2019-10-30
A quattro anni dalla morte di Elia c’è una mamma che cerca la verità
Domani si può concludere la vicenda civile del diciassettenne caduto dall'hotel in cui la sua classe era in gita ad Expo.È il 15 ottobre del 2015. Sono le 5,30 del mattino quando a Milano una guardia giurata scopre, nel cortile della società per cui lavora, il corpo di un ragazzo. È quello di Elia Barbetti, diciassettenne di Orvieto, residente a Piombino. È a terra morto, prono. È precipitato dalla finestra del sesto piano del Camplus Living Turro, dove soggiornava con i suoi compagni del liceo Enrico Fermi di Cecina per una gita scolastica a Expo.La Procura di Milano apre un fascicolo e il 22 luglio del 2016 il caso viene chiuso. Le indagini escludono caduta accidentale e omicidio. Nella richiesta di archiviazione del pm, accordata dal gip, si legge: «Il decesso di Elia Barbetti è frutto di uno slancio volontario. La conclusione che milita per l'interpretazione del tragico gesto del giovane come volontario è, purtroppo, espressione di un quadro di un malessere e di una profonda tristezza che si sono rivelate insopportabili e che Elia Barbetti ha manifestato più volte ai suoi compagni, anche lo stesso giorno e la sera prima dei fatti (come emerso diffusamente dalle sommarie informazioni testimoniali di due compagne)». Il gip sul decreto di archiviazione scrive: «Dopo aver condiviso con i tre compagni di stanza il fumo di marijuana, aveva palesato un accentuato quanto per lui insolito malessere fisico e psicologico, con pulsioni di aggressività inusuali e di depressione acuta».Elia aveva fumato marijuana, vero. Quattro spinelli tra amici nell'arco della serata. Era agitato e arrabbiato. Si presume per il rifiuto da parte di una compagna, e poi per un bisticcio tra ragazzi. Detto questo, «gli esami tossicologici hanno evidenziato come le concentrazioni di sostanza presenti (Thc e relativi metaboliti) fossero inferiori alle quantità ritenute in grado di produrre effetti psicoattivi», si continua a leggere nella richiesta di archiviazione. Mentre lo stato alternato dell'umore non destava nei compagni «mirate preoccupazioni circa l'evoluzione del turbamento». Perifrasi per dire che Elia, depresso, si è suicidato, senza dare la percezione di gesti autolesionistici. Questa è la storia, in estrema sintesi, verificabile nei documenti depositati presso il Tribunale di Milano.Poi ce n'è un'altra. Una storia che nessuno ha mai sentito (o voluto sentire) perché la voce di chi l'ha raccontata in questi anni è stata troppo sommessa, nonostante la disperazione. È la voce di Sara Rabà, la mamma di Elia: «Mio figlio non era depresso. Mio figlio non si è suicidato». Quale madre, si dirà, può accettare la morte del proprio figlio? a caccia di risposteMa il punto non è questo. Sara non ha smesso di cercare risposte: «Non le ho avute» racconta alla Verità. «Mi sento una formica tra giganti. Il mio ex marito vive e lavora in Germania. Ha avuto una reazione diversa dalla mia, che non condivido ma nemmeno biasimo. Io non cerco un colpevole e non voglio insinuare che Elia sia stato spinto, ma rifiuto la motivazione del gesto e la volontarietà. Come si fa a escludere a priori la possibilità che si sia trattato di un incidente? Fatto questo che non cambia le cose, ma restituirebbe dignità a mio figlio» dice.A stabilirlo sono le indagini della polizia scientifica. Sedici pagine di numeri ed equazioni accertano la modalità: «Elia, trovato a nove metri dalla perpendicolare del palazzo, deve necessariamente avere avuto una velocità iniziale diversa da zero, sufficiente per fargli raggiungere la distanza di 5,48 metri corrispondenti alla posizione del muro di cinta dell'edifico su cui ha sbattuto e da cui è rimbalzato terminando la caduta».Allora nessuno si oppose alla chiusura del caso, né vennero fatte controperizie: non c'erano indagati, né elementi nuovi per procedere. Poi