2021-05-08
Zingaretti pronto per l’ultima spiaggia del Campidoglio
Nicola Zingaretti (getty images)
L’ex segretario Pd sta per candidarsi come sindaco di Roma nonostante le smentite. Il centrodestra non si accorda sui nomiNicola Zingaretti ha smentito almeno cinque volte in 60 giorni di volersi candidare a sindaco di Roma. Una smentita più netta dell’altra, sempre in occasioni pubbliche o comunque in dichiarazioni ufficiali. Dunque - ironizza chi lo conosce bene - è probabile si candiderà. E, secondo antica e consolidata tradizione comunista, sono già pronti i due argomenti classici per giustificare il testacoda. Quello - si fa per dire - oggettivo: «È cambiato il contesto». E quello - per così dire - soggettivo: «Come fa a resistere alle richieste pressanti dei compagni?». ? Come possa andare, lo ha fatto capire ieri Debora Serracchiani: «Zingaretti è una persona responsabile e farà tutte le valutazioni insieme a Enrico Letta». E lo stesso Zinga, sempre ieri, è stato vaghissimo e più aperturista: «Io mi occupo di Roma tutti i giorni. Siamo con il cuore e con la testa su Roma».In ogni caso, ormai è questione di giorni per capire come finirà il film. E del resto, non è un caso se da tanti anni il soprannome di Zingaretti nel partito è «Er Saponetta», a testimonianza di una leggendaria attitudine a svicolare e scivolare via. Certo, fa una notevole impressione rileggere la solenne nettezza dei dinieghi. Ecco cosa diceva il 5 marzo, il giorno dopo il post fiammeggiante in cui aveva annunciato le polemicissime dimissioni da segretario del Pd: «Non mi candido a Roma». Vi pare poco? E allora ecco la comparsata su La7, a DiMartedì, il 23 marzo: «Io sono presidente della Regione fino al 2023, faccio l’amministratore da 14 anni perché in questa città e Regione ho sempre vinto le elezioni. Mi auguro che la mia comunità metta in campo altre risorse perché io voglio continuare a portare avanti questa missione». E ancora, a scanso di equivoci: «Non mi candido, vorrei continuare a portare avanti questa missione di governatore». Volete la terza prova? È l’8 aprile: «Non mi candido sindaco di Roma. Basta totonomi». Le cronache riferiscono di una domanda: «Ha cambiato idea sulla sua candidatura a sindaco?», e di un «no» prolungato con la testa, a mo’ di risposta inequivocabile. La quarta prova arriva di nuovo in tv, il 22 aprile, ospite su Rai 1 di Oggi è un altro giorno. Qui Zingaretti si lancia in elogi sperticati per l’ex ministro Roberto Gualtieri, apparentemente spingendo per la candidatura dell’ex titolare del Mef: «Vorrei continuare a fare il presidente della Regione perché penso che in questa campagna vaccinale sia importante chiudere un percorso. Sono contento e ringrazio veramente perché governo da 14 anni questo territorio e questo calore mi fa piacere, ma abbiamo per fortuna scelto le primarie e a Roma c’è una ricchezza di personalità che con le primarie possono vincere. Penso ad esempio a Roberto Gualtieri, che è stato un eccellente ministro del Tesoro: insieme a tanti altri ha salvato l’Italia è potrebbe essere un’altra straordinaria figura». Avete letto bene: «Straordinaria». Zingaretti non si ferma più, e offre un quadro elegiaco del dibattito nel Pd: «Sono contento che ci sia un bel clima tra di noi. Nessuna guerra, nessuna ostilità. Ci sono tante personalità in campo, penso che Gualtieri sia veramente stato un ottimo ministro che ha preso in mano l’Italia in un momento delicato. […] Io sto lavorando per continuare a fare il presidente […]. Il centrosinistra non deluderà Roma». Più una minaccia che una promessa, a pensarci bene. La quinta prova è arrivata il 26 aprile su Rainews24: «Io non ne faccio una questione personale ma pongo un tema politico: sono il primo presidente della Regione Lazio eletto per due volte di fila. Abbiamo risanato sanità, trasporti, abbiamo fatto investimenti anche sul digitale. Voglio portare la mia gente fuori dell’incubo del Covid. Sono stato eletto per servire la mia comunità: non posso interrompere questo lavoro durante un’emergenza sanitaria come questa facendo un’altra scelta». E ancora: «Nella mia vita ho sempre messo al primo posto la missione. Devo ringraziare i cittadini per essere stato eletto due volte e ora, con la campagna vaccinale al centro, come faccio a pensare “Arrivederci, vado via”?». Sta di fatto che invece, da un paio di giorni, il tam tam sulla sua candidatura è sempre più insistente. C’è anche chi già ragiona (come se il calendario elettorale fosse un vestito da adattare sul corpo del Pd) su quando tenere (a dicembre) le eventuali elezioni per la Regione, lasciando anche il tempo per far maturare un ulteriore accordo tra Pd e M5s. Resta tuttavia una grande amarezza a destra, per il ritardo e lo sconcertante quadro di confusione con cui, un po’ dappertutto, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia si stanno preparando alle amministrative. A Roma sembra archiviata l’ipotesi di Guido Bertolaso, a Milano è sepolta la candidatura di Gabriele Albertini, e non ci sono certezze nemmeno a Torino, Bologna, Napoli. Dopo che l’altra sera a Porta a Porta Matteo Salvini ha evocato veti («La Lega costruisce e qualcun altro disfa»), Giorgia Meloni ha negato («Mai detto no ad alcun candidato»). Un tavolo è stato convocato per i prossimi giorni, a quanto pare non tra i leader ma tra i responsabili dei partiti per gli enti locali. Resta un mistero: come sia possibile che una coalizione avanti di una decina di punti sul piano nazionale possa trovarsi così impreparata e in difficoltà nella selezione dei candidati per una sfida amministrativa tanto rilevante.