, che in un’inchiesta di Panorama aveva smontato Maura Massimino, pediatra oncologa all’Irccs tumori di Milano, ricordando i numerosi e gravi effetti collaterali associati alla triptorelina. Il cui scopo principale, infatti, non è instradare i minorenni al cambio di sesso, bensì trattare «bambini nei quali la fase puberale è stata anticipata dall’insorgenza del cancro, o dalle terapie anticancro». Basti segnalare che, a marzo 2023, la Norvegia ha riconosciuto che «l’uso dei bloccanti della pubertà e la terapia ormonale sono trattamenti parzialmente o completamente irreversibili». La Norvegia, mica l’Ungheria di Orbán.La realtà racconta una storia diversa, ma gli ideologi intendono modificare la «narrativa». E i genitori, dopo essere stati riempiti di bugie, dovrebbero pure ringraziare chi manipola i loro figli. Dovrebbero accettar una «trasformazione morale». Chissà se un po’ di morale è rimasta al comitato etico di Roma 3.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)