2019-07-24
Vogliono liberarsi di Salvini con scandali farlocchi o riscaldati
Oggi Giuseppe Conte riferirà in Senato sul cosiddetto Russiagate. La vicenda è nota e per una settimana ha tenuto banco sulle prime pagine dei giornali. La registrazione di una conversazione in un albergo di Mosca ha gettato ombre sulla Lega, lasciando intravedere un finanziamento multimilionario. Attorno al tavolo di quella riunione non c'era Matteo Salvini, ma un ex redattore della Padania, tal Gianluca Savoini, un tizio che da anni gravita intorno all'universo leghista, ma che si vanta di avere addentellati anche in quello putiniano. Quanto ci sia di millanteria o di verità in tutto ciò non è dato sapere. (...) (...) Sta di fatto che a metà ottobre dello scorso anno, Savoini si è trovato in quella sala con almeno altre cinque persone, due italiani e tre russi. I primi, cioè quelli di casa nostra, erano un avvocato d'affari internazionali - o almeno così lui si è definito - e un suo collaboratore. Quanto ai russi, al momento non è dato sapere. Nella hall di un albergo tra i più intercettati di Mosca, il sestetto si sarebbe dato appuntamento per discutere di una partita di 3 milioni di tonnellate di gasolio e kerosene, affare da circa 1,5 miliardi di dollari che avrebbe dovuto fare arrivare nelle casse della Lega ben 65 milioni. Le cifre le conosciamo perché in quella sede, cioè in mezzo a centinaia di persone che potevano origliare, il superesperto di trattative legali si è lasciato andare a parlare di cifre e percentuali come se fosse al bar.In ascolto, a quanto pare, c'erano dei giornalisti dell'Espresso i quali, camuffati da turisti in vacanza al Cremlino, avrebbero appuntato tutto per poi, dopo soli quattro mesi e in vista delle elezioni europee, riferire dello strano appuntamento con annessa tangente sul loro settimanale. Purtroppo per loro e per L'Espresso, nessuno si è filato la storia della tangente concordata in hotel, e dunque la faccenda è finita nel retrobottega delle notizie. Fino a quando è spuntato l'audio della conversazione. Otto mesi dopo i fatti, sul sito americano Buzzfeed, coadiuvato però da un italiano, ecco pubblicata la registrazione. Un po' in italiano, un po' in russo e un po' in inglese, il sestetto discute del maxi affare a vantaggio della Lega sovranista. Tanto è bastato per scatenare l'inferno, con i fratelli coltelli del Movimento 5 stelle che, pur di ridimensionare l'ingombrante alleato, si sono messi a strillare chiedendo chiarimenti. E con il Pd, che tramite la bocca aggraziata di Maria Elena Boschi, ha reclamato nientepopodimeno che una commissione d'inchiesta. A dar manforte ai picchiatori sono poi arrivate Angelona Merkel e la sua prediletta Ursula von der Leyen, che in coro hanno lanciato ammonimenti contro chi tresca con il nemico Vladimir Putin. Salvini ha fatto spallucce, dicendo di non avere nulla da chiarire, perché del nulla si stava parlando, ma Giuseppe Conte si è offerto di farlo al posto suo, forse per inguaiarlo un po'. Ovviamente noi non sappiamo che cosa andrà a dire il presidente del Consiglio e però, in vista dell'appuntamento, ci permettiamo di puntualizzare alcuni aspetti fondamentali per capire la vicenda.Primo. Il gasolio (o kerosene) di cui il sestetto discuteva a Mosca non è mai arrivato in Italia, perché in Italia non poteva arrivare. L'Eni, indicato come destinatario del carico, non sarebbe infatti mai stato interessato alla partita visto che non tratta prodotti raffinati, ma greggi. Inoltre, la fornitura era così grande che avrebbe soddisfatto il fabbisogno italiano di un intero anno. Insomma, 3 milioni di tonnellate non sarebbero passate inosservate.Secondo. Anche la maxi tangente da 65 milioni avrebbe suscitato qualche attenzione e per capirlo basti dire che in dieci anni di regolare finanziamento pubblico, la Lega ha incassato meno di quello che avrebbe portato a casa con l'affare del Metropol. Terzo. Acclarato che né il gasolio né i soldi sono mai giunti in Italia, va chiarito che l'accordo segreto di cui i sei hanno parlato a Mosca non si è mai concluso.Quarto. L'avvocato d'affari che nella hall dell'hotel discute liberamente di soldi, petrolio e percentuali, manco stesse discutendo in piazza delle prossime vacanze a Rimini, è un signore che negli ultimi tempi ha faticato a pagare l'affitto del suo studio e per questo è stato sfrattato, ma - avendo dovuto sloggiare - si è dimenticato di saldare il conto dell'autotrasportatore che ha traslocato faldoni e scrivania.Quinto. Anche il consulente del legale non se la passa benissimo e, pur partecipando a una trattativa da 1,5 miliardi di dollari con i russi, non spiccica una parola di russo, proprio come Savoini, il leghista amico dei russi.Sesto. La banca anglotedesca che doveva trattare l'affare del secolo ha un bilancio simile a quello di una pizzeria con due soli dipendenti. Inutile dire che ha subito scaricato l'avvocato che sosteneva di lavorare nel suo interesse.Settimo. L'unica cosa certa è che, dopo aver organizzato il trappolone, qualcuno ha registrato la conversazione e poi ha consegnato ai giornalisti l'audio, affinché finisse in Rete.Ecco, è soprattutto di questo che vorremmo sentire parlare oggi, per capire chi ha congegnato un'operazione che ricorda quella di Totò quando provò a vendere la fontana di Trevi, ma che in questo caso ha evidenti obiettivi politici.Aggiungiamo che mentre si sgonfia l'affare russo, è ricicciato il caso Siri, dal nome dell'ex sottosegretario della Lega. Su di lui i giornali scrissero che era costato 30.000 euro a un tipo in affari con un presunto mafioso e per questo è stato costretto alle dimissioni. Alla fine si è scoperto che i 30.000 euro erano forse quelli che qualcuno avrebbe voluto offrirgli, ma che poi non arrivarono. In pratica non si sa se Siri si sia fatto corrompere o se qualcuno lo volesse corrompere, oppure lo abbia voluto inguaiare. Sta di fatto che, prima ancora di leggere le intercettazioni, giornali come Corriere e Repubblica lo avevano già condannato e ora, afflosciatosi il Russiagate, servono la ribollita, sperando di cuocerci Salvini.
