2023-02-18
Wang a Roma spinge su affari e commerci ma la Via della seta resta tuttora un tabù
Sergio Mattarella e Wang Yi (Ansa)
Il diplomatico cinese vede Sergio Mattarella e Antonio Tajani. Il rinnovo dell’accordo irriterebbe gli Usa. Però chiudere non si può.Il rinnovo del memorandum sulla Belt and road initiative, firmato nel 2019 dal governo gialloverde di Giuseppe Conte e lasciato in sospeso da Mario Draghi, è un tabù che per il momento né la Cina né l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni sembrano voler affrontare. Lo confermano i toni delle dichiarazioni rese dopo la visita a Roma del capo della diplomazia di Pechino, Wang Yi. Che giovedì sera ha incontrato alla Farnesina il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e ieri mattina è stato ricevuto al Quirinale dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’accordo, ricordiamolo, scade a marzo 2024 ma si rinnova automaticamente alla fine di quest’anno a meno che una delle due parti non comunichi un passo indietro. Roma ha quindi tempo fino a dicembre per decidere e non far scattare la proroga automatica del protocollo. Aprire a un rinnovo significa scatenare le prevedibili reazioni degli Stati Uniti. Al tempo stesso, chiudere già adesso la porta alla Cina, diventerebbe controproducente per le relazioni commerciali con il Dragone ma anche uno sgarro diplomatico proprio mentre l’Italia - e altri Paesi come la Francia - sono scesi in pressing su Xi Jinping affinché faccia da mediatore con Vladimir Putin, sostituendosi alla Turchia. Se è chiara la necessità cinese di trovare una sponda europea per evitare il decoupling minacciato dagli Usa, mantenendo però un funambolico equilibrio rispetto ai rapporti con Mosca, è però anche vero che affidare alla Cina il compito di negoziare la pace può avere delle conseguenze al momento imprevedibili. In sostanza, rischia di dare al Dragone un credito che chissà come verrà riscattato in futuro. Ed ecco, quindi, i toni di ieri. Ultra diplomatici e dosati con il bilancino. Partiamo dalle parole di Wang Yi riportate dalla diplomazia cinese: «La Cina è pronta ad approfondire la cooperazione strategica globale con l’Italia», osservando che la firma del memorandum sulla Via della seta «ha notevolmente migliorato il livello strategico delle relazioni bilaterali», avrebbe detto il capo della diplomazia del Partito comunista cinese nel colloquio con Tajani, aggiungendo che il governo di Pechino è disposto ad «aumentare l’import di prodotti italiani di alta qualità» nonché «a supportare la aziende italiane nella loro crescita sul mercato cinese» perché i due Paesi «possono sfruttare il potenziale della cooperazione nell’economia verde e digitale» e ottenere risultati positivi sperando «che l’Italia fornisca alle aziende cinesi un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio». Dopo la pandemia del Covid-19, ha poi sottolineato nel resoconto della diplomazia cinese, Pechino e Roma possono riprendere «in modo completo» gli scambi e la cooperazione in vari campi, rafforzando ulteriormente le relazioni. Quanto all’incontro di ieri con Mattarella, il capo della diplomazia del Pcc avrebbe invitato, a nome del presidente Xi Jinping, il presidente della Repubblica in Cina. Tra i temi toccati nel faccia a faccia non è ovviamente mancata l’Ucraina. Mattarella, secondo quanto si apprende, ha invitato la Cina a far valere la propria influenza su Mosca per arrivare alla pace. Wang, riporta sempre una nota del ministero degli Esteri cinese, ha evidenziato che il suo Paese «crede fermamente che la tendenza alla pace, allo sviluppo e alla cooperazione sia irresistibile», e che non ci sia posto per l’unilateralismo, il protezionismo e l’egemonismo. Difetti, però, che Pechino attribuisce agli Stati Uniti.Alla visita al Quirinale ieri era presente anche il ministro Tajani che in un’intervista radiofonica ha riferito altri dettagli sulla trasferta romana di Wang: «Ha detto che il presidente cinese, Xi Jinping, farà un discorso di pace» in occasione in occasione del primo anno di guerra in Ucraina. «Ha insistito sulla pace, ha detto che la Cina vuole la pace», ha aggiunto Tajani spiegando di avere chiesto a Wang «di esercitare tutta la forza che un grande Paese quale la Cina ha nei confronti della Russia, per porre fine alla guerra che ormai dura da un anno». Non solo, perché al capo della diplomazia cinese «ho anche detto quali sono le nostre idee, da dove si dovrebbe cominciare» a costruire la pace. Innanzitutto «creare una zona neutra attorno a Zaporizhzhia, dove si trova la centrale nucleare. Poi, occorre rafforzare i corridoi per il trasporto dei cereali, che sono indispensabili alla popolazione africana». Tajani rivendica di aver «sempre incoraggiato la Turchia perché facesse la mediazione» per lo sblocco dei corridoi del grano. «Con la Cina, però, c’è da risolvere anche la questione legata al rinnovo degli accordi per la Via della seta. Ma per quello c’è ancora tempo fino alla fine dell’anno, stiamo valutando la situazione, il governo deciderà il da farsi al momento opportuno».
