2022-06-03
A 96 anni la Regina insegna il futuro ai leader che fingono di essere giovani
La Regina Elisabetta II (Chris Jackson/Getty Images)
Elisabetta II, festeggiando i 70 anni di regno che hanno unito gli inglesi, ha incoraggiato «a guardare avanti con entusiasmo».C’è una doppia eccezionalità nella ricorrenza del Platinum Jubilee, cioè nei 70 anni di regno di Elisabetta II, oggetto di una lunghissima celebrazione che durerà fino al 5 giugno prossimo: per un verso, la straordinaria parabola personale della sovrana; per altro verso, l’oggettiva vitalità della monarchia britannica come istituzione.Per ciò che riguarda specificamente questa regina, parla da sé un video, da anni virale sui social, che mostra il volto di Elisabetta (via via giovanissima, poi adulta, poi matura, e infine come la ricordiamo più di recente) affiancato alle immagini dei primi ministri che hanno servito durante il suo regno. È una galleria che lascia letteralmente senza fiato: in sequenza, dal 1952 a oggi, Winston Churchill, Anthony Eden, Harold Macmillan, Alec Douglas Home, Harold Wilson, Edward Heath, James Callaghan, Margaret Thatcher, John Major, Tony Blair, Gordon Brown, David Cameron, Theresa May, Boris Johnson. È sufficiente rileggere questi nomi per fare una cavalcata nella storia, per attraversare epoche diversissime, per transitare dal secondo dopoguerra fino ai cupi anni Settanta, e poi dalla gloriosa stagione thatcheriana al riformismo blairiano, fino agli ultimi anni segnati dalla scelta di Brexit e dal ritorno di una Global Britain. In tutto il mondo, non c’è un solo personaggio - tranne, appunto, Elisabetta - a cui sia capitato in sorte di guidare un’istituzione per un arco temporale così ampio, disegnando una traiettoria unica. Con un sorriso, basterebbe ricordare che, di quei primi ministri, sono tuttora viventi solo sei persone: Major, Blair, Brown, Cameron, la May, e naturalmente Johnson. Poi c’è il secondo piano di riflessione, che riguarda la monarchia britannica come istituzione. E qui si tratta di superare i pregiudizi: vivendo noi in una Repubblica, e avendo alle spalle - in Italia - prove novecentesche non lusinghiere della nostra monarchia, si potrebbe essere portati, in modo automatico e quasi inintenzionale, a immaginare le monarchie (tutte le monarchie) come fenomeni fuori dalla storia, impensabili, retaggi del passato. Ma come: un sovrano per diritto familiare e di sangue? A pensarci meglio, però, le cose sono più complesse: anche perché, a partire proprio dal Regno Unito, alcune monarchie sono state storicamente capaci di aiutare il loro Paese a resistere agli incubi del Novecento. Ma c’è di più: quando funzionano, le monarchie sono per definizione l’istituzione che cuce passato e presente, un bastione della tradizione e insieme un elemento di modernizzazione, accompagnando dolcemente le trasformazioni della società, incoraggiandole e insieme rispecchiandole. Ovvio che in politica a decidere sia il Parlamento, in base al voto dei cittadini. Dalla Magna Charta in poi, i britannici hanno spiegato al mondo cosa siano le istituzioni rappresentative e quanto sia sana la limitazione del potere. Ma è significativo che, al di là della contesa politica, ci sia un punto (un luogo «simbolico») capace davvero di esprimere unità, senso di appartenenza e condivisione. Molto più di quanto possano farlo le repubbliche dei partiti, o cariche istituzionali monopolizzate da uomini di fazione, che difficilmente - nonostante la «grazia di stato» - possono essere o apparire o diventare del tutto «terzi». E con un felice paradosso - lo notava ieri sul Telegraph di Londra Allister Heath - proprio la monarchia, oggi, esprime bene quel senso di limitazione del potere assoluto che la Magna Charta volle introdurre per arginare il sovrano. A parti invertite, adesso è proprio l’istituzione monarchica a ricordare ai politici pro tempore al potere che non hanno «controllo totale», che sopra di loro ci sono principi e istituzioni che dureranno anche dopo ogni singola stagione di governo. È evidente che il Regno Unito ha una storia del tutto peculiare, ben diversa da altre monarchie e altre case reali. Ma sarebbe il caso di discutere laicamente anche di questi temi, senza pregiudizi, senza schemini precostituiti. Pensate alla «performance» della nostra Repubblica e delle sue istituzioni: in tutta sincerità, possiamo dire di essere davvero uniti, al di là delle sane e fisiologiche divisioni politiche? Ci sono legami profondi che ci facciano sentire tutti parte di qualcosa di comune? Ci sono vincoli che ci aiutino a rendere più accettabile l’idea di poter perdere un’elezione e di essere governati dagli altri, da chi ci è più lontano, senza timori e con autentica fiducia? Con onestà intellettuale, si fa fatica a rispondere tre volte «sì» e senza incertezze a queste domande.In questo quadro, non stupisce il messaggio che Elisabetta ha rivolto alla Gran Bretagna, e che ieri era ovviamente in apertura su tutti i quotidiani del Regno Unito: «Guardare al futuro con fiducia ed entusiasmo». Ecco, una meravigliosa signora di 96 anni può permettersi - credibilmente - di scommettere sull’ottimismo, e di essere ascoltata con rispetto e ammirazione affettuosa. Non possono farlo - ahiloro - molti leader giovani e giovanilisti in giro per il mondo: hanno dalla propria parte l’anagrafe, certo, ma quelle stesse parole, pronunciate da loro, suonerebbero ipocrite, insincere, non credibili e dunque non credute. God save the Queen.
Jose Mourinho (Getty Images)