(Guardia di Finanza)
I Comandi Provinciali della Guardia di finanza e dell’Arma dei Carabinieri di Torino hanno sviluppato, con il coordinamento della Procura della Repubblica, una vasta e articolata operazione congiunta, chiamata «Chain smoking», nel settore del contrasto al contrabbando dei tabacchi lavorati e della contraffazione, della riduzione in schiavitù, della tratta di persone e dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.
Le sinergie operative hanno consentito al Nucleo di polizia economico-finanziaria Torino e alla Compagnia Carabinieri di Venaria Reale di individuare sul territorio della città di Torino ed hinterland 5 opifici nascosti, dediti alla produzione illegale di sigarette, e 2 depositi per lo stoccaggio del materiale illecito.
La grande capacità produttiva degli stabilimenti clandestini è dimostrata dai quantitativi di materiali di contrabbando rinvenuti e sottoposti a sequestro: nel complesso più di 230 tonnellate di tabacco lavorato di provenienza extra Ue e circa 22 tonnellate di sigarette, in gran parte già confezionate in pacchetti con i marchi contraffatti di noti brand del settore.
In particolare, i siti produttivi (completi di linee con costosi macchinari, apparati e strumenti tecnologici) e i depositi sequestrati sono stati localizzati nell’area settentrionale del territorio del capoluogo piemontese, nei quartieri di Madonna di Campagna, Barca e Rebaudengo, olre che nei comuni di Caselle Torinese e Venaria Reale.
I siti erano mimetizzati in aree industriali per dissimulare una normale attività d’impresa, ma con l’adozione di molti accorgimenti per svolgere nel massimo riserbo l’illecita produzione di sigarette che avveniva al loro interno.
I militari hanno rilevato la presenza di sofisticate linee produttive, perfettamente funzionanti, con processi automatizzati ad alta velocità per l’assemblaggio delle sigarette e il confezionamento finale dei pacchetti, partendo dal tabacco trinciato e dal materiale accessorio necessario (filtri, cartine, cartoncini per il packaging, ecc.), anch’esso riportante il marchio contraffatto di noti produttori internazionali autorizzati e presente in grandissime quantità presso i siti (sono stati infatti rinvenuti circa 538 milioni di componenti per la realizzazione e il confezionamento delle sigarette recanti marchi contraffatti).
Gli impianti venivano alimentati con gruppi elettrogeni, allo scopo di non rendere rilevabile, dai picchi di consumo dell’energia elettrica, la presenza di macchinari funzionanti a pieno ritmo.
Le finestre che davano verso l’esterno erano state oscurate mentre negli ambienti più interni, illuminati solo artificialmente, erano stati allestiti alloggiamenti per il personale addetto, proveniente da Paesi dell’Est europeo e impiegato in condizioni di sfruttamento e in spregio alle norme di sicurezza.
Si trattava, in tutta evidenza, di un ambiente lavorativo degradante e vessatorio: i lavoratori venivano di fatto rinchiusi nelle fabbriche senza poter avere alcun contatto con l’esterno e costretti a turni massacranti, senza possibilità di riposo e deprivati di ogni forma di tutela.
Dalle perizie disposte su alcune delle linee di assemblaggio e confezionamento dei pacchetti di sigarette è emersa l’intensa attività produttiva realizzata durante il periodo di operatività clandestina. È stato stimato, infatti, che ognuna di esse abbia potuto agevolmente produrre 48 mila pacchetti di sigarette al giorno, da cui un volume immesso sul mercato illegale valutabile (in via del tutto prudenziale) in almeno 35 milioni di pacchetti (corrispondenti a 700 tonnellate di prodotto). Un quantitativo, questo, che può aver fruttato agli organizzatori dell’illecito traffico guadagni stimati in non meno di € 175 milioni. Ciò con una correlativa evasione di accisa sui tabacchi quantificabile in € 112 milioni circa, oltre a IVA per € 28 milioni.
Va inoltre sottolineato come la sinergia istituzionale, dopo l’effettuazione dei sequestri, si sia estesa all’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Ufficio dei Monopoli di Torino) nonché al Comando Provinciale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco di Torino nella fase della gestione del materiale cautelato che, anche grazie alla collaborazione della Città Metropolitana di Torino, è stato già avviato a completa distruzione.
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