La deposizione in mare della corona nell'esatto luogo della tragedia del 9 novembre 1971 (Esercito Italiano)
Quarantasei giovani parà della «Folgore» inghiottiti dalle acque del mar Tirreno. E con loro sei aviatori della Royal Air Force, altrettanto giovani. La sciagura aerea del 9 novembre 1971 fece così impressione che il Corriere della Sera uscì il giorno successivo con un corsivo di Dino Buzzati. Il grande giornalista e scrittore vergò alcune frasi di estrema efficacia, sconvolto da quello che fino ad oggi risulta essere il più grave incidente aereo per le Forze Armate italiane. Alle sue parole incisive e commosse lasciamo l’introduzione alla storia di una catastrofe di oltre mezzo secolo fa.
(…) Forse perché la Patria è passata di moda, anzi dà quasi fastidio a sentirla nominare e si scrive con la iniziale minuscola? E così dà fastidio la difesa della medesima Patria e tutto ciò che vi appartiene, compresi i ragazzi che indossano l’uniforme militare? (…). Buzzati lamentava la scarsa commozione degli Italiani nei confronti della morte di giovani paracadutisti, paragonandola all’eco che ebbe una tragedia del 1947 avvenuta ad Albenga in cui 43 bambini di una colonia erano morti annegati. Forti le sue parole a chiusura del pezzo: (…) Ora se ne vanno, con i sei compagni stranieri. Guardateli, se ci riuscite. Personalmente mi fanno ancora più pietà dei leggendari piccoli di Albenga. Non si disperano, non singhiozzano, non maledicono. Spalla a spalla si allontanano. Diritti, pallidi sì ma senza un tremito, a testa alta, con quel passo lieve e fermissimo che nei tempi antichi si diceva appartenesse agli eroi e che oggi sembra completamente dimenticato (…)
Non li hanno dimenticati, a oltre mezzo secolo di distanza, gli uomini della Folgore di oggi, che hanno commemorato i caduti di quella che è nota come la «tragedia della Meloria» con una cerimonia che ha coinvolto, oltre alle autorità, anche i parenti delle vittime.
La commemorazione si è conclusa con la deposizione di una corona in mare, nel punto esatto del tragico impatto, effettuata a bordo di un battello in segno di eterno ricordo e di continuità tra passato e presente.
Nelle prime ore del 9 novembre 1971, i parà del 187° Reggimento Folgore si imbarcarono sui Lockheed C-130 della Raf per partecipare ad una missione di addestramento Nato, dove avrebbero dovuto effettuare un «lancio tattico» sulla Sardegna. La tragedia si consumò poco dopo il decollo dall’aeroporto militare di Pisa-San Giusto, da dove in sequenza si stavano alzando 10 velivoli denominati convenzionalmente «Gesso». Fu uno di essi, «Gesso 5» a lanciare l’allarme dopo avere visto una fiammata sulla superficie del mare. L’aereo che lo precedeva, «Gesso 4» non rispose alla chiamata radio poiché istanti prima aveva impattato sulle acque a poca distanza dalle Secche della Meloria, circa 6 km a Nordovest di Livorno. Le operazioni di recupero dei corpi furono difficili e lunghissime, durante le quali vi fu un’altra vittima, un esperto sabotatore subacqueo del «Col Moschin», deceduto durante le operazioni. Le cause della sciagura non furono mai esattamente definite, anche se le indagini furono molto approfondite e una nave pontone di recupero rimase sul posto fino al febbraio del 1972. Si ipotizzò che l’aereo avesse colpito con la coda la superficie del mare per un errore di quota che, per le caratteristiche dell’esercitazione, doveva rimanere inizialmente molto bassa.
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