2023-08-29
Zelensky apre ai negoziati. «In Crimea è possibile una soluzione politica»
Per la prima volta, il presidente ventila l’ipotesi della rinuncia alla penisola Intanto, per autorizzare le elezioni a marzo 2024, chiede altri soldi agli alleati.Dopo mesi di intransigenza assoluta, Volodymyr Zelensky ha clamorosamente aperto alle trattative con la Russia per la disputa territoriale sulla Crimea: «È possibile e anche preferibile negoziare una soluzione politica per la Crimea», ha dichiarato il presidente ucraino in un’intervista all’emittente 1+1. «Quando saremo ai confini amministrativi della Crimea», ha specificato Zelensky, «penso che sia possibile forzare politicamente la smilitarizzazione della Russia sul territorio della penisola». In effetti, ha aggiunto il presidente, «penso che sarebbe la soluzione migliore», anche perché, intavolando trattative politiche, «ci saranno meno vittime».Queste dichiarazioni, non c’è dubbio, segnano una svolta notevole. Da sempre, infatti, Zelenky e i suoi collaboratori erano stati categorici: la guerra finirà solo quando Kiev avrà ristabilito la sua piena sovranità su tutti i territori appartenenti all’Ucraina fino al 2014. Donbass e Crimea incluse. Al tempo stesso, però, il presidente e i suoi uomini hanno più volte ripetuto che le ostilità vanno concluse il prima possibile: senza un’azione risolutiva, il conflitto entrerebbe in una fase di congelamento prolungato, che non può che favorire la Russia. Allora perché Zelensky, dopo tanti proclami altisonanti, ha aperto ora a una risoluzione non militare della contesa sulla Crimea? Per capirlo, dobbiamo partire da un presupposto: la controffensiva ucraina non ha finora fruttato alcun successo strategico. La stampa occidentale ha ricamato sul recente sfondamento del fronte meridionale lungo la direttrice Zaporizhzhia-Tokmak, ma si tratta tutt’al più di piccoli progressi, a cui fa da contraltare l’avanzata russa nel settore di Kupyansk e nella regione di Kharkiv. Ultimamente le forze armate ucraine stanno dando grande risalto agli attacchi di droni in territorio russo. Rimane forte l’impressione che l’enfasi posta sulle incursioni aeree abbia il preciso scopo di distogliere l’attenzione dalle operazioni terrestri, fin qui piuttosto deludenti e dispendiose sia in termini di mezzi che di uomini. Stesso discorso si può svolgere sugli F-16. Come aveva spiegato di recente il portavoce dell’aeronautica ucraina, questi caccia multiruolo «sono in grado di garantirci la supremazia aerea nei territori occupati». La realtà è che si tratta di apparecchi datati (non a caso radiati dalle forze aeree olandesi e danesi) e che, comunque, non saranno consegnati prima della fine dell’anno (almeno i primi lotti). Non stupisce allora che, dopo i toni trionfalistici degli ultimi giorni, adesso si inizi a tornare alla realtà: «Gli F-16 saranno operativi forse nella primavera del 2024», ha dichiarato alla Bild il ministro della Difesa ucraino, Oleksii Reznikov. Senza contare il periodo di addestramento del personale e la messa a punto delle infrastrutture e della logistica necessarie. Tradotto: due dozzine di F-16 non sposteranno gli equilibri del conflitto.Tra l’altro, il tempo a disposizione delle truppe ucraine si sta assottigliando sempre di più. Tra fine settembre e novembre, infatti, sono previste le grandi piogge autunnali, che renderanno molto difficoltoso condurre operazioni belliche in grande stile e con impiego di mezzi pesanti. Ma c’è dell’altro. Circa una settimana fa, il Washington Post ha citato un rapporto dei servizi segreti statunitensi, il quale sostiene che l’Ucraina non è in grado di conquistare Melitopol, obiettivo strategico fondamentale per tagliare in due le difese russe. Non va poi dimenticato che, negli Stati Uniti, è già iniziata la campagna elettorale per le presidenziali del 2024. Molti candidati alle primarie, sia repubblicani (Donald Trump e Vivek Ramaswamy) che democratici (Robert Kennedy Jr.), nei loro programmi spingono per una risoluzione pacifica del conflitto, con concessioni territoriali da parte di Kiev. Niente di diverso, a pensarci bene, da quanto dichiarato lo scorso giugno da Barack Obama, che difese il mancato intervento americano in Crimea nel 2014 con una semplice constatazione: la regione «era piena di russofoni e c’era una certa simpatia per le posizioni assunte dalla Russia». Insomma, a parole sono quasi tutti con l’Ucraina. Ma, nei fatti, Zelensky appare sempre più solo.Sarà per questo che il senatore repubblicano Lindsey Graham, in visita a Kiev lo scorso 23 agosto, l’ha incalzato sulla questione delle elezioni, in teoria previste a marzo 2024, ma messe al rischio dal rinnovo della legge marziale, che scade ogni 90 giorni e sarà prorogata il 15 novembre. Graham ha esortato Zelensky a dimostrarsi diverso da Vladimir Putin, permettendo che le consultazioni si svolgano anche mentre il Paese è sotto attacco. «Ho dato a Lindsey una risposta molto semplice», ha spiegato il leader ucraino alla giornalista Natalia Mosiychuck. «Gli ho detto: se gli Stati Uniti e l’Europa ci danno sostegno finanziario... Mi dispiace, non terrò elezioni a credito, non prenderò soldi forniti per le armi per dirottarli sulle elezioni». Servirebbe aiuto anche per garantire l’accesso alle urne ai profughi. In più, Zelensky ha chiesto di «inviare osservatori in prima linea, in modo da avere elezioni legittime».
Jose Mourinho (Getty Images)