2024-11-24
Le aziende ora mollano i diktat woke: Warner Bros difende la Rowling
JK Rowling (Getty Images)
La società, che sta producendo una serie su «Harry Potter», si schiera con l’autrice dopo gli attacchi trans. Non è il primo gruppo a fare retro. Invece il governo inglese benedice la sorveglianza sull’«odio» online. La grande bestia è ferita, forse mortalmente, ma si dibatte rabbiosa, non si rassegna a crollare. Eppure sono berci finali, i suoi: il cerbero woke aveva le zanne e gli artigli consumati già da tempo, ma la bastonata trumpiana potrebbe provocarne la morte. Da mesi un numero crescente di aziende statunitensi e non solo è entrato nella fase di rigetto delle politiche cosiddette Dei (Diversity, equity, inclusion) che si erano imposte nella dimenticabile era di Joe Biden.Marchi storici hanno scelto di non prestarsi più alle valutazioni del Corporate equality index (Cei), sorta di bollino arcobaleno ideato dalla associazione Human rights campaign, nota fra le altre cose per il supporto offerto a Kamala Harris. Harley Davidson ha mollato già lo scorso aprile. Poco dopo Jim Farley, ad di Ford, ha inviato ai suoi sottoposti una nota in cui spiegava di voler concentrare «i nostri sforzi e le nostre risorse nell’occuparci dei nostri clienti, del nostro team e delle nostre comunità, non nel commentare pubblicamente i tanti temi polarizzanti della quotidianità». A ruota tanti altri: la nota azienda produttrice di macchine agricole John Deere, Jack Daniel’s, la birra Coors. Ancora prima, Bud light era stata costretta da un notevole calo delle vendite a cancellare una campagna pubblicitaria con una influencer trans come testimonial.In questi giorni si segnala un nuovo caso abbastanza clamoroso e decisamente inedito: per la prima volta anche una emittente televisiva (nello specifico Hbo) sembra avere deciso di abiurare pubblicamente il culto woke. La faccenda è sorprendente perché le corporation dell’intrattenimento sono sempre state l’avanguardia della correttezza politica, la divisione corazzata del wokismo (si pensi a piattaforme come Netflix o Disney, custodi dell’ortodossia progressista). In questo caso, però, l’emittente americana nota per la produzione di show televisivi di grande successo ha preso le parti di una autrice che i fautori dell’inclusione vedono come fumo negli occhi, ovvero J.K. Rowling. Come noto, da un po’ di tempo la scrittrice - che pure è sinistrorsa e sostenitrice dei diritti dei gay - è oggetto di un odio feroce da parte degli attivisti transgender poiché ha osato dire che esiste la differenza sessuale e che maschile e femminile sono realtà concrete e non invenzioni dell’eteropatriarcato. Ora, si dà il caso che Hbo stia lavorando a una nuova serie dedicata a Harry Potter, e non appena i giornali ne hanno dato annuncio i militanti nemici della Rowling si sono scatenati invocando le peggiori sciagure ai danni della loro nemica. A quel punto, è accaduto l’imponderabile: l’emittente ha diffuso un comunicato in cui si spiega che Warner Bros (azienda madre di Hbo) «collabora con J. K. Rowling da più di 20 anni, e il suo contributo è stato inestimabile. Siamo fieri di raccontare di nuovo la storia di Harry Potter, una saga commovente che parla del potere dell’amicizia, della determinazione e dell’accettazione. J. K. Rowling ha il diritto di esprimere i propri punti di vista; resteremo in ogni caso focalizzati sulla serie, che potrà solo beneficiare del suo contributo».Queste frasi risultano ancora più significative se si considera che, quando arrivarono i primi attacchi alla Rowling, Warner Bros si mostrò piuttosto timida, ed evitò accuratamente di difendere la libertà espressione dell’autrice. È un segno chiaro del fatto che il vento è cambiato e anche i giganti dell’entertainment ne stanno almeno in parte prendendo atto al pari di tante altre aziende più o meno grandi.Tale evidenza conferma ciò che Carl Rhodes, autore del più approfondito saggio sull’argomento pubblicato in Italia da Fazi editore, scrisse riguardo al capitalismo woke: «I veri attivisti sono persone che prendono posizioni talvolta molto difficili da sostenere in nome della giustizia, e rischiano. Le corporation non lo fanno. Quando scelgono una particolare posizione significa che sanno che l’opinione pubblica e soprattutto i loro clienti hanno già deciso quale parte sposare. È come se scommettessero su un risultato sapendo già che uscirà: non mettono mai i loro profitti a rischio. Il capitalismo woke è sempre e comunque capitalismo, non meno di ogni altra forma di capitalismo: ha un’agenda da seguire e quindi va sempre a cercare quello che considera sicuro».Cristallino. Le battaglie per la cosiddetta inclusione non sono mai state lotte sociali, ma campagne di marketing. Ora una bella fetta di consumatori si è stancata del politicamente corretto, e le corporation in larga parte si adattano. Quelle che non lo fanno rischiano figure barbine come quella rimediata dalla celebra casa automobilistica Jaguar, che pochi giorni fa - in previsione del balzo nel mercato dell’elettrico - ha lanciato un rebranding dal sapore molto woke e con potenti tonalità arcobaleno. Dopo l’uragano di critiche via social (tra cui quelle di Elon Musk), il capo di Jaguar ha risposto piccato accusando i contestatori di essere vili odiatori e intolleranti. Una replica tristanzuola, patetica come quelle degli artisti che, fischiati, accusano il pubblico di non aver compreso la loro grandezza.Che sia in corso una robusta virata sui temi del wokismo è sicuramente una splendida notizia. La bestia è ferita, il trionfo di Trump è al contempo il sigillo dei tempi che cambiano e un formidabile catalizzatore del mutamento. Occhio, però, a non dare la guerra per vinta prima del tempo. Le aziende fanno presto a reinventarsi, il resto della società un po’ meno. Nelle università, nei media e nella politica il wokismo è meno forte ma ancora dominante con vari livelli di intensità, soprattutto laddove i liberal comandano. Piccolo esempio. Nel Regno Unito è esploso uno scandalo riguardante i cosiddetti «incidenti di odio non criminali». Si è scoperto che le Forze dell’ordine scandagliano il Web e tengono nota di post pubblicati dai cittadini che potrebbero «alimentare l’odio» nei confronti delle minoranze. Inchieste giornalistiche hanno reso noto che la polizia ha registrato anche commenti scritti da ragazzini o ha tenuto conto di segnalazioni semplicemente ridicole (una mancata stretta di mano presentata come atto di odio, fra le altre cose). Si tratta ovviamente di una tremenda minaccia alla libertà di espressione, ma tutto ciò non ha scosso il segretario degli Affari interni laburista Yvette Cooper. La quale non soltanto non intende allentare la sorveglianza, ma sembra addirittura (lo ha raccontato ieri il Telegraph) intenzionata a inasprire le misure «anti odio», soprattutto quelle riguardanti islamofobia e antisemitismo.I popoli rifiutano il wokismo e il mercato inizia a adattarsi, ma le élite politiche non hanno ancora mollato il colpo. La grande bestia è ferita, ma non crolla.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.