si è aperta una causa civile per culpa in vigilando, tuttora in corso, contro il Ministero dell'Istruzione, poiché secondo Rabà e l'avvocato che la assiste, Alfredo Perugi, il liceo Enrico Fermi avrebbe giocato un ruolo non secondario. Sara in questi anni si è rivolta a consulenti esterni, ma le risposte sono rimaste sospese. «Non mi vergogno a dire che, purtroppo, la mia condizione economica non mi ha aiutata». La Verità è in possesso di una controperizia che evidenzierebbe un errore: poiché la velocità orizzontale della caduta è stata calcolata dalla sommità del palazzo e non ad altezza finestra. I parametri non sarebbero corretti in partenza. Inoltre, non è stato considerato l'attrito dell'aria, che da altezze come queste non è affatto trascurabile. E potrebbe non escludere a priori una caduta accidentale. E poi. «Come è possibile diagnosticare la depressione in un ragazzo mai stato in cura in vita sua? Un ragazzo che non aveva mai manifestato atteggiamenti riconducibili a un disagio così profondo? Elia era vivace, per certi versi incontenibile. Era un punto di riferimento per molti dei suoi amici, compagni di scuola, di calcio… Non c'è una sola persona che ricordi in lui tristezza, malumori, vuoti. Nell'estate del 2015 mi svegliò alle 3 del mattino perché voleva a tutti i costi che lo aiutassi a scrivere con una bomboletta spray sulla strada una dedica a una ragazza. «Mamma, scrivi tu che sei più brava, e mettici anche un cuore. Scrivi “Sei mia, fidati di me"», mi aveva detto». Sara apre il libro con le dediche fatte al figlio. Una parola ricorre: sorriso. il nodo del cellulareL'altro mistero riguarda il telefonino del giovane. «Non è stato ispezionato perché non sono stata in grado, ahimé, di fornire i codici di accesso del suo Iphone», ammette la mamma. «Tuttavia alle 2.15 del mattino Elia era su Whatsapp. Cosa stava facendo? E se invece stesse chiedendo aiuto?». Un compagno di scuola racconta che il ragazzo stava male già nel pomeriggio. Forse una congestione. Altri raccontano che la sera, in camera, diceva: «Il fumo mi ha preso male». È davvero così folle ipotizzare che per via del malessere fisico non si sia sporto cercando aria e che forse sia caduto nel vuoto? Elia non era un consumatore abituale di sostanze, come si legge negli atti. Gli esami tossicologici avevano rilevato minime concentrazioni di Thc, ma la letteratura indica che «nei consumatori occasionali gli effetti anche in piccole dosi possono essere sgradevoli: nausea, palpitazioni, paura, difficoltà nell'autocontrollo».E qui si apre un'altra voragine per Sara: la scuola. «Dove erano i professori?». Passo indietro. Gli studenti erano a Milano per Expo. Durante la giornata del 14 ottobre, i ragazzi (svegli dalle 4 del mattino per la trasferta in pullman da Cecina) sarebbero arrivati a Milano alle 11. Unico controllo numerico alle 18, in un punto di ritrovo comune. A «monitorarli», dalle 13 alle 22, soltanto un gruppo WhatsApp. Elia e i suoi compagni bevono alcolici. Alle 23.30 circa rientrano in albergo e fino alle 2.30 entrano ed escono dalle loro camere. «Tutti abbiamo fatto bravate in gita. Ma mi lascia senza parole è la totale assenza di controllo da parte dei professori». Nelle note difensive del Miur (è in corso una causa civile) si legge che i ragazzi a quell'età sono in grado di gestirsi. E che Expo è un luogo chiuso dove vigeva il divieto di somministrare alcolici ai minori. Sara si chiede: «Perché io, madre, devo firmare un'autorizzazione per mandare mio figlio minorenne in gita se la scuola promuove la totale autogestione? Alla domanda della rappresentante di classe su che cosa avrebbero fatto i ragazzi a Milano, la scuola ha risposto “Ecco il link dell'albergo dove dormiremo". Perché nessun professore ha ravvisato qualche stato di eccitazione dopo che hanno assunto alcool? Perché se Elia stava male nessuno si è preoccupato?».La madre non incolpa i professori della morte del figlio, ma pensa che forse un maggiore controllo avrebbe potuto evitare l'epilogo. Un mese dopo il funerale è andata al liceo Fermi. «Mi hanno detto: “Signora, perché è qui? Le risposte alle sue domande possono ridarle suo figlio?". Me ne sono andata quasi subito. Ho capito che quella busta bianca di condoglianze dell'Istituto Fermi, accompagnate da 100 euro, che mi sono ritrovata tra le mani il giorno del funerale, in chiesa, seduta davanti all'urna di mio figlio, era una porta in faccia alla mia disperazione, ai miei perché. E alla dignità di Elia». Il Camplus Living Turro è una struttura che accoglie prevalentemente studenti di tutte le età. Benché non ci sia una legge che imponga particolari messe in sicurezza, destano un certo stupore le enormi finestre completamente apribili. Da due telefonate, fatte dalla Verità in momenti diversi, alla specifica domanda: «Dopo la tragedia del 15 ottobre del 2015 sono stati fatti lavori di ristrutturazione?» sono emerse due versioni opposte. Il primo operatore, senza nessuna esitazione, ha confermato la messa in sicurezza, fermi alle finestre compresi. Il secondo ha chiesto di richiamare il giorno dopo perché non era in grado di rispondere. Ricontattato, ha detto: «Mi sono informato. Nulla è stato fatto perché nulla era necessario fare». Domani la causa civile, salvo ulteriori rimandi, si chiuderà. «L'avvocato Perugi non è ottimista. Il giudice non ha accolto la nostra richiesta di portare testimoni in aula. Mi ritroverò, forse, a dover pagare le spese legali della controparte. In caso di risarcimento, darò tutto in beneficenza. Nemmeno il pane ci comprerei con quei soldi». Sara è un lumicino di un metro e sessanta, lacerata e al tempo lucida, pronta a combattere. È disposta perfino ad accettare che Elia si sia tolto la vita a causa della depressione. «Ma qualcuno mi dia la prova di questo».
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È stato pubblicato sul portale governativo InPA il quarto Maxi Avviso ASMEL, aperto da oggi fino al 30 settembre. L’iniziativa, promossa dall’Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali (ASMEL), punta a creare e aggiornare le liste di 37 profili professionali, rivolti a laureati, diplomati e operai specializzati. Potranno candidarsi tutti gli interessati accedendo al sito www.asmelab.it.
I 4.678 Comuni soci ASMEL potranno attingere a queste graduatorie per le proprie assunzioni. La procedura, introdotta nel 2021 con il Decreto Reclutamento e subito adottata dagli enti ASMEL, ha già permesso l’assunzione di 1.000 figure professionali, con altre 500 selezioni attualmente in corso. I candidati affrontano una selezione nazionale online: chi supera le prove viene inserito negli Elenchi Idonei, da cui i Comuni possono attingere in qualsiasi momento attraverso procedure snelle, i cosiddetti interpelli.
Un aspetto centrale è la territorialità. Gli iscritti possono scegliere di lavorare nei Comuni del proprio territorio, coniugando esigenze professionali e familiari. Per gli enti locali questo significa personale radicato, motivato e capace di rafforzare il rapporto tra amministrazione e comunità.
Il segretario generale di ASMEL, Francesco Pinto, sottolinea i vantaggi della procedura: «L’esperienza maturata dimostra che questa modalità assicura ai Comuni soci un processo selettivo della durata di sole quattro settimane, grazie a una digitalizzazione sempre più spinta. Inoltre, consente ai funzionari comunali di lavorare vicino alle proprie comunità, garantendo continuità, fidelizzazione e servizi migliori. I dati confermano che chi viene assunto tramite ASMEL ha un tasso di dimissioni significativamente più basso rispetto ai concorsi tradizionali, a dimostrazione di una maggiore stabilità e soddisfazione».
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Roberto Occhiuto (Imagoeconomica)